sabato 20 novembre 2021

La Tavola di Polcevera: testimonianze delle popolazioni liguri.

Penso che questo sia uno dei post più interessanti apparsi su questo blog, parleremo di una delle più notevoli e purtroppo poco conosciute testimonianze sul passato preromano e sulle popolazioni liguri che occupavano l'area dell'entroterra genovese verso il basso Piemonte. Si tratta dell'iscrizione della tavola di Polcevera: una lamina bronzea spessa 0,2 cm, alta 38 cm e larga 48 cm sulla quale è stata incisa una sentenza in lingua latina emessa dal Senato di Roma nel 117 a.C. su una questione di confini tra le popolazioni liguri locali ed è importantissima sia per la storia delle popolazioni locali che per la storia del diritto. Attualmente si trova al Museo Civico di Archeologia Ligure di Pegli (Genova).


Il ritrovamento:
La tavola in questione venne scoperta nel 1506 nel greto del torrente Pernecco a Pedemonte di Serra Riccò da un contadino del luogo, Agostino Pedemonte che la portò a Genova per vendere il metallo e farla fondere. Per grandissima fortuna la notizia del ritrovamento giunse allo storico e vescovo Agostino Giustiniani che la fece acquistare dal Governo della Repubblica di Genova. Lo stesso Giustiniani la tradusse in Italiano e qui di seguito ne forniamo il testo in Italiano (da Wikipedia):

«Quinto e Marco Minucji, figli di Quinto, della famiglia dei Rufi, esaminarono le controversie fra Genuati e Viturii in tale questione e di presenza fra di loro le composero. Stabilirono secondo quale forma dovessero possedere il territorio e secondo quale legge si stabilissero i confini e ordinarono di fissare i confini e che fossero posti i termini. E comandarono che, quando fossero fatte queste cose, venissero di presenza a Roma. A Roma di presenza pronunciarono la sentenza, in base ad un decreto del Senato, alle Idi di Dicembre sotto il consolato di Lucio Cecilio, figlio di Quinto e di Quinto Muzio, figlio di Quinto.In base alla quale sentenza fu giudicato: esiste un agro privato del castello dei Viturij il quale agro possono vendere ed è lecito che sia trasmesso agli eredi. Questo agro non sarà soggetto a canone. I confini dell'agro privato dei Langati: presso il fiume Ede, dove finisce il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo, qui sta un termine. Quindi si va su per il fiume Lemuri fino al rivo Comberanea. Di qui su per il rivo Comberanea fino alla Convalle Ceptiema. Qui sono eretti due termini presso la via Postumia. Da questi termini, in direzione retta, al rivo Vindupale. Dal rivo Vindupale al fiume Neviasca. Poi di qui già per il fiume Neviasca fino al fiume Procobera. Quindi già per il Procobera fino al punto ove finisce il rivo Vinelasca; qui vi è un termine. Di qui direttamente su per il rivo Vinelasca; qui è un termine presso la via Postumia e poi un altro termine esiste al di là della via. Dal termine che sta al di là della via Postumia, in linea retta alla fonte in Manicelo. Quindi già per il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo sino al termine che sta presso il fiume Ede. Quanto all'agro pubblico posseduto dai Langensi, i confini risultano essere questi. Dove confluiscono l'Ede e la Procobera sta un termine. Di qui per il fiume Ede in su fino ai piedi del monte Lemurino; qui sta un termine. Di qui in su direttamente per il giogo Lemurino; qui sta un termine. Poi su per il giogo Lemurino; qui sta un termine nel monte Procavo. Poi su direttamente per il giogo alla sommità del monte Lemurino; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al castello chiamato Aliano; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al monte Giovenzione; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo nel monte apennino che si chiama Boplo; qui sta un termine. Quindi direttamente per il giogo apenninico al monte Tuledone; qui sta un termine. Quindi già direttamente per il giogo al fiume Veraglasca ai piedi del monte Berigiema; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al monte Prenico; qui sta un termine. Quindi già direttamente per il giogo al fiume Tulelasca; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo Blustiemelo al monte Claxelo; qui sta un termine. Quindi già alla fonte Lebriemela; qui sta un termine. Quindi direttamente per il rivo Eniseca al fiume Porcobera; qui sta un termine. Quindi già per il fiume Porcobera fin dove confluiscono i fiumi Ede e Porcobera; qui sta un termine. Sembra opportuno che i castellani Langensi Viturii debbano avere il possesso e il godimento di questo agro che giudichiamo essere pubblico. Per questo agro i Viturli Langensi diano, quale contributo, all'erario di Genua ogni anno 400 "vittoriati". Se i Langensi non pagheranno questa somma e nemmeno soddisferanno i Genuati in altro modo, beninteso che i Genuati non siano causa del ritardo a riscuotere, i Langensi saranno tenuti a dare ogni anno all'erario di Genua la ventesima parte del frumento prodotto in quell'agro e la sesta parte di vino. Chiunque Genuate o Viturio entro questi confini possieda dell'agro, chi di essi li possieda, sia mantenuto nel possesso e nel godimento, purché il suo possesso dati almeno dalle calende del mese Sestile del consolato di L. Cecilio Metello e di Quinto Muzio. Coloro che godranno di tali possessi pagheranno ai Langensi un canone in proporzione, così come tutti gli altri Langensi che in quell’agro avranno possessi o godimenti. Oltre a questi possessi nessuno potrà possedere in quell'agro senza l'approvazione della maggioranza dei Viturii Langensi, e a condizione di non introdurvi altri che Genuati o Viturij, per coltivare. Chi non obbedisce al parere della maggioranza dei Langensi Viturii, non avrà ne godrà tale agro. Quanto all'agro che sarà compascuo sarà lecito ai Genuati e Viturii pascervi il gregge come nel rimanente agro genuate destinato a pascolo pubblico; nessuno lo impedisca e nessuno s'opponga con la forza e nessuno impedisca di prendere da quell'agro legna o legname. La prima annata di canone, i Viturii Langensi dovranno pagarla alle calende di gennaio del secondo anno, all'erario di Genua, e di ciò che godettero o godranno prima delle prossime calende di gennaio non saranno tenuti a pagare canone alcuno. Quanto ai prati che durante il consolato di L. Cecilio e Q. Muzio erano maturi al taglio del fieno, siti nell'agro pubblico, sia in quello posseduto dai Viturii Langensi, sia in quello posseduto dagli Odiati, dai Dectunini e dai Cavaturini e dai Mentovini, nessuno vi potrà segare né condurvi bestie al pascolo, né sfruttare in altro modo senza il consenso dei Langensi e degli Odiati, e dei Dectunini e dei Cavaturini e dei Mentovini, per quella parte che ciascuno di essi possederà. Se i Langensi o gli Odiati, o i Dectunini o i Cavaturini o i Mentovini vorranno in quell'agro stabilire nuovi patti, chiuderlo, segarvi il fieno, ciò potranno fare a condizione che non abbiano maggiore estensione di praterie di quel che ebbero e godettero nell'ultima estate, Quanto ai Viturii, che nelle questioni con i Genuensi, furono processati e condannati per ingiurie, se qualcuno è in carcere per tali motivi, i Genuensi dovranno liberarli e proscioglierli prima delle prossime Idi del mese Sestile. Se a qualcuno sembrerà iniquo qualcosa di quanto è contenuto in questa sentenza, si rivolga a noi, ogni giorno primo del mese che siano liberi da cause sulle controversie e sugli affari pubblici.»

Moco Meticanio, figlio di Meticone
Plauco Pelianio, figlio di Pelione

Come si può capire si tratta di un testo straordinariamente importante in quanto, oltre alla testimonianza giuridica, grazie ad esso siamo in grado di conoscere i nomi di diverse tribù liguri della zona, sappiamo che attorno al primo secolo prima di Cristo, nonostante la conquista romana, le genti erano ancora liguri, anche gli stessi Genuati. Possiamo addirittura conoscere gli antichi nomi liguri di monti, fiumi e torrenti anche se non è facile capire a quali corrispondessero oggi.

La contesa e il contesto in breve: 
Nel 113 prima di Cristo i liguri Genuati e i Viturii Langenses della Val Polcevera chiamano ad arbitrare una loro disputa territoriale i senatori romani Quinto e Marco Minucio Rufo, di una importante famiglia patrizia che aveva forti legami con i galli padani in quanto discendenti del console Quinto Minucio Rufo che nel 197 a.C. aveva sconfitto i Boi e varie tribù liguri e ne era divenuto "protettore". Per Roma infatti Genova e la Val Polcevera erano diventate molto importanti con la costruzione del 148 a.C. della via Postumia che collegava la costa alla Gallia Cisalpina.

Quello che bisogna sapere:
Le popolazioni liguri dell'età del ferro occupavano gran parte del territorio che va dalla zona di Marsiglia fino al nord dell'attuale Toscana ma anche l'entroterra a nord di questa costa fino all'attuale Svizzera. Erano di cultura celtica e parlavano una lingua di questa famiglia e non si differenziavano molto dalle altre popolazioni galliche anche se l'inospitalità di queste terre, li rendeva agli occhi dei romani particolarmente "rudi". Vivevano di sussistenza con attività di silvicoltura e pastorizia e abitavano in Capanne di legno e paglia arroccati in oppida o castellari. Se molte di queste popolazioni resistettero e combatterono i romani fino all'ultimo, altri popoli, come i Genuati (che fondarono Genova) iniziarono presto a intrattenere rapporti con i Greci che approdavano li sulla rotta per la colonia di Marsiglia e poi con i Romani con i quali si allearono da subito. Grazie a questo gli antichi genovesi godevano di un tenore di vita molto più alto di quello dei vicini, ma quest'amicizia fece anche si che la città venisse distrutta durante le guerre puniche (mentre le tribù vicine si allearono con i cartaginesi contro Roma). In ogni caso, la città venne ricostruita con l'aiuto di Roma e godeva di molti privilegi, mantenendo una posizione predominante sulle altre tribù dell'entroterra. Quando i romani definitivamente sconfisse queste ultime e costruì nel 148 a.C. la Via Postumia che collegava Genova a Libarna e quindi con la Gallia Cisalpina, ricominciarono i dissidi tra le popolazioni dell'entroterra, in particolare con i Viturii, ai quali i Romani avevano confiscato le terre e poi in parte ridate a Genuati e in parte rimesse in cambio di tributi. L'incremento della popolazione dei Viturii Langenenses li aveva ora spinti ad occupare le terre più in basso per la coltivazione dei campi e così erano aumentate le tensioni, tanto che i Genuati avevano anche imprigionato alcuni vicini. La cosa molto interessante è che con la sentenza i Romani non imposero la loro legge in territorio ligure, ma fecero valere con la loro autorità il rapporto tra Genova, città ancora autonoma e le comunità liguri ad essa soggette con la definizione di confini definiti.

