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martedì 25 febbraio 2020

1) Cernunnos e gli altri "Buddha" occidentali. Rapporti e connessioni tra oriente e occidente.

Introduzione.
E' da tanto tempo che voglio scrivere un post su questo argomento, per andare a cercare i moltissimi collegamenti tra oriente ed occidente, gli opposti estremi delle culture indoeuropee e pre-indoeuropee, ma anche dei tanti miti e le tante credenze prive di fondamento che circolando da anni sono alla base di certe cose che diamo per scontate. Il termine "Buddha" del titolo è usato un po' ad effetto per dare l'idea di una certa figura archetipica che per noi è puramente orientale ma che altrimenti sarebbe impossibile da spiegare in una parola. 

Il Dio cornuto euroasiatico.
Iniziamo subito con l'immagine più imblematica: La raffigurazione classica di Cernunnos e quella di Pashupati, avatar di Shiva sul sigillo di Mohenjo-Daro. 


Queste due immagini appartengono a due civiltà molto distanti nel tempo e nello spazio: L'immagine di Pashupati (a destra) viene da Mohenjo-Daro città che sorgeva sulla riva destra dell'Indo nell'attuale Pakistan e che insieme ad Harappa è la città più importante della Civiltà della Valle dell'Indo  risalente all'età del bronzo. Il sigillo è databile al 2000 a.c. circa. L'immagine a sinistra invece si riferisce alla divinità conosciuta come Cernunnos (il cornuto) e si trova sul Calderone di Gundstrup, un manufatto rituale molto complesso e discusso per vari motivi di cui parlo qualche riga più in basso, ma che appartiene alla periodo celtico e che è databile ai secoli a cavallo dello nascita di cristo. Le similarità sono impressionanti ed è praticamente che si tratti di un caso: prima di tutto i due personaggi divini sono seduti nella posizione yoga detta del loto (Padmasana) e sono dotati di corna. Le corna (o dei copricapo a forma di corna) sono quelle di cervo per Cernunnos e di bufalo per Pashupati, probabilmente per la differenza di ambiente locale ma evidentemente sono simbolo divino e sacro. Altra cosa evidente ed importantissima è che le due figure sono contornati da molti animali selvatici che sembrano quasi in adorazione. Questo elemento ci dice che si tratta di due divinità della natura e degli animali e ci dice che si tratta di culture non ancora antropocentriche in cui l'uomo era ancora parte della natura che temeva e venerava. Ma andiamo nei particolari:


Come dicevamo sono molti gli elementi presenti in entrambe le figure, ed è impressionante notare che anche "l'impaginazione" delle due figure è uguale. 1) Le corna; 2) La posizione del loto; 3) L'animale cornuto corrispondente a fianco della divinità: Cervo per Cernunnos e Bufalo per Pashupati (notare la forma identica delle corna animale-dio); 4) L'animale predatore sull'altro fianco delle due divinità: una tigre o un grande felino da una parte e un lupo o forse un'orso dall'altra. Anche gli altri animali sono disposti allo stesso modo e le differenze di specie possono benissimo essere attribuite alla distanza geografica tra le due civiltà: la presenza dei grandi cervi nelle foreste europee e dei bufali nelle Indie ad esempio, tigri da una parte e orsi dall'altra. Altre differenze dovute probabilmente alla differenza temporale e all'evoluzione indipendente delle due figure sono per esempio la triplice faccia (trifronte, tricefalo) della divinità indiana che comunque ritroviamo in occidente ad esempio nel Mercurio gallo-romano (identificato come Lugh), nel Gerione etrusco, nella Dea Ecate in Grecia e poi in epoca cristiana in vari santi e in varie rappresentazioni del Diavolo. Ovviamente anche in Oriente si continua a trovare questa caratteristica in rappresentazioni più recenti di Shiva, di Vishnu ma poi anche nel buddismo nelle figure di Tara e di Avalokitesvara e molti altri. Un altro elemento è il fallo di Pashupati, che non è presente sul calderone di Gundstrup o in altre rappresentazioni recenti del dio Gallico. Esso potrebbe essere presente nella raffigurazione più antica di Cernunnos, ma, come si vede dal rilievo, è molto difficile esserne certi e le rappresentazioni del Dio Cervo moderne, legate alla Wicca, New Age e Fantasy, non hanno una base storica fondata e molte volte sono più legate al dio Pan. E' presente ad esempio nel gigante di Cerne Abbas, figura umana incisa sul terreno e dotata anche di clava (che richiama il fallo) ma che non può essere assolutamente datato: dall'età del bronzo, al periodo romano o addirittura al medioevo. Elementi fondamentali e particolari della rappresentazione gallica del Dio Cornuto sono il Torque, ovvero il collare di metallo ritorto che la divinità indossa al collo e tiene nella mano destra e che identificava nelle società europee antiche come quella celtica, ligure e manche sciite e precedenti i personaggi nobili e legati al culto e il Serpente tenuto nella mano sinistra.