Nomi Liguri:
Attraverso questo testo latino siamo venuti a conoscienza dei primi nomi di persone Liguri di cui si abbia notizia in quanto presenti al processo Moco Meticanio, figlio di Meticone e Plauco Pelianio, figlio di Pelione, probabilmente adattati alla lingua latina ma accurati. Si riconoscono chiaramente i suoni tipici della lingua ligure e celtiche continentali "gl." in Pelianio e Pelione, riscontrabile oggi in Pegli e "gn" in Meticanio e Pelianio che con ogni probabilità indicava "Il figlio di". Entrambi i suoni sono rintracciabili ancora oggi in tanti nomi con particolare incidenza nell'Italia nord occidentale, in Francia e in Spagna (la doppia L di Bastille - Bastiglia). 


Le terre interessate dalla disputa:
Non è facilissimo identificare esattamente la zona di cui parliamo in quanto i nomi di fiumi e monti sono quelli usati dai Liguri più di 2000 anni fa e non coincidono quasi mai con quelli attuali  (vedi paragrafetto sotto). La tesi più accreditata indica la Val Polcevera e i territori oggi occupati dai comuni di  Campomorone, Mignanego, Ceranesi, Fraconalto e il quartiere genovese di Pontedecimo. Due dei cippi posti a seguito della sentenza sono stati identificati: uno (foto sopra) si trova a poca distanza dalla S.P. dei Piani di Praglia e corrisponde al Mons Lemurinus del testo. L'altro è stato sommerso nel lago artificiale della Busalletta.

I luoghi nominati riconoscere i toponimi liguri:
Questa tavola ci permette anche di conoscere i nomi liguri di alcuni fiumi, torrenti e monti che non è facile identificare oggi. Come abbiamo visto sopra il Mons Lemurinus è stato identificato tramite il monolite che ancora oggi si può vedere. Il Monte Boplo sarebbe il Monte Taccone e il Monte Tuledon sarebbe il Monte Leco di oggi. E' notevole poter identificare il villaggio fortificato (castellaro) dei Viturii Langenses che senza dubbio oggi è proprio Langasco con il comunissimo suffisso gallico *asco che indica i paesi che sorgono sui fiumi (VEDI LINK).

Langasco (frazione di Campomorone) un tempo castellaro dei Viturii Langenses.

Tra i fiumi vengono indicati (in ordine di testo):

"Il fiume Ede";
"il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo" identificato con il rio Gioventina.
"Il fiume Lemuri" identificato con il torrente Verde.
"il rivo Comberanea" identificato con il rio Rizzolo. ("rivo che porta alla confluenza" (P.S.) (P) (T). Infatti a Isoverde convergono tre corsi d'acqua che all'età della Sentenza formavano il flovio Lemuri.)
"Il fiume Procobera o Porcobera" identificato con il torrente Ricò.
"Il rivo Vindupale" con il rio Riasso.
"il fiume Neviasca" con il rio di Paveto.
"Il rivo Vinelasca" col vallone a Sud di Mignanego.
"Il fiume Veraglasca" identificato con il Torrente Lemme.
"Il fiume Tulelasca" con il Rio Busalletta.
"il rivo Eniseca" identificato con il Rio dei Giovi. (A "rivo Eniseca" è attribuito il significato di "rivo che incide la montagna").


Il Monte Leco (Monte Tuledon), facilmente riconoscibile per le numerose antenne.

Tra i monti vengono indicati (sempre in ordine di testo):

"Il Monte Lemurino" identificato con il Monte Lavergo.
"Il Monte Procavo" identificato con il Monte Pesucco.
"Il Monte Giovenzione" identificato con il Quota 1005 m
"Il Monte appennino che si chiama Boplo" oggi identificato con il Taccone, si parla già di "appennino" riferibile ovviamente a "penn" (picco, altura, sommità o anche "alpeggio" in lingua celtica o riferibile alla divinità delle alture Penn).
"Il Monte Tuledone" oggi identificato con il Leco. (A "monte Tuledone" è dato il significato di "cima tondeggiante" (P.S.), che ben si addice al profilo del monte Lecco, visto sia dalla cresta di confine che sale al monte Taccone, sia dalla media Valpolcevera (Rivarolo, Bolzaneto).
"Il Monte Berigiema"
"Il Monte Claxelo" (Mons Claxrelus) identificato con il Monte Ranfreo.
"Il Monte Prenico" con il Ventoporto.

Altri luoghi:

"La convalle Ceptiena" (Alla "Comvalis Caeptiema" è attribuito il significato di "convalle": "avvallamento che mette in comunicazione due valli", (P.S.). U sito dove oggi sorge Pietralavezzara è un avvallamento che mette in comunicazione le valli di Isoverde e Mignanego.)
"Il Giogo Lemurino"
"Il Giogo Blustiemelo"
"La fonte Lebriemela" (Fons Lebriemelus) identificata con la Fonte a Ovest del Ranfreo.
"La fonte in Manicelo" identificata con la sorgente a occidente di Madonna delle Vigne.
"Il Castello Aliano" identificato con il Bric di Guana.
"La Confluenza Ede-Porcobera" identificata con la Confluenza Verde-Ricò.

*Giogo: sommità allungata di una montagna.

Le popolazioni nominate:

I Genuati: la popolazione che fondò Genova.
I Viturii Langenses (o Viturii o Langensi): la tribù in contesa che aveva centro a Langasco (frazione di Campomorone, GE)
Gli Odiati.
I Dectunini (o Dertonini): altra tribù celto-ligure che fondò il primo nucleo di Tortona (AL) in Piemonte su cui i Romani fondarono appunto Dertona.
I Cavaturini: la popolazione che aveva il suo castellaro nel luogo in cui oggi sarge appunto Cavatore (AL) in Piemonte.
I Mentovini.

Come dicevamo all'inizio è incredibile quante informazioni ci giungano attraverso questo testo su popolazioni di cui generalmente si pensa di non sapere assolutamente niente e delle quali, se non fosse per ritrovamenti rarissimi di questo tipo, non conosceremmo nemmeno i nomi. 


LINKS:
pagina dedicata molto completa su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Tavola_bronzea_di_Polcevera


*************ricopio qui il testo della pagina http://www.altavallepolcevera.com/index.php/storia-valpolcevera/slideshow oggi sparita dalla rete:************


Origine della controversia

Nella seconda metà del II sec. a.C., Genova era città federata a Roma e la comunità rurale dei Langensi era sotto la sua giurisdizione ed amministrazione. Nel contesto socio-economico del tempo le terre arabili, i prati, i pascoli, i boschi erano più di oggi essenziali per la vita delle popolazioni rurali. I Langensi rivendicavano vari confini di tali terreni e una diversa normativa d'uso che i Genuati, forti della loro preponderanza, non erano disposti a riconoscere. In particolare, con lo sviluppo dei traffici marittimi e terrestri, delle costruzioni navali, i Genuati tendevano a privilegiare lo sfruttamento dei boschi. Per contro i Langati avevano interesse a sviluppare le culture prative che la vicinanza della via Postumia rendeva proficue per lo smercio del fieno.

La contesa raggiunse una fase acuta; contrasti e disordini divennero pericolosi per la sicurezza pubblica, tanto che i fatti vennero deferiti al supremo tribunale di Roma. La delicata posizione geo-politica del territorio langense, attraversato dalla via Postuinia, arteria di preminente valore strategico, richiedeva vigilanza di popolazioni in pace fra loro. Ciò indusse i Consoli ed il Senato romani ad intervenire.

La controversia verteva attorno ai limiti fra i terreni privati e quelli pubblici, nonché sulle norme d'uso degli stessi da parte dei Genuati e dei Langati. Tali tipi di problemi, ancor oggi, si risolvono solo sul posto. Così nell'anno 637 di Roma (117 a.C.) giunsero a Langasco due noti magistrati romani: Quinto e Marco Minucio Rufo, con i loro tecnici e assieme ai legati genuate e langense: Moco Meticanio e Plauco Pelanio fecero una minuziosa ispezione del territorio, composero la controversia e impartirono le disposizioni per la sistemazione dei termini confinari.

Tornati a Roma i magistrati dettarono la sentenza che fu resa per decreto del Senato il 13 dicembre dell'anno 637 di Roma, alla presenza dei legati delle due parti. Il testo fu inciso su lastra di bronzo la cui matrice rimase presso il Senato nel Tabularium o sanctuarium Caesaris, mentre due copie furono consegnate ai contendenti. Una di tali copie è quella rinvenuta ad Isola di Pedemonte in Valpocevera nell'anno 1506.

I confini

Il contenuto della Sentenza, scritta in lingua latina, oltre alle norme sulla proprietà, possesso ed uso dei terreni di cui diremo più oltre, stabilisce i confini del territorio controverso. Proprio la parte del testo riservata ai confini è la più difficile da interpretare, tanto che i numerosi tentativi di identificazione compiuti dagli studiosi non coincidono. Leggendo il testo della Sentenza si apprende che i confini seguono corsi d'acqua, dorsali e contrafforti montuosi, inoltre, i termini sono fissati in punti caratteristici come cime, fonti, confluenze e attraversamenti di corsi d'acqua. Perciò una ricostruzione topografica attendibile deve tener conto principalmente degli elementi di oro-idrografia insiti nel testo della Sentenza, confrontati col territorio dell'epoca, ricostruito retrospettivamente sulla scorta delle fonti scritte e paleoambientali.

Ciò non è ancora sufficiente se si trascurano le normative dei compilatori: gli Agrimensori romani. Questi usavano una terminologia latina ben precisa, descritta nei loro codici, il cui corpus è riportato in scritti di più autori antichi.

Tenendo conto di quanto sopra è possibile ricostruire, partendo da dati non arbitrari e prescindendo da analisi linguistiche, i confini del territorio oggetto della Sentenza.

L 'agro privato

E' conveniente iniziare dall'agro privato perché per esso si hanno subito disponibili dati sicuri. La particolare forma di quest'agro, ricavabile dal testo della Sentenza, è limitata da corsi d'acqua appartenenti ad un solo bacino idrografico, inoltre il territorio è posto "a cavallo" della via Postumia. Ciò, a confronto col terreno, non lascia dubbi sulla precisa identificazione del centro dei Langensi con l'attuale territorio di Langasco. Si ottengono così le seguenti corrispondenze.

Flovio Porcobera col torrente Ricò;
Flovio Lemuri con l'alto corso del torrente Verde;
rivo Comberanea col rio Rizzolo;
rivo Vindupale col rio Riasso;
rivo Neviasca col rio di Paveto;
rivo qui oritur ab fonte in Mannicelo col rio Gioventina;
fonte in Mannicelo con la sorgente a occidente di Madonna delle Vigne;
rivo Vinelasca col vallone a Sud di Mignanego.

I confini dei terreni riconosciuti privati sono perciò i seguenti. Dalla fonte situata a 150 m. ad Ovest della cappella della Madonna delle Vigne, il confine scende lungo il rio affluente del rio Gioventina e per lo stesso scende fino al torrente Verde, in un punto oggi riconoscibile perché è di fronte alla sede del Comune di Ceranesi. Qui era posto il primo termine. Poi il confine risale il Verde ed il rio Rizzolo fino a Pietralavezzara. Qui erano posti due termini a cavallo della via Postumia. Da Pietralavezzara il confine scende direttamente nel rio Riasso e per esso va nel rio di Paveto che segue fino al torrente Ricò. Quindi il confine scende il Ricò fino ad incontrare, a destra, il rio che proviene da Madonna delleVigne. Qui era posto un termine. Poi il confine risale il rio fino alla cappella del valico dove erano posti due termini a cavallo della via Postumia. Infine scende fino alla fonte dove era partito. Il territorio entro tali confini include: la conca di Langasco, la località Campora, parte di Campomorone, parte di Pietralavezzara e Mignanego. Questi terreni furono riconosciuti di proprietà delle famiglie della comunità, esenti da canone, vendibili e trasmissibili agli eredi.

L 'agro pubblico

Disponendo di dati sicuri sul circuito di confine dell'agro privato è stato possibile ricostruire anche l'estensione dell'agro pubblico. A differenza dell'agro privato, i cui confini sono segnati quasi esclusivamente da corsi d'acqua, per l'agro pubblico sono i crinali montuosi a prevalere, particolarmente nella parte centrale del circuito. Solo il tratto iniziale e i due tratti finali seguono l'idrografia.

Anche per l'agro pubblico è stato possibile individuare una particolare forma fisica che a confronto col terreno ha dato una sola possibilità di identificazione.

Conseguentemente si sono stabilite le seguenti corrispondenze:
- Confluenza Ede-Porcobera Confluenza Verde-Ricò
Mons Lemurinus infumus Località Pontasso
Mons Lemurinus Monte Lavergo
Mons Pocavus Monte Pesucco
Mons Lemunnus summus Poggio "il Termine"
Castelus Alianus Bric di Guana
Mons Joventio Quota 1005 m
Mons Apenninus Boplo Monte Taccone
Mons Tuledo Monte Lecco
Flovio Veraglasca Torrente Lemme
Mons Prenicus Ventoporto
Flovio Tulelasca Rio Busalletta
Mons Claxrelus Monte Ranfreo
Fons Lebriemelus Fonte a O. del Ranfreo
Rivo Eniseca Rio dei Giovi
Flovio Porcobera Torrente Ricò

Pertanto, il confine di tale agro, partendo da Pontedecimo, segue il torrente Verde fino al Pontasso, risale il contrafforte a sinistra, toccando il monte Larvego, il monte Pesucco, sino al poggio detto "il Termine", sullo spartiacque Polcevera Gorzente. Quindi piega a destra per detto spartiacque toccando il Bric Roncasci, il Bric di Guana, la quota 1005 m e il monte Taccone sullo spartiacque dei Giovi, che poi segue sino al monte Lecco. Da questo punto scende la costa a Nord sino al letto del torrente Lemme, lo attraversa, per poi guadagnare in salita la quota 815 m sopra Ventoporto. Da questa cima pianeggiante, il confine scende per la costiera di case Freccie fino al rio Busalletta. Attraversato il rio Busalletta, il confine sale il contrafforte a Sud sino al monte Ranfreo sullo spartiacque dei Giovi.

Dal monte Ranfreo scende direttamente alla sorgente ove parte l'attuale acquedotto di Fumeri e per il rio dei Giovi giunge alla confluenza del torrente Ricò a Ponterosso. Infine per il Ricò raggiunge Pontedecimo.

Lungo il circuito erano posti 15 termini come mostrato dalla carta il territorio include:

Larvego, Caffarella, Isoverde, Gallaneto, Cravasco, Paveto, Fumeri, Costagiutta, Cesino e parte di Pontedecimo. Questi terreni erano aperti all'uso precario tanto dei Langensi quanto dei Genuati per concessione dell'Assemblea langense. I terreni pubblici, a differenza di quelli privati, erano soggetti alla corresponsione di un canone stabilito.

Corrispondenze tra individuazioni topografiche e analisi linguistiche

Una acquisizione apportata alla ricostruzione topografica, riguarda la più precisa corrispondenza tra le nostre individuazioni e le analisi linguistiche compiute dagli specialisti sui toponimi della Sentenza.

I luoghi individuati lungo i confini, associati ai relativi toponimi della Sentenza, hanno ciascuno caratteristiche geomorfologiche diverse. In alcuni casi, tali caratteristiche, mostrano sensibili corrispondenze, anche se, sul significato di quel toponimo non sempre vi è accordo tra gli studiosi. Vediamo alcune corrispondenze significative.

Al "monte Procavo" e stato attribuito il significato di "monte che si affaccia sulla cavità" (P.S.). Ciò corrisponde perfettamente alle caratteristiche del monte Pesucco luogo del IV termine confinario dell'agro pubblico.

Ad "apenninum" si da il significato di "cresta sommitale" (T), oppure di "alpeggio" (P.S.).

La prima versione corrisponde perfettamente alle caratteristiche del tratto di cresta fra il monte Taccone ed il monte Lecco (tratto più elevato dell'intero circuito dell'agro pubblico), posto tra l'88 ed il 98 termine confinario.

A "mons Boplo" è attribuito il significato di "altura" (D. e P.S.), il che corrisponde alle caratteristiche del monte Taccone, il quale oltre ad emergere vistosamente dalla cresta, è anche il monte più alto della Valpolcevera e di tutto il sistema orografico descritto dalla Sentenza.

A "monte Tuledone" è dato il significato di "cima tondeggiante" (P.S.), che ben si addice al profilo del monte Lecco, visto sia dalla cresta di confine che sale al monte Taccone, sia dalla media Valpolcevera (Rivarolo, Bolzaneto).

A "rivo Eniseca" è attribuito il significato di "rivo che incide la montagna" (T., P.S., P.) ed in realtà il rio dei Giovi, da noi identificato con l'Eniseca, ha attualmente profili trasversali più profondi rispetto agli altri corsi d'acqua richiamati dalla Sentenza. Non vi è ragione di pensare a cambiamenti vistosi di tali profili dall'epoca della Sentenza ad oggi. La maggior incisione dell'alveo è tale anche a confronto con corsi d'acqua vicini scorrenti in termini di analoga composizione litologica. Si può quindi pensare che il letto profondo del rio dei Giovi, derivi dall'antica impostazione morfologica unita all'erosione superficiale successiva dovuta all'abbondanza non solo della "fons Lebriemela", ma anche delle sorgenti circostanti.

A Ponterosso è localizzato il toponimo Ricò. Ricò deriva da "rivi caput" cioè, "punto d'origine di un corso d'acqua". Fu introdotto dagli Agrimensori romani per indicare il punto di confine (P.S.). Infatti a Ponterosso è posto il 150 termine dell'agro pubblico secondo la nostra ricostruzione.

Alla "Comvalis Caeptiema" è attribuito il significato di "convalle": "avvallamento che mette in comunicazione due valli", (P.S.). U sito dove oggi sorge Pietralavezzara è un avvallamento che mette in comunicazione le valli di Isoverde e Mignanego.

Al "rivo Comberanea", attuale rio Rizzolo, è dato il significato di "rivo che porta alla confluenza" (P.S.) (P) (T). Infatti a Isoverde convergono tre corsi d'acqua che all'età della Sentenza formavano il flovio Lemuri.

Caratteristiche del territorio

La ricostruzione sopra delineata porta nuove acquisizioni anche per la conoscenza del territorio e delle risorse disponibili. Anzitutto l'estensione. Esso misura complessivamente 4100 ettari di cui 700 per i terreni privati. Inoltre, contrariamente a quanto si è sempre creduto, i terreni non superano, ad oriente, la linea del torrente Ricò e a Nord invece scavalcano lo spartiacque dei Giovi, includendo un'ampia area a vocazione forestale.

Ancora: il Castelus Alianus non risulta situato sullo spartiacque dei Giovi presso la via Postumia, come è sempre stato sostenuto, ma sorgeva sul Bric di Guana, sullo spartiacque occidentale, nei pressi del valico per Marcarolo. Ciò può far pensare che già nell'epoca della Sentenza erano importanti non una ma due direttrici viarie: quella per Libarna-Tortona e quella per Marcarolo-Asti.

Come è facile capire dalle descrizioni precedenti il territorio è esclusivamente montano con dorsali e contrafforti dai versanti a pendenze variabili, con ripiani a mezza costa non numerosi e di superficie contenuta. Tuttavia, la apparente carenza di aree pianeggianti è compensata dalla morfologia dolce delle aree alle quote intermedie dove in realtà si è sviluppato l'insediamento.