Qui sopra vediamo la rappresentazione più antica di Cernunnos, quella della Val Camonica appunto in Lombardia in cui sono ben visibili gli elementi fndamentali: Il torque al braccio destro e il serpente tenuto alla sinistra (probabilmente con corna di Ariete): questo ci fa pensare ad una rappresentazione grafica o statuaria che oltre ad aver viaggiato dall'Asia all'Europa probabilmente accompagnava le popolazioni che si spostavano per l'Europa celtica. Qui sotto invece ci sono altre rappresentazioni dello stesso dio che provengono dalla Gallia transalpina:


La cosa interessate di questi tre rilievi è che provengono tutti dalla francia e appartengono al periodo romano, i primi tre secoli dopo Cristo.
1) Questo altare è conservato al museo di Reims, è databile al primo secolo dopo Cristo è in perfetto stile classico e infatti rappresenta Cernunnos tra Apollo e Mercurio (pienamente romani) e testimonia l'unione della religione romana con quella gallica dovuta all'effettiva somilianza tra le due, con buona pace di nazionalismi e campanilismi in epoca moderna. Da notare che la divinità continua a sedere in posizione "Yoga", indossa il torque ma invece del serpente sostiene una cornucopia. Particolare importantissimo e degno di osservazione i due animali cornuti ai suoi piedi: un toro e un cervo (entrambi cornuti che rimandano a Pashupati e Cernunnos, oriente e occidente) sotto alla sua seduta come nel caso del sigillo di Pashupati da Mohenjo-Daro.
2) Il Pilier des Nautes (Pilastro dei Nauti) esposto al museo medievale di Cluny a Parigi che in origine era una colonna eretta a Giove in epoca Romana dove ora sorge Notre Dame. Questo rilievo è molto importante perché è l'unico caso in cui compare il nome "(C)ernunnos" ed è quindi grazie a questa colonna che conosciamo il nome di questa divinità. Qui viene rappresentata solo la testa e i due torque sono tenuti sulle corna. Da notare che sul pilastro sono raffigurati e nominati molti dei, sia celti che romani: Ai lati della colonna ci sono scolpiti diversi Dei, sia galli sia romani: "Giove, Mercurio, Marte, Fortuna, Castore e Polluce, Vulcano ed Esus, Tarvos Trigaranos, Smertrios e Cernunnos".
3) La stele di Vandoeuvres al museo di Bourges. Anche in questo caso l'epoca è quella romana così come lo stile: la divinità è, come al solito seduta a gambe incrociate, indossa un mantello e un torque e con le man tiene un otre (o una cornucopia consumata?). Due personaggi giovani e nudi tengono con una mano le corna di cervo e sono in piedi su due serpenti (forse cornuti).


Altre due rappresentazioni di Cernunnos: la prima viene da Etang sur Arroux e ancora una volta il Dio ha un torque la collo, uno appoggiato sulla pancia ed è seduto nella posizione del loto. Cosa interessante è che la statua possiede due piccole facce dietro alla testa e quindi è tricefalo. In braccio porta anche due teste di ariete che forse sono serpenti con corna di ariete, come in altre rappresentazioni. Le corna sono sparite, ma i buchi ai lati indicano i punti dove esse andavano inserite. La seconda figura viene da Lione e si tratta del famoso Gobelet di Rue Sala su cui sono raffigurati Cernunnos (acefalo purtroppo) con torque in mano, cornucopia e con un cervo vicino. Mercurio invece è raffigurato con un cinghiale.

Bisogna fare alcune precisazioni riguardanti Cernunnos: una è che di lui, ancora una volta, sappiamo ben poco. Molte delle caratteristiche date per sicure sulla sua figura vengono dall'associazione che è stata fatta con altre divinità: Pashupati appunto, Shiva, Dioniso e Pan. Il suo nome è fortunosamente giunto a noi tramite il Pilastro dei Nauti di Parigi e sappiamo che si trattava di un Dio proprio perchè su quel pilastro è nominato vicino ad altre divinità. Alcuni pensano che in origine si trattasse della figura di uno sciamano, visto che simili rappresentazioni di sciamani vestiti con pelli e corna di cervo giungono a noi da epoche ben più remote e che potrebbero essere la basa arcaica del suo culto. Un'altra punto è che la maggior parte delle raffigurazioni di Cernunnos ci vengono dalla Gallia ormai romana. Questo è abbastanza spiegabile per il fatto che i galli prima del contatto con le civiltà classiche non usavano la scrittura, usavano materiali deperibile quali il legno per la maggior parte dei loro manufatti e che abbiano iniziato a rappresentare i loro dei come antropomorfi in gran parte nel periodo gallo-romano. Bisogna sempre ricordare infatti che per i celti il Cielo o il Sole erano dei in quanto cielo e sole, non c'era il Dio antropomorfo del cielo o del sole. Cernunnos quindi era forse un Dio a parte, particolare. Un'altra cosa è che le rappresentazioni più antiche non ci arrivano dalle solite aree tradizionalmente considerate celtiche per eccellenza e questo dovrebbe portarci a fare alcune considerazioni sull'idea che abbiamo delle popolazioni galliche anche a livello accademico. La rappresentazione più antica è quella della Val Camonica (vedi su) risalente a un periodo compreso tra il 7° e il 5° secolo avanti cristo e anche se su molte mappe quell'area continua a non essere compresa tra le aree celtiche originarie, oggi sappiamo benissimo che i Camuni dell'età del ferro erano culturalmente celti e forse furono tra le popolazioni originarie. La rappresentazione più famosa è quella del Calderone di Gundstrup: il fatto è che questo incredibile manufatto è stato scoperto in Danimarca in una zona che non aveva niente a che fare con i celti e infatti fu probabilmente portato qui dai Cimbri che sconfitti dai Romani tornarono nella loro terra d'Origine con il calderone come bottino di guerra. Ma anche la lavorazione non era gallica mentre i soggetti si. Oggi si pensa sia stato fabbricato in Tracia nell'attuale Bulgaria luogo in cui era presente anche una tribù culturalmente celtica: gli Scordisci. Quello che complica ancora le cose è che oggi si pensa che l'epoca di fabbricazione sia più recente e risalga al II-III secolo dopo cristo e quindi che sia tutto da rivedere. Rappresentazioni di questa Divinità o sue inscrizioni non sono mai state trovate in Britannia o nelle altre aree celtiche insulari anche se gran parte dei libri che ne parlano dicono il contrario.