Se si confronta il territorio definito dalla ricostruzione topografica con una carta geologica si ricava che i terreni dell'agro privato sono concentrati in un area a substrato argilloscistoso-filladico, caratteristico per lo sviluppo di suolo profondo e fertile che, nelle esposizioni favorevoli, è indicato per attività agricole di buon rendimento. Inoltre il tipo di roccia poco permeabile consente la presenza di un rilevante numero di sorgenti.

Nei terreni dell'agro pubblico predominano ad Ovest le serpentiniti, poco favorevoli allo sviluppo di vegetazione arborea, ma idonee all'instaurazione di formazioni erbacee utili per il pascolo. Anche nell'area di monte Carlo e del rio d'Iso, dove predominano rocce carbonatiche, aride per la circolazione carsica e povere di suolo, può svilupparsi il pascolo magro.

Nell'area attorno al monte Lecco, dominano i metagabbri, i quali pur essendo poco erodibili, producono suolo sufficiente per lo sviluppo di coperture boschive. Infine ad oriente, dove predominano i flyshs cretacei, i suoli sono adatti per tutte le culture.

Occorre inoltre ricordare la presenza di ricchi corsi d'acqua interni e di confine come il Verde, il Lemme, il Busalletta, il Ricò, sfruttabili per l'esercizio della pesca.

Queste sono le risorse ambientali disponibili. Dalla Sentenza possiamo ricavare le risorse economiche che la comunità ha saputo produrre con le tecniche e le attrezzature che possedeva.

Attività e tecniche agricole

La Sentenza ci documenta alcuni prodotti che attestano l'utilizzazione di tutte le risorse disponibili. Anche se il riferimento è solo per l'agro pubblico ciò non esclude che cereali e vite fossero coltivati anche nell'agro privato. Anzi è proprio nell'agro privato che si sono attuate le prime coltivazioni.

Si può pensare che il podere famigliare si costituiva in prossimità dell'abitato con orti, frutteti, vigneti, seminativi e prati e col tempo andava espandendosi utilizzando i terreni più adatti, tanto da occupare aree relativamente distanti dall'abitato come documentato dalla Sentenza.

Tale sviluppo era dovuto al fatto che da tempo le tecniche agricole avevano beneficiato dell'introduzione degli attrezzi in ferro (zappa, vanga, aratro, falce fienaia), tanto che ciò ha reso possibile non solo la produzione per la sussistenza, ma anche la formazione di un sovraprodotto per la corresponsione del canone ai Genuati.

E' implicito nei campi l'impiego delle rotazioni biennali (un anno a cereali, un anno a riposo lavorato), diffuso da tempo in tutta Italia. E' noto che la rotazione ha lo scopo di ripristinare la fertilità del terreno e di riutilizzare il campo l'anno successivo al riposo. Questo non si può ottenere con la tecnica del debbio. Circa i cereali coltivati, è sicuro, l'abbandono dei cereali locali (miglio e farro) a favore di quelli orientali come il frumento. Ce lo documenta la Sentenza.

Non sappiamo se nell'anno del riposo lavorato si impiegassero piante rigeneratrici come le leguminose, note per il loro potere fissatore dell'azoto nel terreno, però l'archeologia documenta, per la Liguria di Levante, culture di favino e pisello in età preromana.

Anche lo sviluppo dei prati, così esteso da impegnare l'agro pubblico, è favorito dall'avvento degli attrezzi in ferro. La falce fienaia è praticamente nata con l'introduzione del ferro. Essa ha prodotto un notevole incremento della foraggiatura.

I prodotti dell'agricoltura erano integrati dall'allevamento ovi-caprino sui terreni compascqui (pascoli comuni). L'agro compascuo, comprendeva oltre ai pascoli anche i boschi dai quali sia i Genuati sia i Langensi potevano trarre legna da ardere e da costruzione. Alle aree compascuali appartenevano anche i corsi d'acqua nei quali si poteva esercitare il diritto di pesca. L'indronimo ligure Porcobera, secondo i linguisti, significa "fiume portatore di trote".

L'esercizio della caccia non è documentato, ma dalla preistoria ad oggi l'uomo non ha mai cessato di cacciare. Nel territorio, al tempo della Sentenza, non mancavano cinghiali, cervi, daini, caprioli, lepri, pernici rosse, starne, per citare solo le specie più comuni.

Cenno al contesto socio-economico

Che la produzione fosse ben al di sopra della sussistenza ci é documentato dalla Sentenza dove si afferma che la corresponsione di un canone in natura (1/20 di frumento e 1/6 di vino), oppure in denaro (400 vittoriati). Perchè una comunità possa permettersi una corresponsione del canone in denaro, è necessario che abbia sviluppato da tempo forme di commercio ben consolidate e un ente centrale di coordinamento per la riscossione di canoni singoli.

Si delinea allora, fra i membri della comunità, una diversificazione di compiti rispetto a quelli propri della produzione e la necessità di una organizzazione del lavoro. Accanto agli agricoltori operavano i commercianti, gli addetti ai trasporti, i coordinatori. L'organizzazione produttiva, non solo doveva essere in grado di accumulare il sovraprodotto destinato allo scambio ed al commercio, ma reciprocamente doveva garantire la ridistribuzione di quanto ricevuto dallo scambio alla popolazione e la corresponsione all'erario di parte dei ricavati del commercio.

In queste condizioni siamo di fronte ad una vera e propria gestione e mobilizzazione delle risorse. Si può allora parlare non di sussistenza ma di economia. Inoltre ciò implica nell'organizzazione una qualche forma di leader-ship permanente. Ecco allora il delinearsi di un tipo di società non più egualitaria come per una comunità tribale, ma una comunità in evoluzione verso una forma di organizzazione superiore. Ad attestarlo è la stessa Sentenza quando afferma che gli occupanti dell'agro pubblico sono chiamati a corrispondere alla comunità un canone pro portione (linea 29). Tale incipiente differenziazione sociale all'interno della comunità rappresenta il primo passo verso una differenziazione di poteri fra individui. Poteri che non hanno ancora efficacia sulle decisioni della comunità perché in essa permane l'istituto politico supremo dell'Assemblea Popolare dove si delibera de maiore parte (linea 30), cioè a maggioranza di suffragi.

Le comunità nominate nella Sentenza erano legate all'oppido Genuate da rapporti particolari di subordinazione, sviluppati da tempo in virtù della posizione preminente di Genova come "emporio dei liguri". (20) Ciò è attestato dalle fonti scritte e dalle fonti archeologiche. Nella Sentenza la subordinazione è palese per più ragioni. Anzitutto l'imposizione del canone, che sancisce possesso e uso dell'agro da parte dei Langensi, ma dominio da parte dei Genuati. Inoltre, mentre i Genuati possono occupare appezzameriti dell'agro pubblico da parte dei Langensi, nessun cenno appare, nella Sentenza, di analogo reciproco diritto dei Langensi sull'agro pubblico di Genova. Genova appare in posizione egemonica nei confronti delle comunità circostanti. Infine, la Sentenza ci attesta che i Genuati, nel corso della controversia coi Langensi, hanno "giudicati, condannati ed imprigionati" alcuni membri di quest'ultima comunità (linea 43). Tale fatto testimonia anche dell'esistenza in Genova di un apparato repressivo, inesistente presso le comunità circostanti. La presenza di una forza pubblica è l'elemento principale che distingue l'organizzazione sociale statale dall'organizzazione sociale primitiva delle tribù gentilizie e delle tribù territoriali. Presenza che diventa necessaria quando la società è spiccatamente differenziata, costituita da classi diverse, inevitabilmente in lotta tra loro.

Anche a Genova l'intensificazione dei traffici, dei commerci e dell'artigianato ha contribuito allo sviluppo della comunità verso una forma di società più complessa, che all'epoca della Sentenza ci appare, anche se in modo embrionale, avviata verso forme di tipo statale.

Con la Sentenza il rapporto di subordinazione dei "castellani" Langensi nei confronti degli "oppidani" Genuati è confermato, se non consolidato, dal Senato romano.

Conclusioni

Concludendo si può affermare che la Tavola di Polcevera ci documenta una Genova che, verso la fine del II sec. a.C. ci appare in piena evoluzione. Essa è in grado di controllare le vie di comunicazione necessarie ai suoi commerci, tenendo in rispetto le popolazioni interne, con energia, ma senza soffocarne la particolare e privata autonomia. Non è nel suo interesse, né nel temperamento dei Liguri. La Tavola ci documenta altresì un Genovesato in lenta evoluzione, con economia non solo agro - silvo - pastorale ma, con commerci, tuttavia conservativo di antichi ordinamenti, che non tollerano usurpazioni dell'agro pubblico da parte dei più ricchi o dei più potenti. Ciascun individuo doveva pagare alla comunità il proprio canone come tutti gli altri, indipendentemente dallo status personale, come sancito dall'Assemblea Popolare, supremo istituto politico ancora integralmente conservato ed ereditato dall'antica Organizzazione gentilizia.


sabato 25 settembre 2021

Il Dialetto Alessandrino, se resta qualcosa.

Questo è un breve post sul dialetto alessandrino, che, come gli alessandrini stessi, è ormai quasi scomparso. In quanti sanno parlare in dialetto in quella città? Oggi quasi nessuno, in pochissimi riescono a capirlo ed è limitato a qualche libro di nicchia e a studiosi ormai in gran parte anziani. Non succede solo nella città piemontese, ma da quelle parti la situazione è particolarmente grave. E' delicato parlare di questo tipo di argomenti che finiscono sempre per richiamare questioni identitarie e campanilistiche della peggior specie, tuttavia penso che lo scomparire di un dialetto sia il sintomo di una cultura che sparisce e, se la cosa è ormai inevitabile, sia giusto almeno cercare di documentarne alcuni caratteri.

L'Alessandrino è un dialetto orientale della lingua Piemontese, appartiene al gruppo dei dialetti monferrini ed è influenzato dal Lombardo e dall'Emiliano (che fanno parte della stessa famiglia delle lingue galloromanze dell'Italia settentrionale). Al contrario di quanto si legga ogni tanto, non ha alcuna influenza ligure (lo ha solo nella parte sud della provincia, culturalmente ligure) e, a differenza del dialetto Tortonese e delle parlate dei paesi ad est del capoluogo, l'Alessandrino resta uno dei dialetti della famiglia Piemontese.