Ma torniamo un momento al calderone di Gundestrup: si parla sempre del dio cornuto che però è rappresentato soltanto su uno dei pannelli, ma la produzione artistica di questo manufatto è ricchissima di simboli e personaggi e anche se viene generalmente usato come vera e propria fonte di illustrazioni di miti celtici non si limita a quella cultura. Su un altro pannello infatti troviamo una dea contornata da vari animali mitici ed esotici tra i quali due elefanti. Questa è un'altra evidenza delle forti connessioni tra le culture indoeuropee e in questa rappresentazioni in molti vedono una rappresentazione della dea indiana Lakshmi. Guardando le rappresentazioni antiche (immagine sotto) e moderne della dea indiana è abbastanza naturale vedere delle forti relazioni, la dea viene tradizionalmente rappresentata in mezzo a due elefanti che la inquadrano. Questo è ancora più impressionante se ripensiamo al pannello con Cernunnos e i punti di contatto con Shiva-Pashupati. In oltre bisogna ricordarsi della dea Slava Laima che oltre che al nome condivide molte caratteristiche con la divinità indiana.





Ma risaliamo ancora indietro alle epoche precedenti, torneremo ai celti dopo. Una dei ritrovamenti più antichi a cui possiamo risalire in Europa per quanto riguarda la posizione del loto detta volgarmente "Yoga" è quello di Lepenski Vir (LINK) un insediamento mesolitico nell'attuale Serbia, vicino al confine con la Romania, abitato a partire dal 7000 a.c. e che raggiunse il massimo sviluppo tra il 5300 e il 4800 a.c. ma già frequentato a partire dal 9300 a.c. il che ne fa uno dei centri più antichi dell'Europa antica. Qui sono state trovate diverse sepolture, tra le quali una in particolare è diventata celebre. la numero 69, nella quale è stato trovato un corpo nella posizione del loto appunto.

Qui sopra: il sito megalitico di Willong in India.

A questo punto bisogna per forza nominare un libro fondamentale sull'argomento: "Shiva e Dioniso" di Alain Daniélou. Nel libro lo storico francese e uno dei più grandi seguaci dello shivaismo del XX secolo in occidente trova tantissimi collegamenti tra India, mediterraneo ed Europa antica. Dal culto del fallo, alle corna o alla posizione yoga appunto. Per parlare di questo bisgnerebbe aprire un'altro post molto lungo e quindi ci limitiamo ad esempio a quello che l'autore dice sui megaliti, in particolare i menhir: se ne trovano di assolutamente identici dall'estremo oriente all'estremo occidente del continente euroasiatico e simbolizzano il fallo di questa divinità primordiale. Lo Shiva Lingam, il fallo di Shiva, ancora oggi eretto e adorato in India, e via con simbologie che sono arrivate fino al 1700 in Italia, Francia e Germania, con dolci pasquali di forma fallica portati in processione (Il santo membro di Trani), e via dicendo. Cosa veramente interessante è che se in Europa si conservano i più famosi e antichi megaliti del mondo, essi si sono probabilmente sviluppati nel mediterraneo orientale e da li sarebbero arrivati fino alla Scozia seguendo prima la costa mediterranea e poi quella atlantica, sia l'India per raggiungere il Giappone. Il punto è che mentre se sui megaliti europei non sappiamo nulla se non tramite le ricostruzioni degli studiosi, su quelli indiani abbiamo addirittura dei testi che spiegano il rituale della loro sistemazione, dell'orientamento e così Danielou dice che ogni studio sui megaliti dovrebbe partire dagli antichi testi indiani.

Uno Shiva Lingam, oggi, Gangotri national park, India.

Danielou nota che queste divinità erano un tutt'uno con la natura. Questo carattere è stato tramandato in Gopala-Krishna, in Pan e Orfeo in Grecia, nel mondo celtico il protettore degli animali è un dio Cornuto, lo stesso Gesù, il buon pastore e molti santi. Nel Linga Purana si dice che tutte le divinità si chiamano Pasupata (fratelli degli animali) perché fanno parte del gregge di Pasupati: "tutti coloro che considerano il signore degli animali la loro divinità, sono fratelli degli animali".


"La concezione moderna dell'ecologia può apparire un tentativo di ritorno ad una vera morale, anche se il più delle volte resta antropocentrica. Si tratta non solo di preservare la natura al servizio dell'uomo ma di ritrovare il ruolo dell'uomo all'interno della natura, come cooperante all'opera degli dei. UNA RELIGIONE CHE NON RISPETTI LA NATURA NEL SUO INSIEME INDISSOLUBILE, CHE NON SIA FONDAMENTALMENTE ECOLOGICA NON E' CHE UN INGANNO, UNA SCUSA PER I SACCHEGGI UMANI, E NON PUO' IN ALCUN CASO PROCLAMARE LA SUA ORIGINE DIVINA. L'uomo non è che un elemento in un insieme ed è  l'insieme che è l'opera di Dio.

La parità con gli animali è un valore fondamentale, magico e sacro come la nudità. Shiva è nudo. Tra i Jainisti (che sono vegetariani strettissimi e rispettano anche le forme di vita più microscopiche) esigono che i propri fedeli siano nudi. Nel racconto mitologico irlandese "The destruction of  Da Derga's Hostel..." si legge: "Un uomo nudo, che in piena notte camminerà per le strade di Tara con una pietra e una fionda, ecco chi sarà Re". Anche dioniso è rappresentato nudo on i capelli lunghi quando non indossa la veste color zafferano.

 Il Jainismo si sviluppa in India dal pensiero di Jina o Mahavira contemporaneo di Buddha.

Come abbiamo visto la posizione Yoga (del loto) era usata sia nell'antica Europa che nell'antico oriente. Pashupati, Shiva, Jaina e Buddha sono rappresentati in quel modo. Tra il VII-VI secolo a.c. e la fine dell'età ellenistica nei territori d'influenza greca si sviluppo' l'orfismo. Conosciuto attraverso documenti frammentari e in gran parte dell’ultimo periodo, si basa su pratiche ascetiche e misteriche , su rituali di liberazione dell’anima dal corpo (inteso come carcere), anche attraverso un processo di reincarnazioni sino a un’immortalità che diventa parte della divinità. Sono in effetti incredibili le affinità con il Buddhismo che in quei secoli si sviluppò in India, tanto da far pensare a dei contatti, a delle influenze tra una corrente e l'altra o ad una comune radice che è andata persa. Essi infatti credevano nella trasmigrazione delle anime, nella visione del corpo come una gabbia, non mangiavano esseri senzienti (specificatamente, il divieto di mangiare carne degli orfici, ma anche di uova e fave*, è specificato dal racconto di Euripide in cui sprezzante definisce la dieta di Orfeo "apsychos" - senza anima e quindi non ha a che fare con una dieta ma con il divieto di ucccidere esseri senzienti) e nemmeno li sacrificavano. Sappiamo infatti che gli orfici praticavano "piacevoli giochi e sacrifici" senza lo spargimento di sangue: le libagioni erano a base di focacce e miele.


Erodoto ci dice che la dottrina della metensomatosi (la reincarnazione) fosse nata in Egitto per approdare in Grecia e questo ci farebbe pensare ad un influenza da ovest a est: furono i buddisti influenzati dagli Orfici? Non lo possiamo sapere, ma c'è un altro punto d'incontro con similitudini a dir poco notevoli: Gran parte di quello che conosciamo direttamente dei culti orfici ci viene da piccole lamine d'oro trovate nelle sepolture sparse nei vari territori del mediterraneo greco. I testi che si trovano incisi su di esse danno indicazione al morto sulla strada nell'oltretomba e come nel Libro Tibetano dei Morti, esse sono molto dettagliate. (laminette orfiche). In oltre nelle rappresentazioni di orfeo torniamo alla figura della divinità circondata dagli animali nella natura (generalmente orfeo suona la lira).


Dioniso era molto caro ai seguaci dell'orfismo che è la divinità mutevole per eccellenza e bisogna dirlo, non erano ben visti in città e vengono derisi in molti testi dell'epoca per le loro abitudini alimentari e le loro credenze. Tuttavia sappiamo che anche ai seguaci di Dioniso (o almeno a parte di essi) era vietato cibarsi di esseri viventi ma si cibavano di carne cruda durante il sacrificio di iniziazione. Questo ci rimanda ai Bramini dell'india tra le altre cose. Gli inni orfici alle divinità e alle forze della natura sono qualcosa di meraviglioso, di animistico e poetico. I Pitagorici furono poi influenzati dagli orfici, ovviamente, e a loro volta sembra che i Druidi studiassero assiduamente Pitagora. Ce lo dice Ippolito, nel Refutatio Omnium Hæresium:

"I druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica, a ciò spinti da Zalmoxis, lo schiavo di origine tracia appartenente a Pitagora, il quale Zalmoxis venne in quelle contrade dopo la morte di Pitagora e fornì loro l’occasione di studiarne il sistema filosofico". 

Anche Ammiano Marcellino ci dice che: "I Drisidi infine, superiori per ingegno ai precedenti, unitisi, secondo l’insegnamento di Pitagora, in fraterni sodalizi, si volsero alla speculazione di problemi occulti ed elevati e, con disprezzo delle cose terrene, proclamarono l’immortalità dell’anima.” Sappiamo da molte fonti che i Druidi dei Celti credevano nella trasmigrazione delle anime infatti, erano anche vegetariani? Sappiamo che presiedevano i sacrifici, anche cruenti, ma era una cosa che riguardava tutti i druidi? O come i bramini dell'india si astenevano dal mangiare carne ma praticavano i sacrifici? Certo è che i druidi moderni non praticano sacrifici e in molti non mangiano carne.