Perché parliamo dell'Alessandrino? Perché questo dialetto conserva (o sarebbe meglio dire conservava) alcune caratteristiche che rimandano a periodi ancestrali precedenti alla latinizzazione: ad esempio la pronuncia resta più vicina a quella francese che a quella italiana e questo rende, tra l'altro, la trascrizione delle parole molto difficile. Un suono che contraddistingue la parlata locale ad esempio è quello della "R" che ritroviamo anche in altre zone del Piemonte e del nord Italia ma che non è tipico di tutta la lingua piemontese. In alcuni casi è detta "R" moscia dai connazionali, ma in realtà si tratta della "R francese" in cui il suono viene emesso senza "arrotare". Anche il modo in cui si pronunciano le vocali avvicina la parlata alessandrina a quella francese: La A generalmente viene chiusa come proprio nel caso del nome della città. Se in Piemontese si dice (A)Lissandria, localmente si la "A" centrale si chiude diventado quasi una "O" infatti generalmente si trascrive "Lisondria" con una S sola tra l'altro.
La stessa cosa succede con la "U" che si chiude e si legge come quella del Francese "Une" o con la "I" che invece sembra ad una E. Ma non essendo io un esperto linguista mi fermo qui e rimando ad approfondire su testi accademici, in ogni caso queste influenze sono antiche e non vanno ricercate nel periodo napoleonico in cui Alessandria, ma anche l'intero Piemonte erano in territorio francese (1800-1815) e in cui addirittura le strade della città avevano nomi francesi, ma nell'origine della lingua, che a differenza per esempio del torinese, ebbe a livello popolare, una minore influenza italiana e conservò questi suoni.



Il piemontese fa parte della famiglia delle lingue galloitaliche (come il Lombardo, l'Emiliano, ecc...) che a loro volta fanno parte della famiglia galloromanza (insieme alle lingue Occitane,
lingue d'oïl, le lingue franco-provenzali e quelle retiche, vedere la mappa sopra). Questa grande famiglia si differenzia dalle altre lingue romanze per il persistere di alcuni caratteri celtici nella parlata latina. E' facile infatti vedere nella mappa di qui sopra un sovrapporsi con i territori occupati dalle Gallie nel periodo romano. La Gallia Transalpina, Narbonense, ecc... in quella che oggi è la Francia, la Gallia Cisalpina in quella che oggi è l'Italia del Nord.

Ma torniamo all'Alessandrino, sono molti i termini in comune con il francese, pensiamo a Sortì per uscire o ai nomi di verdure e frutti, ma ce ne sono alcuni particolarmente significativi e unici che differenziano questo dialetto dal Piemontese e lo rendono unico. 

La parolo "Ghin" (si legge Ghèn nasale, italianizzato in Ghino) vuol dire Maiale e si differenzia dal piemontese "Crin". Il termine si ritrova solo in alcuni dialetti locali nella zona germanofona dell'Alsazia e del Baden-Württemberg il che testimonia un'origine precedente al periodo latino e tedesco, ovviamente, e fa risalire il termine ad un'origine celtica o proto-celtica. Un'altro termine è "Mata" che significa ragazza e che troviamo soltanto in altri dialetti dell'area romancia in Svizzera e che anche in questo caso testimoniano un'origine precedente alla latinizzazione.  

Vi rimando in oltre alla pagina Wikipedia dedicata: https://it.wikipedia.org/wiki/Dialetto_alessandrino
 che incollo qui sotto:

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.


Jump to navigationJump to search

Alessandrino
Lissandren
Parlato in Italia
Parlato in Alessandria (eccetto Novese, Ovadese, Casalese e Tortonese)

Tassonomia
Filogenesi Lingue indoeuropee
Romanze
Galloromanze
Galloitaliche
Piemontese
Dialetto alessandrino
Manuale


Il dialetto alessandrino (lissandren) è una varietà della lingua piemontese parlata in parte della provincia di Alessandria.


Indice
1Descrizione
2Brano in alessandrino
3Note
4Bibliografia
5Voci correlate
Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Sul dialetto alessandrino esiste una discreta documentazione storica relativa a poeti e scrittori in vernacolo. Importanti, anche se non numerosi, i personaggi alessandrini che nel corso dei secoli si espressero vernacolo. Alcuni amarono il genere letterario o meglio ancora il dialogo umoristico-satirico fin dal Cinquecento. Altri preferirono esprimersi scrivendo rime e composizioni in versi.

Caratteristica dell'alessandrino, che è un dialetto appartenente al gruppo orientale della lingua piemontese, è di differire in modo notabile dagli altri dialetti del Piemonte, in quanto maggiormente vicino alle varietà lombarde ed emiliane[1] (il continuum dialettale emiliano si estende infatti fino al Tortonese).

Per esempio: signore e signora vengono tradotti indistintamente come sciur e sciura tipici della lingua lombarda o come monsù e madamen tipici della lingua piemontese.
Brano in alessandrino[modifica | modifica wikitesto]

In òm l'éiva dói fiói.
Er pu giovo ëd sti fiói l'ha dicc a sò pari: “Papà, dami ra part dij ben ch'om toca!”. E lu o j'ha spartì e o j'ha dacc ra soa part.
E da léi a pochi dì, er fió pu giovo l'ha facc su tut e l'è andacc ant in pais lontan, e là l'ha sgarà tut er facc sò a fè der sbauci.
E quand ch'o n'èiva pu nént afacc, i è stacc 'na gran carestia ant col pais, e lu l'ha prinsipià a slantè par vivi.
E l'è andacc e o s'è antrodot an ca 'd jeun dij sitadin 'd col pais ch'o l'ha mandà a ra sò cassinna a fè ra vuardia ai ghén.
E bramava d'ampiss ra panza der giandori ch'i mangiavu ij ghén, e anseun a-j na dava.
Ma quand ch'l'ha vist o sò disingan, l'ha dicc: "O quanta gent 'd servissi an cà 'd mè pari, ch'i han der pan a uffa, e méi acsichì a ma mór dra fam!
L'è mèj ch'a m'àussa, e ch'a vaga da mè pari, e a-j dirò: Papà, méi a i hò mancà còntra o Sé e còntra téi
A 'n mérit gnanca pu d'essi ciamà tò fió. Tratmi 'mè ch'a fissa jeun d'o tò servissi".
E su ch'l'è stacc, l'è andacc da sò pari. Antratant ch'l'era ancora lontan, sò papà o l'ha vist e pijà da ra compassion o j'è cors ancòntra e o n'ha brassà er còl, e ol l'ha basà.
E is fió o j'ha dicc: "Papà, i hò mancà còntra o Sé e còntra 'd téi. A 'm mérit gnanca d'essi ciamà tò fió".
Er pari l'ha dicc ai sò servidor: "Prest, tiré fòra l'avstì pu pressios, e butèjli andòss, e mitij l'anel ant o dij e ij stivalèn ai pè.
E amnè chì er vidèl grass, e massèli, e ch'os mangia e ch'os staga alegrament.
Përché ist mè fió l'era mòrt e l'è risussità, o s'era pers e o s'è trovà". E léi i han prinsipià a fè 'n grand past e stèssni alégher.
Anlora er fió prim a l'era an campagna e quand ch'o tornava, e avzinàndsi a ra ca, l'ha santì ch'i sonavo e ch'i balavo.
E l'ha ciamà jeun dij servidor e ol l'ha interogà su ch'l'era su chì.
E l'àter l'ha rispòst: "L'é tornà a ca tò fradel e tò pari l'ha massà in vidèl grass përché ol l'ha ricuperà san e salv".
E lu l'é andacc an còlra e 'n voriva pu intrè drent; donca l'è surtì fòra er pari, ch'l'ha prinsipià a pregheli.
Ma lu a l'ha rispòst e l'ha dicc al sò pari: "L'è zà tancc ani che méi at serv, e a n'hò maj trasgredì jeun dij tò órdin, e 'n t' m'hai maj dacc in cravèt par ch'a 'm la godissa con ij mè amis.
Ma da dòp ch'o j'è avnì chì is tò fió, ch' l'ha divorà tut er facc sò con der doni 'mè si séja, t'hai massà par lu er videl grass".
Ma er pari o j'ha dicc: "Fió, téi t'èi sémper con méi, e tut col ch'a i hò méi l'é tò.
Ma l'era ben giust da fé in gran past e da fé festa përchè is tò fradel l'era mòrt e l'è risussità; o s'era pers e o s'è trovà".[2]