I "Buddha celtici".
A questo punto torniamo in Europa occidentale nell'antica Liguria e più precisamente al santuario di Roquepertuse un centro abitato dai liguri Salluvi che si trova a nord di Marsiglia. Qui all'inizio del secolo durante gli scavi effettuati da Henri de Gérin-Ricard vennero alla luce i resti di quello che doveva essere una zona sacra di grande importanza: un portale con evidenti rimandi al culto celtico della testa (LINK) ma soprattutto a due statue raffiguranti due figure nella posizione del loto. Le sculture, incomplete a causa dei danni del tempo sono incredibilmente simili alle statue dei Buddha dell'estremo oriente. Purtroppo dei culti di queste popolazioni, che potremmo considerare nostri avi, non sappiamo molto: la datazione di questo sito va dal VI secolo al periodo precedente all'occupazione romana a seconda delle differenti teorie.


Si possono fare comunque dei collegamenti con il culto delle teste celtico appunto, di cui ci raccontano gli autori classici, in oltre lo stile scultoreo rimanda al vicino oppida di Entremont. Mancano le teste e gran parte delle braccia ma il materiale ci ha permesso di scoprire moltissimo di popolazioni che altrimenti utilizzavano il legno per la stragrande maggioranza dei manufatti e delle costruzioni e di cui quindi abbiamo pochissimi esempi. Una considerazione da fare è anche quella della suddivisione tra celti e liguri dell'età del ferro, davvero inconsistente.

Un Buddha tailandese esposto al MAO di Torino.

Tra gli altri reperti sparsi per l'Europa e tragicamente sconosciuti ce n'è un altro che proviene dal santuario di La Beauve (Meaux) appartenente alla popolazione dei Meldes dove sono stati scoperti molti oggetti celtici risalenti al III secolo avanti cristo. La fattura minimalista è notevole e in questo caso la posizione "del loto" è ancora più particolare. Entrambe le mani sono appoggiate sulle ginocchia e la forma ha un'eleganza e un'armonia molto esotica e moderna.

Il guerriero di "La Beauve" (Meaux)

I "Celti buddisti".
Ma esistevano anche dei Celti buddisti? Vediamo sempre le cose dal nostro punto di vista, quello occidentale, ma esisteva qualcosa dal punto di vista opposto? Sicuramente la cultura ellenistica influenzò pesantemente le valli dell'attuale Pakistan e dell'Afganista nel regno del Gandahara in cui il buddismo prosperava a quei tempi, questo incontro diede vita ad una cultura greco-buddista. Nel sito di Hadda





La Swastika.
A questo punto, senza allontanarci troppo, andiamo a vedere un altro simbolo che collega oriente e occidente. la Svastica. Sono due parole per dire che l'immagine negativa che noi abbiamo di questa croce deriva esclusivamente dall'uso che ne fecero i nazisti. Questo simbolo solare è sempre stato parte dell'occidente e non solo dell'oriente, il suono in sanscrito Swastika significa "ben essere" (Su = buon, Asti = essere) ed è sempre stato associato alla buona salute, alla fortuna. Non c' una direzione buona e una cattiva (卐 o 卍) e la troviamo ovunque, dal Giappone a Roma, dalle Americhe alla Siberia. Qui però a noi interessa quando è associata con certe figure: chiunque sia stato in Giappone sa che sulle mappe la svastica indica un tempio buddista, sono molti i Buddha che la portano addosso e compare sui Piedi del beato come segno di buon auspicio.


La pagina wikipedia in inglese è molto ben fatta e può essere utile per farsi un'idea più completa di questo simbolo: LINK Qui sopra ho messo alcune figure classiche del Buddha nella posizione del loto con la svastica sul petto e quindi bisogna andare ad alcune figure trovate sulle navi vichinghe tra cui la più famosa decorava un secchio sulla nave di Oseberg, risalente all'800 dopo cristo e quindi al medioevo. Lo stile rimanda alle figure celtiche di cui abbiamo parlato sopra, qualcuno ipotizza anche che la parte superiore del capo mancante potesse essere dotata di corna. Non si può però ignorare la somiglianza con le figure buddiste orientali e questo apre molti possibili collegamenti Tra l'Europa antica e medievale e l'estremo oriente.


I Buddha Vichinghi.
Potrebbe sembrare un collegamento troppo fantasioso e forzato quello tra vichinghi e buddismo, basato su simili posizioni e simboligie indoeuropee. Ma in effetti non è così: nel 2015 le poste svedesi pubblicarono un francobollo, parte di una serie per la commemorazione dell'era vichinga raffigurante un Buddha seduto nella posizione del loto. Si trattava di una statuetta di bronzo ritrovata nel 1954 durante gli scavi di Helgo, un piccolo non lontano da Stoccolma il cui nome tra l'altro, significa "isola sacra". Gli archeologi hanno stabilito che la rappresentazione alta circa 8 centimetri sia stata fusa nel V-VI secolo d.c. nella zona del Kashmir tra India e Pakistan. La figura presenta il terzo occhio simbolico sulla fronte, simbolo dell'illuminazione, i lobi delle orecchie allungati che rappresentano la discendenza reale ed è seduto su un doppio loto che ne testimonia la purezza. La statuetta inoltre è stata ritrovata con dei lacci di cuoio che indicano che fosse portata durante i viaggi forse come talismano. Gli storici ipotizzano quindi che questo Buddha di bronzo abbia viaggiato per qualche secolo attraverso le steppe, i fiumi e le foreste euroasiatiche dalle montagne dell'Himalaya alle terre scandinave, facendoci pensare quanto poi certi collegamenti tra est ed ovest siano poi molto più reali di quello che si possa immaginare.



E' doveroso tornare un attimo all'Europa neolitica di circa 7000 anni fa, nella zona tra Romania e Serbia in cui venne scoperta la sepoltura di Lepenski Vir di più sopra. Appartenenti alla cultura di Vinca, di poco successiva, sono state scoperte tantissime statuette, molte raffiguranti dee femminili (di cui si è occupata molto Marija Gimbutas) e altri particolari "personaggi", molti dei quali adornati con svastiche.


Bisogna dire che tutto quello che ho scritto qui sopra ha a che fare con i simboli e con la mitologia, non sto dicendo che ci fossero persone o missionari che facevano avanti e indietro come facciamo noi oggi con gli aerei. Alessandro il grande giunse in India e con lui la cultura greca venne a contatto con gli scivaiti e i primi buddisti, questa è storia. Da questo incontro nacque l'arte buddista del Gandhara (zona compresa ta Pakistan e Afganistan) in cui la storia del Buddha è rappresentata con uno stile greco: in Italia sono molte le collezioni pubbliche che conservano reperti di questo tipo tra le quali quelle del MAO di Torino e il Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma. Ci sono poi alcune testimonianze antiche che vedono l'arrivo di un'ambasciata indiana che venne inviata a Roma tra il 22 a.c. e il 13 d.c. di cui faceva parte un monaco buddista che si sarebbe dato fuoco ad Atene  per dimostrare la sua fede. L'evento venne raccontato da Nicola di Damasco che incontrò l'ambasciata ad Antiochia, la tomba di costui era ancora visibile ai tempi di Plutarco (LINK).


L'imperatore Ashoka, che si convertì al buddismo e promosse la dottrina nell'India antica, inviò dei missionari in Sri Lanka ma anche in Siria, Egitto e Grecia e c'è chi dice che questi insegnamenti ispirarono anche Gesù, ma siamo nella pura speculazione. I romani iniziarono a commerciare direttamente con l'India nel secondo secolo dopo cristo (continuando poi anche in Cina dove inviarono delle ambasciate) e non è un mistero questo. I ricchi romani amavano le merci che giungevano dall'estremo oriente la seta e per esempio a Pompei è stata trovata una statuetta in avorio raffigurante la dea Lakshmi, conservata sotto le ceneri dell'eruzione fino al 1900. Alcuni scavi abbastanza recenti sulle coste meridionali dell'india (Arikamedu e Muziris) hanno portato alla luce Anfore, vasellame (tra cui una coppa col marchio di una fabbrica di Arezzo), vetri dipinti, monete d’oro: tutto materiale di scavo di origine Romana, e testimoniano circa 200 anni di commerci. (*)  Il professor Raoul McLaughlin dell’Università di Belfast, studioso delle rotte commerciali tra Roma, l’India e la Cina, identifica un busto che si trova alla Galleria Borghese con un romano convertito al buddismo. Ha la corazza da generale ma porta i capelli alla moda dei buddisti del Gandhara, «forse proprio uno di quei Yavanas di cui tanto parlano gli antichi testi Tamil» e non è l'unico.

Statuetta della dea Lakshmi da Pompei.

Lo Zen viene da occidente?
Nella visione occidentale e banalizzata lo Zen rappresenta quasi l'oriente stesso. L'estremo oriente, il Giappone. Bisogna dire che generalmente quando si dice Zen si pensa ad uno stile minimalista, magari per il bagno o per un profumo, siamo in un epoca e in una società in cui tutto, per arrivare alle masse, diventa "Pop", semplificato e filtrato da tutto quello che non è pura immagine utilizzabile per vendere qualcosa, il cibo di un ristorante, un sapone, una compilation musicale. Con Zen si intende un'insieme di scuole buddiste giapponesi che derivano dal buddismo Chán cinese ed è, semplificando al massimo, una forma di buddismo che enfatizza la pratica della meditazione evitando le speculazioni intellettuali. Il buddismo Chán si sviluppò in Cina tra tra il VI e il VII secolo d.C. e da esso derivano appunto la tradizione Zen in Giappone, Quella Sòn o Seon coreana e la Thiền vietnamita e fanno tutte parti del più grande insieme delle scuole buddiste Mahayana. Il termine Chan (da cui deformati derivano i termini Zen, Sòn e Thiền) deriva a sua volta dal termine sanscrito Dhyāna che significa letteralmente "visione" e che viene usato per rendere il concetto di "meditazione". In cina per rendere il suono di questo dermine venne usato l'ideogramma  禅 che viene letto in cinese Chàn e in giapponese Zen. Il punto è che le origini leggendarie di queste scuole buddiste non sono facilissime da ricostruire ma vengono fatte risalire alla figura di Bodhidharma.