In questo brano si evidenziano tutte le differenze dell'alessandrino rispetto al piemontese standard (o koiné, dal greco antico, "lingua comune"):
-it e -ti a fine parola vengono pronunciati -cc, fenomeno molto diffuso sia nel piemontese orientale e meridionale che nel lombardo.
Alcune a del piemontese standard vengono pronunciate [ɔ] (scritte <o>) es.: Lissandria>Lissondria
L'articolo indeterminativo piemontese standard "ën" viene pronunciato [in]
Gli articoli determinativi singolari "ël" e "la" vengono pronunciati [er] e [ra] (tipico monferrino), oppure [ʊ] e [a] (influenza ligure).
La preposizione "për" viene pronunciata [par]
Le particelle che si assemblano in coda ai modi indefiniti dei verbi, che in koiné hanno varie finali (o,e), vengono pronunciate con la finale in "-i".
La seconda coniugazione e molte parole che nella koiné si scrivono terminanti per "-e" in alessandrino sono pronunciati terminanti per "-i".
mi (io) diventa [mɛj]; "ti" (tu) diventa [tɛi], "chiel" e "chila" diventano "lu" [ly] e "la", come in vercellese.
"lì" e sì" (lì e qui) del piemontese standard in alessandrino sono "lèi" [lɛj] (influenza emiliana) e "chì" [ki] (influenza lombarda).
I pronomi personali clitici del piemontese standard sono "i, it, a, i, i, a", nell'alessandrino diventano rispettivamente "a, it, o, -, -, i"
Il pronome personale clitico viene spesso eliso fra il che e il verbo che segue, come avviene anche in astigiano. (che a l'é > ch'a l'é > ch'l'é)
"già" diventa "zà" per un'influenza emiliana.
"pì" (più) diventa "pù", per un'influenza lombarda (pussee).
"un" [yŋ] del piemontese standard ("uno" inteso come numero e non come articolo indeterminativo) si pronuncia "jeun" [jøŋ].
La "n" faucale piemontese nelle parole femminili, viene sovente rimpiazzata da una doppia "nn". cassin-a>cassinna
Come in monferrino le finali in "-in" si aprono fino a diventare "-èn" (stivalin>stivalèn). bin [biŋ] (bene) viene pronunciato [bɛŋ].
Nel piemontese standard si dice "rëspondù", "vëddù", "corù", "perdù", "antrodovù" (regolari), mentre in alessandrino si usano (anche, ma non solo) gli irregolari "rëspòst", "vist", "cors", "pers", "antrodot". Questa caratteristica non è ammessa nella koiné.
L'aggettivo indefinito "ës" [әs] (questo) viene pronunciato [is].
Lessico tipico alessandrino:
ghèn: maiali; koiné: crin.
fió: figlio; koiné: fieul.
cincanta: cinquanta; koiné: sinquanta.
Tutte le variazioni diatopiche alessandrine elencate fino ad ora sono state circoscritte a pronuncia e lessico. La grammatica alessandrina ha due sole varianti rispetto a quella del piemontese standard, che non sono ammesse nella koiné:
La negazione può essere posta anche davanti al verbo come una 'n (es.: A 'n mérit gnanca pù d'essi ciamà tò fió, non mi merito neanche più di essere chiamato figlio tuo), ed è concesso il raddoppiamento della negazione ('n... gnanca), cosa che in koiné la annullerebbe di significato.
In koiné, quando si deve esprimere particelle dative, accusative, genitive o locative con i tempi composti di qualsiasi verbo, queste particelle vengono assemblate al participio passato. In alessandrino invece vengono assemblate al pronome personale clitico. Questa forma compare talvolta anche negli scritti in koiné. Non è scorretta, però è rara e ha un suono insolito, aulico o torbido a seconda del contesto.

mercoledì 14 aprile 2021

Druidi e reincarnazione.

Post originariamente apparso sulla pagina del Gruppo Druidico di Alessandria del 01/03/2014

https://druidismoalessandria.blogspot.com/2014/02/druidi-e-reincarnazione.html

 “A voi solo è dato sapere la verità sugli dei e sulle divinità del cielo... Vostra dimora sono le macchie più riposte delle foreste più remote. Voi insegnate che le anime non cadono nelle silenti sedi dell’erebo o nei pallidi regni del sotterraneo Dite, ma che lo spirito passa a reggere altre membra in un altro mondo: la morte, se è vero ciò che insegnate, è il punto intermedio di una lunga esistenza”.

Lucano Pharsalia I, 450-458


A parte qualche scrittore moderno come Jean Markale che si dice contrario al fatto che i Druidi credessero nella reincarnazione, probabilmente a causa del fatto che essa fosse inaccettabile per il contesto cristiano in cui viveva, direi che la "metempsicosi" come andrebbe chiamata veramente, sia una di quelle credenze sulle quali si fondano le nostre conoscienze sui Druidi. Esistono infatti tutta una serie di testimonianze antiche dirette o di poco successive (e quindi le più autorevoli) sul fatto che i celti pensassero che sarebbero tornati sulla terra dopo la morte come uomini, come animali o addirittura come alberi o oggetti. Del resto gli autori classici ci fanno notare più volte come il credo druidico fosse vicino alla dottrina Pitagorica e oggi sappiamo quante fossero le similitudini con i bramini dell'india.

Prima di tutto ricordiamo Giulio Cesare che è la fonte diretta principale per quanto riguarda la società celtica d'oltralpe e con i Druidi ebbe contatti lunghi e diretti: fu infatti amico personale di Diviziaco (Divitiac o Diviciac) Druido della tribù degli Edui e che nel De bello gallico VI, 14 scrive:

"In primo luogo i Druidi vogliono persuadere che l'anima non muore, ma dopo la morte passa in altri: questo dovrebbe essere soprattutto uno sprone al valore, visto che il timore della morte viene abbandonato".

Diodoro Siculo, anch'egli contemporaneo dei Druidi scrive nel suo Historiare V, 28, 6:

"La dottrina pitagorica prevale tra i Galli, e insegna che le anime degli uomini sono immortali e che dopo un certo numero di anni tornano a vivere, quando un’anima si incarna in un altro corpo."

Abbiamo poi Strabone che nel Geographica (IV, 4, 197, 4) dice:

"Comunque non solo i druidi, ma anche altri, ritengono che le anime degli uomini, e l’universo, siano incorruttibili, sebbene il fuoco e l’acqua prevarranno prima o poi su di loro".

Ammiano Marcellino torna sulla dottrina Pitagorica e nel Rerum Gestarum XV, 9, 8 dice:

"I druidi, infine, uomini di maggior talento, si riunivano in sodalizi sotto il segno della dottrina pitagorica, eletti ad indagare le questioni occulte e profonde; sprezzanti verso le cose terrene, pensavano che le anime fossero immortali."

Ma non è finita. Pomponio Mela nel De Situ Orbis III, 2, 18-19 torna sulla critica ai druidi che impongono ai guerrieri la loro dottrina, dal suo punto di vista incredibile, dicendo:

"Uno dei loro precetti è stato reso di pubblico, evidentemente per spingere la popolazione al combattimento. Che le anime sono immortali e che esiste una seconda vita nel regno dell’Oltretomba. Questa è la ragione per cui bruciano e seppelliscono con i loro morti le cose di cui avevano bisogno da vivi. Una volta rimandavano alla seconda vita anche la conclusione degli affari e la riscossione dei crediti. E vi era anche che si gettava spontaneamente sulle pire dei propri defunti, per dividere con loro la nuova vita."

E ancora Lucano nel Farsalia I, 450-58 scrive ancora più chiaramente:

"Secondo quanto voi sostenete, le ombre non scendono nelle silenziose sedi dell’Erebo e nei pallidi domini del profondo Dite: il medesimo spirito governa il nostro corpo in un altro mondo; se voi esprimete cose di cui siete ben sicuri, la morte rappresenta il punto mediano di una lunga vita"

Passiamo adesso ad alcune testimonianze mitologiche, la prima delle quali ci viene dai Greci che ci parlano dalle popolazioni celtiche nostrane, i Liguri. Il mito di Cicnu si perde nella notte dei tempi, ma Esiodo tra il VII e il VIII secolo a.C. lo colloca tra gli Iperborei, sul fiume Eridana (identificato oggi con il Po). Verso il III secolo invece Cicnu viene definitivamente attestato nel mito come Re dei Liguri. Pausania a tel proposito ci racconta:

«La notte prima che Platone diventasse suo discepolo, Socrate vide in sogno un cigno volargli nel grembo; l'uccello chiamato cigno ha fama di doti musicali. Si narra infatti che Cicno, un musico, regnasse sui Liguri al di là dell'Eridano, oltre la terra dei Celti, e dicono che, dopo morto, per volere di Apollo egli sia stato trasformato in uccello.»
(Pausania, 1, 30, 3.[7])


Interessante anche che in questo mito i Liguri venissero messi più a Nord dei Celti, probabilmente per il fatto che i greci chiamavano Celti (un po' come facciamo ancora noi oggi) le popolazioni transalpine che vivevano nell'attuale Emilia-Romagna.

Proseguendo con il mito, finiamo con il libro di Taliesin, poeta gallese vissuto tra il 533 a il 599 circa, ma messo per iscritto forse secoli dopo tra i cui versi troviamo:

“Ho vissuto attraverso la Vita in molte forme, 
più di quante io possa realmente ricordare. 
Sono stato uomo e bestia, mare e cielo.

Ho rivestito una moltitudine di aspetti 
prima di acquisire questa mia forma, 
Sono morto e rinato molte volte, me ne ricordo chiaramente. 

Sono stato goccia di pioggia nell'aria, 
sono stato una stella splendente, 
sono stato parola fra le lettere 
sono stato luce della lampada, per un anno e mezzo. 

Sono stato strada, sono stato aquila, 
Sono stato l'effervescenza della birra. 
Nell'acquazzone sono stato goccia. 
spada nella mano. 
corda dell'arpa degli incantesimi, […] nove anni. 
Nell'acqua sono stato la schiuma; 
ferro di cavallo nel fuoco, albero fra gli arbusti 
Non vi è nulla di cui non sia stato parte".

LINK:
Druidismo e Pitagorismo da BIBRAX http://www.bibrax.org/celti_druidismo/druidismo_pitagorismo.htm
OBOD Reincarnation and Karma (eng) http://www.druidry.org/library/miscellaneous/reincarnation-and-karma

domenica 14 marzo 2021

Incontri Druidici: Roberto "Rovere"

Di Andrea

Ho recentemente incontrato mentre facevo la spesa quello che in gioventù fu il mio primo vero contatto con i druidi (dopo Panoramix nei fumetti). Roberto era uno di quei bizzarri conoscenti che ogni tanto capita di avere in famiglia e per cui ovviamente ho avuto simpatia fin da quando ero piccolo. A parte i discorsi sui druidi era un personaggio incredibile, uno che viaggiava, che aveva lavorato all'estero, era veramente esotico. Anche adesso l'ho notato prima di riconoscerlo per i capelli bianchi lunghi e la camicia a quadri, riesce a distinguersi ancora oggi dai suoi concittadini. Dopo anni che non lo vedevo ne ho approfittato per farmi lasciare un contatto e per fare questa breve discussione per telefono, volevo andare a trovarlo in cascina ma tra piemontesi si ha sempre paura di disturbare. Ho indirizzato la discussione verso le cose di cui parliamo su questo blog, lui intermezza sempre con un po' di dialetto e quindi ho adattato all'italiano per rendere più facile la lettura.

*nota successiva: ATTENZIONE! un'amico mi ha detto che anni fa Roberto scrisse un libretto che girava nella biblioteca locale. Penso fossero dei fogli ciclostilati, purtroppo io non l'ho mai visto e lui mi ha detto che deve cercare. Se qualcuno ne avesse notizia o potesse mandarci delle foto vi prego di contattarci qui sotto nei commenti!

Presentati brevemente e come vuoi:

Ciao, mi chiamo Roberto e sono nato e cresciuto nel Monferrato astigiano negli anni del dopoguerra. Mi sono sempre piaciuti gli alberi e le piante, ma anche gli animali, tutti, da quelli domestici a quelli selvatici. Ho sempre avuto un rapporto più piacevole e sincero con loro che non con i miei simili. Nonostante questo mi sono appassionato a certe cose, a quelle storie che sentivo da bambino dai parenti più anziani e poi da quello che leggevo sui libri di scuola di terre lontane, così appena ho potuto sono andato a lavorare via. Poi sono tornato da queste parti e va bene così, nonostante tutto quello che succede.

Come hai conosciuto il druidismo?

In due momenti distinti. Quando ero un bambino sentivo tutte queste storie e mia nonna raccontava sempre storie di fate, folletti, streghe e masche (insieme ovviamente a Gesù, Madonne, ecc... che mi piacevano meno). In particolare avevo uno zio che parlava di un mascone (io me lo immaginavo proprio come un druido) un uomo strano e "trasandato", che viveva in una capanna nel bosco quado lui era giovane. Ne parlava sempre quando c'era da tirare il collo a una gallina, a lui dava fastidio e non lo faceva mai, allora diceva che prima o poi avrebbe fatto come "Cullà che mangiava solo erba". I bambini quando parlavano delle masche avevano paura, io ho sempre avuto simpatia per quelle cose. Era bello essere bambini a quei tempi, e io avevo gente buona in famiglia. Mia nonna mi diceva sempre di non far del male alle bestie, ben, dovrei raccontare tante cose, mi diceva per esempio di non tagliare mai i rami o le piante se non era necessario. Uno pensa che la gente fosse ignorante e cattiva in campagna e un po' era vero, ma quando ci si conosceva tutti era più difficile e ricordo proprio che la gente ci teneva alla natura, non solo per il denaro. Va bene, poi sono cresciuto e volevo andare via, erano gli anni '60 stavano venendo fuori un mucchio di cose interessanti, ma da queste parti era tutto sempre troppo lento, specialmente per un ragazzo di 20 anni, qui c'era movimento, c'erano anche delle comuni, ma si finiva sempre con pane e salame, bottiglione di vino e discorsi politici noiosi, quelle cose che non mi piacevano perché ci vedevo tanta ipocrisia e alla fine, quando avevo un po' di soldi da parte, sono andato a Londra. Conoscevo una ragazza e anche se parlavo pochissimo l'inglese mi sono messo a lavorare in cucina, sono stato molti anni la, poi mi sono spostato in altri posti sempre in Inghilterra. Li ho conosciuto dei ragazzi che suonavano, musica rock psichedelica, ma anche altro e che mi hanno portato a vedere Stonehenge e vari altri luoghi antichi, meravigliosi, a Stonehenge facevano anche un festival pieno di gente, tutti più matti di me. Non sono praticamente mai tornato qui fino agli anni '80. Leggevo libri buddisti, yoga del periodo, uno di quei ragazzi in particolare si definiva Druido, ma ce n'erano tanti. Erano sempre un po' sballati ma era un periodo veramente pazzesco! Io sono sempre stato sulle mie, anche la in Inghilterra, ma era proprio bello, tutto quello che pensavo di pensare solo io, lo avevo trovato, almeno un po'. La musica, poi c'era questo pacifismo perenne, la non violenza, i vegetariani. Ecco per farla breve è stato poi li che ho tirato le somme e anche un po' per fare il matto, mi sono messo a seguire i druidi.

Cosa significa per te il druidismo?

E' un argomento che mi ha affascinato subito ma in maniera molto personale. L'immagine di questo vecchio saggio e pacifico, vestito di bianco... un po' banale e fasulla, però, c'è qualcosa che me lo ha sempre reso simpatico. Ogni religione ha una parte interessante, persino il cristianesimo delle nostre campagne, ma quando si parla di preti e dogmi da seguire scappo subito. Quindi quella parte li di organizzazioni di druidi che in Inghilterra c'erano già 40-50 anni fa e che poi sono arrivate anche qui sono utili per qualcuno, gente che ha scritto dei bei libri, ma non è roba per me. Io potrei essere anche buddista o non so cos'altro, tra i druidi ho sempre apprezzato il rapporto diretto con la natura e la totale libertà e anche un po' di ironia che c'è alla base, quell'essere dei sempliciotti, me li faceva essere simpatici. Poi io comunque sono un "Druido" diverso, sono amico degli spiriti delle colline e dei boschi che ci sono qui. Cerco di spiegarmi: cerco di avere rispetto per tutto e tutti, con gli uccellini e con l'erba, anche con i ragni che ho sul soffitto. Se trovo un bruco in mezzo alla strada lo sposto in modo che qualcun altro non lo schiacci. Vedere uno di quei tramonti speciali è un'esperienza mistica per davvero e la vista delle Alpi innevate in un bel giorno d'inverno è una vera e propria visione divina. Invecchiando mi sono messo sempre di più a cercare, anche tra i vecchi amici, risalire alla storia dei nostri vecchi, ci sono cose che io non ricordavo, è un peccato che stia andando tutto perso per questa modernità. Siamo diventati tutti degli americani (questa cosa me li dice proprio in dialetto).

E' importante per te il rapporto con il territorio e con gli antenati?

Bon, è una domanda difficile che mi fai. Si, a volte vivendo da solo è come se alcuni dei miei vecchi fossero qui, non so se si capisce, ci parlo insieme. Non a voce alta, ci parlo in testa, faccio proprio dei discorsi. Poi ci sono i miei gatti, certi tornano, lo sai? Hai dei gatti? Ma anche certi merli, ce n'è uno che viene da decenni, lo so che è lui, perde un corpo torna con un altro, ma è sempre lui. Certo i miei antenati li sento nella terra, nell'aria la sera a novembre. Però non mi interessa parlare di antenati per fare dei discorsi di quelli, sai come fanno i fascisti. Mi dispiace che man mano la gente di qui sia sparita, ma è così che va il mondo, cosa che credi che non siano passati i romani, i tedeschi e tanti altri? Però bisognerebbe che tutti rispettassero questi posti se ci vivono, oggi è difficile parlare di queste cose perché chi fa politica ha rovinato il senso delle parole.

Quanto è importante per te l'aspetto ecologico?

Sono di sicuro un ecologista, a modo mio. Anni fa, quando sono tornato, avevo visto che qui la gente ci teneva meno, quante cose avevano rovinato. Mi ero dato da fare anche con altra gente dei verdi, tanti anni fa ormai, ma come sempre poi sono troppo solitario e trovo sempre qualche cosa con cui non sono d'accordo. E' un mio problema, ma cosa vuoi farci? Delle volte vado giù di qua per andare in paese con la bicicletta, è pieno di cartacce, bottiglie, vicino alla strada. E' una cosa che ho visto peggiorare tanto negli anni, ma proprio negli ultimi 10 secondo me. Adesso c'è questa mania della plastica, ma il problema non è la plastica sono gli uomini che non hanno più neanche voglia di portarla a casa o al bidone. Poi lo sai sono uno dei primi vegetariani di qui, io più che essere ecologico cerco di vivere facendo meno danni possibile a questo mondo che mi ha ospitato in questa vita e a tutti gli altri esseri che lo abitano, uccelli, topi o alberi. Sai, si fa quel che si può!

Aggiungi quello che vuoi, se vuoi:

Grazie per avermi riconosciuto e per la telefonata, mi ha fatto piacere parlare di ste cose non mi capita più spesso. Pace e bene a tutti!



sabato 6 marzo 2021

Toponimi celtici nel territorio Alessandrino.

 INTRODUZIONE: Con questa lista cerchiamo di fare un po' di luce sulle origini tanto bistrattate degli alessandrini, in particolare ai nostri avi più antichi quelli che stavano qui prima dei Romani e dei Longobardi e di cui nessuno si ricorda ma a cui dobbiamo alla fine molto.

Nota: abbiamo deciso di non specificare ogni volta l'origine dei nomi come LIGURE o CELTICA, ormai è appurato che i Liguri dell'età del ferro appartenevano alla cultura proto-celtica e celtica continentale, parlavano lingue celtiche, adoravano le stesse divinità principali e avevano simili usanze.

FIUMI - idronimi celtici

Di questo argomento abbiamo già parlato in passato per esempio per quanto riguarda gli idronimi in Piemonte in questo (VEDI POST), che riportiamo qui brevemente. Iniziando dai due fiumi principali della zona, tra i quali è sorta Alessandria e prima di lei Forum Fulvii e prima ancora il centro celto ligure nello stesso punto che, dalle testimonianze archeologiche era abitato fin dal paleolitico.

* Il TANARO è uno dei fiumi più importanti d'Italia e il suo nome, già noto in antichità deriverebbe da TARANUS, variante locale di TARANIS dio celtico delle tempeste e dei fulmini affine allo Zeus/Giove classico, al Thor germanico e a Indra del panteon induista che con le sue piogge lo riempiva di acque donando sia la vita che le inondazioni disastrose. Altra possibile origine del nome sarebbe dall'unione dei due termini celtici  TAN, falesia e AR fiume, ma questa spiegazione risulta meno probabile.

* Il BELBO torrente che scorre nella valle omonima il cui nome è probabilmente legato alla radice *BEL- scintillante, luminoso, probabilmente riferibile alle sue acque e legato a molte divinità celtiche e liguri come Belenus (identificabile con l'Apollo romano), con numerosi riscontri anche in epoca romana in territorio padano, e Belisama. Anche questa valle era popolata, in epoca preromana, dalla tribù degli Statielli il cui Oppida capoluogo era Carystum (Vedi sotto) identificato oggi con Acqui Terme.