Bodhidharma in una stampa giapponese ottocentesca di Yoshitoshi

Bodhidharma fu un leggendario monaco buddista giunto in Cina per insegnare una forma di buddismo mahayana incentrata, appunto, sulla meditazione ma sulle cui origine, come per l'origine del buddismo Chàn, resta un alone di mistero, anche per le incongruenze dei vari testi. Il punto è che il maestro viene sempre raffigurato con tratti occidentali, capelli rossi e occhi azzurri, chiaro segno che in oriente è sempre stato visto in questo modo In oltre l'unica testimonianza contemporanea sulla sua figura si trova negli "Annali dei Monasteri di Loyang" in cui Bodhidharma viene descritto "un persiano dagli occhi blu sui 150 anni di età" che praticava la recitazione del nome del Buddha". Le altre fonti più tarde lo descrivono come originario ancora una volta della Persia (Iran) o dell'Impero Kusana (un'impero multiculturale che oltre all'India del Nord, andava dall'Afganistan alla Cina). In ogni caso viene generalmente descritto come un uomo di etnia caucasica europoide.

Rappresentazione di un monaco dai tratti occidentali che insegna ad un monaco orientale in un affresco delle Grotte dei mille Buddha di Bezeklik

Il Buddismo celtico moderno.

Epoca contemporanea: il buddismo si espande in occidente.


"Le cose esistono ma non sono reali" - Mu Soeng

Critiche all'espansione del buddismo in occidente: perchè in molti criticano il buddismo in occidente? Si tratta principalmente di posizioni con una basa identitaria e nazionalistica: si vede il Buddismo come una delle tante influenze culturali aliene e quindi viene criticato. La ragione è sempre la stessa, la paura di quello che viene da fuori, di quello che non si comprende e quella di perdere le proprie tradizioni a cui, per vivere, ci si attacca. Eppure il buddismo è quasi universalmente conosciuta come una religione pacifica con posizioni generalmente meno radicali di, per esempio, quelle delle religioni monoteistiche. I detrattori quindi reagiscono in vari modi: negli ultimi anni alcuni hanno cercato di screditare questo aspetto pacifico del buddismo, prendendo casi estremi o addirittura inventando "fake news", il governo cinese lo ha fatto per anni, ad esempio descrivendo alcuni rituali tantrici riservati a pochi iniziati come pure perversioni a chi non ne sapeva niente. In occidente la posizione contraria più comune credo sia quella di vedere il buddismo come una moda new age per hippies malati di orientalisimo o anche come una cosa lontanissima e incompatibile con la filosofia occidentale. E' anche per questo che ho scritto questo post.


>>> Da continuare <<<



Bibliografia:
- Alain Danielou, "Shiva e Dioniso".
- Miranda Green, "Symbol and Image in Celtic Religious Art".
- Miranda Green, "Dizionrio di Mitologia celtica"
- Miranda Green, "
- P . Wuilleumuier, "GOBELET EN ARGENT DE LYON", 1936
- Religion et Société en Gaule (Rhone)
- Geoff Bailey, Penny Spikins, "Mesolithic Europe", 2008
- "I primi Europei", Jaca Book


Articolo:
(*) - Nell'antica Roma c'erano anche i buddhisti? - alcuni scavi dimostrano gli scambi tra Roma e l'India -
di Emilio Laguardia - Il Messaggero 07/07/2008

giovedì 13 febbraio 2020

Il ciclo di affreschi arturiani di Alessandria

Presentiamo qui le foto con le brevi descrizioni delle 15 scende del ciclo arturiano conservato alle Sale d'Arte di Alessandria (LINK) e originario della torre medievale di Frugarolo. I dipinti murali sono attribuiti ad un pittore lombardo anonimo e sono state realizzate alla fine del 1300. Questa serie di affreschi è un vero tesoro per vari motivi: ne esistono 5-6 in tutta Europa di così completi e questo è uno dei più antichi. E' accompagnato da vari commenti ancora in gran parte leggibili, per la derivazione dal Lancillotto del Lago e per la presenza di Galehot.

Ben prima che a pochi chilometri sorgesse la città di Alessandria, Frugarolo (allora Orba) era un luogo abitato al confine di una grande foresta, segnalato fra le "corti" soggette ad ospitare il sovrano in viaggio. Nel tredicesimo venne poi costruita una torre, e nel 1300 vi si insediarono i Trotti originari di Gamondio e di antica stirpe longobarda, una famiglia emergente. Arduino, già distinto per fedeltà ai Visconti e buone prove in più fatti d' arme, nel 1391, dopo un serio scontro sulla Bormida contro francesi, si trovò in quattrini ben meritati, e li usò per fare della sua torre una residenza da vero signore. Vi aggiunse un piano, coronato da una loggia, e per il nuovo ambiente, destinato a rappresentanza, cercò una decorazione conforme al gusto e alla moda della feudalità internazionale. La scelta di Arduino cadde sul re Artù della Tavola Rotonda, e in quel contesto bretone su una traccia ben precisa che era quella di Lancillotto, il cavaliere invincibile che soccombe a un amore adultero per Ginevra, la moglie del suo re. Da quella storia un pittore anonimo di area lombarda, trasse una fascia continua di affreschi alta due metri e venti, scandita in quindici episodi e distante ad altezza d' uomo dal pavimento di una sala rettangolare lunga più di undici metri per sette di larghezza. Passò tempo, i Trotti decaddero e gli affreschi della sala, ridotta a magazzino, sparirono sotto uno spesso strato di malta, e là sotto rimasero per altri quattro secoli fino al fortuito ritrovamento del 1971. Gli affreschi, visto il loro stato, furono subito strappati, riposti e dimenticati. Per altri trent' anni, fino a quando dopo un accurato restauro vennero esposti nel 1999 all'ex chiesa medievale di San Francesco.

Il ciclo di affreschi suscita un' attenzione speciale per il valore del documento. Sappiamo infatti da memorie, cronache ed altre fonti scritte che era diffuso costume, e anzi moda nobiliare il ricorrere per decorazione di interni ai romanzi cavallereschi. Ma gli esempi superstiti di un tal uso sono rari. Quelli poi del ciclo arturiano, se coerenti e ancora leggibili, si contano in tutta l' Europa sulle dita di una mano. Gli affreschi di Frugarolo si distinguono per più aspetti. Uno è la presenza di estese scritte che accompagnano, spiegandoli, i singoli episodi. Un altro è la forte caratterizzazione dei personaggi ricorrenti (Artù con barba fluente, Ginevra con chioma bionda sciolta, la Dama di Malohaut coi capelli intrecciati a nastri, Lancillotto con bionda e bifida barbetta, e se con l' elmo, connotato per togliere incertezza da una "L."). Un altro aspetto ancora è la chiara derivazione di sequenze e figure da un manoscritto miniato del Lancelot du Lac Chretien de Troyes o d' altro romanzo affine. Ma il tratto più singolare è il rilievo dato alla figura del principe delle Lointaines Isles, Galeotto, come costante e impagabile compagno e consigliere dell' eroe in tutte le sue imprese, sia d' amore che di battaglia. Quella insistita presenza racchiude un duplice messaggio, diretto in alto e all'intorno. Galeazzo infatti è variazione di Galeotto, e Gian Galeazzo era il nome del signore (e forse allora già duca) di Milano, che per gli eroi arturiani notoriamente stravedeva; e ugualmente s' era chiamato il suo primogenito ed erede, morto giovane e ancora compianto. Il posto fatto al suo omonimo in quegli affreschi andava inteso da quel Grande come un rinnovato omaggio e profferta di fedeltà; e da ogni altro come un avvertimento dell' intimità (vera o pretesa) sussistente fra l' accorto Arduino e il Visconti da lui servito.


 Frammento 1: Lancelot è ordinato cavaliere dalla regina Ginevra. Il commento ancora oggi leggibile sottolinea il fatto che Lancelot viene ordinato cavaliere da Ginevra e non dal Re.


Frammento 2: Re Artù (non è sicuro che si tratti del Re, ma la somiglianza con l'Artù delle altre scene lo lascia intuire) istruisce Lancelot nell'arte della falconeria.


Frammento 3: Lancelot conquista il castello della Douloureuse  Garde. Lancelot appare due volte sulla singola scena: a sinistra sta sconfiggendo dieci cavalieri dotati di forse soprannaturali. A destra i quattro sopravvissuti si arrendono al vincitore.


Frammento 4: Lancelot costringe il principe Galehot che aveva sbaragliato tutti gli altri cavalieri della tavola rotonda ad arrendersi a Re Artù.


Frammento 5: Lancelot e Ginevra si danno il primo Bacio. Ginevra favorisce l'amore tra il principe Galehot e la Dame de Malohaut.


Frammento 6: Lancelot e Ginevra, Galehot e la Dame de Malohaut consumano il loro amore.


Frammento 7: Lo scudo magico donato a Ginevra dalla Dame du Lac si riunisce testimoniando l'avvenuta consumazione del rapporto.


Frammento 8: Lancelot uccide un cavaliere sassone mentre Artù è rinchiuso dall'incantatrice Gamelle.


 Frammento 9: Lancelot entra nella torre dei sassoni, uccide gadrasolain e poi libera Artù.


Frammento 10: Lancelor uccide il secondo cavaliere della falsa Ginevra con un giavellotto.


Frammento 11: questa scena è purtroppo fortemente danneggiata. Si pensa che rappresenti la liberazione di Lancelot dall'incantesimo di Escalon le Ténébreux nella chiesa sotterranea del castello di Pintadol a cui si accede attraverso una sala oscura invasa da presenze diaboliche.


Frammento 12: anche questa scena è molto danneggiata ma in essa riconosciamo Lancelot che rende omaggio ad Artù in presenza di Ginevra.


Frammento 13: Il primo di tre duelli che contrappongono Lancelot al di Gorre, Méléagant.


Frammento 14: Lancelot uccide Méléagant alla presenza di Artù e Ginevra.


Frammento 15: la scena è annerita da un incendio e rappresenta la penitenza e poi la morte di Lancelot. In basso si vede la Dame du Lac, madrina di Lancelot.

Bibliografia: Catalogo "Le stanze di Artù" - Electa.

Guido