* Il BORMIDA o LA Bormida, conosciuto anche con il nome dialettale di Burmia o Bormia deriva dal termine celtico BOR che indica l'acqua che gorgoglia ed è strettamente al dio delle fonti BORMŌ conosciuto cn varianti locali come Borvo, Bormānus, Borbanus, ecc... "il gorgogliante"). Egli era legato alla salute delle acque sorgive e alle fonti termali. Se avete dei dubbi al riguardo pensate alla località termale di Bormio, a Bourbon Les Bains (fonti termali) in alta Marna e varie altre località in francia, ma soprattutto ad altri fiumi nella nostra zona. La valle era popolata, in epoca preromana, dalla tribù degli Statielli il cui Oppida capoluogo era Carystum (Vedi sotto) identificato oggi con Acqui Terme.

* Il BORBERA, che da il nome alla omonima valle in provincia di Alessandria (vedi Bormida) affluente dello Scrivia.

* Il BORBORE, affluente del Tanaro che scorre nelle province di Cuneo e di Asti ma che lo segnaliamo comunque per la vicinanza e l'affinità con i fiumi di qui sopra.

PAESI, BORGHI, LOCALITA'

* AQUAE STATIELLAE (ACQUI TERME)  deve il suo nome alle terme che i romani costruirono utilizzando le acque termali che tutti conosciamo. Il nome originario invece deriva dal nome delle popolazioni Gallo-liguri che qui avevano la loro capitale prima della conquista da parte romana (Vedi il post sul genocidio degli statielli: LINK) chiamata Carystum o Caryscum (vedi Carystum). Gli stessi Statielli, il cui nome gli era forse stato attribuito dai Romani e che voleva dire "gli abitanti originari" gli "stanziali" appunto. Il loro centri generalmente avevano nomi che iniziavano per Car* (forse per via del simbolo sacro delle corna come per i Carni e i Carnuti e del dio Cernunnos) ed è per questo che alcuni pensano che si trattassero dello stesso popolo o di una sotto tribù dei "Carmenati" che occupava grosso modo il territorio che oggi occupa la provincia di Alessandria e di cui si sa poco o nulla. Vedi il POST: "Popolazioni del Piemonte preromano"

* BERGOGLIO antico abitato che si trovava sulla sponda sinistra del Tanaro, demolito ad inizio '700 per fare spazio alla Cittadella di Alessandria. Dell'antico borgo si sa molto poco, ma ci rimangono alcune mappe d'epoca in cui si può notare l'impianto ortogonale che fa pensare si sia sviluppato in epoca medievale su di un accampamento militare romano. Il nome porta la radice indoeuropea Berg, che nelle lingue celtiche significa proprio borgo/villaggio e in quelle germaniche monte/altura. La stessa origine la troviamo anche in Bergamo e in zona in Bergamasco, sempre però con origine incerta. Il nome potrebbe anche rimandare alla divinità Bolgolio, noto solo per una stele gallo-romana scoperta in provincia di Brescia, di cui però non si sa nulla.

Vista di Alessandria in epoca medievale: il ponte di legno sul Tanaro, a sinistra le mura della città, a destra le mura di Bergoglio.

* BOSCO MARENGO nome latino antico: Lucus Maricorum, ossia Bosco (Lucus) dei Marici (Maricorum), come per Pietra Marazzi (vedi) l'altra popolazione gallica che popolava la provincia di Alessandria (e di Pavia). Il nome si è deformato passando tramite latinizzazione, parlata longobarda e volgare trasformandosi in Marengo e in Marazzi. Probabilmente si tratta dello stesso popolo celtico degli Anamari Vedi il POST: "Popolazioni del Piemonte preromano".

* CAMUGNO paese nelle vicinanze di Cartosio (vedi) che si lega a diversi toponimi delle Alpi occidentali legati alla popolazione dei Cammuntii (attestata epigraficamente - Rubat Borei 2019, p.89) come Chiomonte (conosciuta come Camundis nel 739) e vicino a quello dei Camunni della Val Camonica. Il toponimo rimanda alla base indoeuropea Kam- cervide a corna corte, giovane cervide o cerva: il celtico  Cam-ox, "camoscio", lo spagnolo Gamo "daino" l'aggettivo italiano "camuso" (Filippo Maria Gambari)

* CARENTINO paese nei dintorni di Alessandria che si ipotizza anch'esso possa essere stato un villaggio preromano degli Statielli. Vedi * AQUAE STATIELLAE

* CAREZZANO probabilmente si tratta dell'Oppida dei Dectunini di Cerdicia, uno dei 15 oppida, tra Oltrepò e Tortonese, costretti alla resa da Minucio Rufo nel 197 a.C.. Il nome dialettale del paese è Carzou ed è probabile che derivi da Cardicianum appunto, come Monza deriva da Modicia (da - Filippo Maria Gambari - Le ceneri degli Statielli 2020). Anche in questo caso notiamo la radice CAR di molti altri centri di origine celto-ligure della zona.

* CARROSIO altro probabile oppida dagli Statielli nella Val Lemme, con radice in CAR - Vedi * AQUAE STATIELLAE.

* CARTOSIO Centro fondato dagli Statielli non lontano da Acqui. Per anni si è pensato che si trattasse della Carystum originaria , ma la descrizione dell'assedio e della battaglia hanno fatto pensare invece che l'Oppida si trovasse nella zona in cui sorge Acqui. (da - Filippo Maria Gambari - Le ceneri degli Statielli 2020) Vedi * AQUAE STATIELLAE

* CARYSTUM - CARUSCUM - Il famoso oppida degli Statielli identificato con l'odierna Acqui Terme (Vedi * AQUAE STATIELLAE) e talvolta con Cartosio (vedi). Anche se distrutto nel II secolo a.C. è importante segnalarlo qui nella lista anche perchè in teoria il centro abitato è arrivato fino a noi come Acqui. Il termine più frequente è Carystum con la Y derivante da una fonte greca andata perduta e probabilemente derivante da un CARUSCUM originario incerto con un'aggettivazione in -uscum di origine greco-latina. Il toponimo originario è sicuramente a base celtica CAR-CARU (Delamarre 2003 - Lambert 1997, pp. 126-127) "Cervo" rintracciabile anche in Carrù (CN) e forse in Chieri (To) che però deriva del preromano "Carreum" e potrebbe anche quindi essere legato al celtico "carro" che significa appunto carro. Per anni è stato identificato con Cartosio per via nel nome, ma l'analisi della fonte Liviana originaria ci parla di Caruscum sia come il capoluogo degli Statielli, sia come di un oppida fortificato in posizione appena elevata davanti ad una pianura in cui è possibile articolare una battaglia che coinvolge fino a 30.000 contendenti. In oltre il luogo era facilmente raggiungibile dalle armate romane senza doversi addentrare in piccole valli e diventare oggetto di imboscate da parte dei guerrieri galli. Questo fa pensare che il centro si trovasse dove oggi sorge Acqui appunto. Caruscum era si un oppida fortificato, ma più di un semplice castellaro. In esso, dice Tito Livio probabilmente esagerando, che aveva delle grandi mura con due porte e che poteva contenere più di 20.000 guerrieri in assetto difensivo. Calcolando che oggi la città di Acqui Terme con tutta la sua espansione arriva a quasi 20.000 abitanti, la descrizione ci da l'idea dell'importanza che questo Oppida doveva avere in quell'epoca.

* CAVATORE è oggi un piccolo paese di circa 300 abitanti (arrivava a più di 1000 all'inizio del '900) e che si trova poco più in su rispetto ad Acqui in direzione Savona. Il toponimo è notevole perchè conserva nel nome stesso la memoria del popolo dei Cavaturini (Petracco Sicardi - Caprini 1981 p. 43) uno dei popoli nemici di Roma a i quali però sconfitti era concesso l'Ager Compascuus e quindi ricordati nella Tavola di Polcevera nel 117 a.C. insieme ai Dectunini di Tortona e ad altri gruppi dell'entrterra ligure che probabilmente praticavano la transumanza da una parte all'altra dell'Appennino.

La Tavola di Polcevera del 117 a.C. in cui sono ricordate alcune tribù liguri tra cui i Cavaturini e i Dectunini (Dertonini) LINK: https://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/11/la-tavola-di-polcevera-testimonianze.html

* CELLI (frazione di Montale Celli) oppida dei Dectunini costretto alla resa da Minucio Rufo nel 197 a.C. (da - Filippo Maria Gambari - Le ceneri degli Statielli 2020)

* IL CRISTO quartiere di Alessandria. Anche se in molti pensano che il nome di questo quartiere derivi da una pittura murale ottocentesca su di una casa del quartiere si ha notizia della località come paese ancora distaccato dal capoluogo già diversi secoli prima della costruzione dell'edificio. Nel suo documentario " Caristo, la città rubata" Claudio Braggio ipotizza che i sopravvissuti della Carystum originaria (Acqui Terme) si siano trasferiti qui per sfuggire alla conquista romana. E' però ipotizzabile che fosse già un centro ligure in precedenza. Vedi * AQUAE STATIELLAE

* LU è molto difficile, senza testimonianze scritte attribuire un origine certa allo strano nome di questo paese monferrino. L'interpretazione più classica è quella simile ad altri paesi con nomi che iniziano per Lugo-Luco e che derivi da Lucus, termine latino con cui i Romani chiamavano genericamente i boschi sacri alle divinità, che spesso racchiudevano un tempietto-sacrario dedicato agli dèi. Tuttavia nei primi documenti storici, per fare riferimento alla collina su cui sorgeva l'attuale Lu si fa riferimento a nomi come Lugo, Castrum Lugi, Luh, Luco, senza essere associato ad un contesto locale (Lucus Maricorum per Bosco Marengo ad esempio) e che il luogo sorge in cima ad un colle e non in un luogo piano e u tempo boscoso un'altra possibile origine potrebbe essere quella che il toponimo derivi dalla divinità gallica Lúg. E' anche molto difficile che i romani avessero attribuito la sacralità ad un luogo senza che esso fosse già sacro alle tribù locali e in effetti Lugh si legge proprio Lu. Al Dio venivano consacrati generalmente i colli come testimonia ad esempio la collina del Fourvière a Lugdunum, l'odierna Lione il cui nome significava appunto "collina di Lug" ed è comune a diversi centri diffusi in Spagna, Francia e Italia settentrionale (vedi ad esempio Lugo in Romagna e in Spagna).

MARENGO villaggio alle porte di Alessandria sviluppatosi nell'odierna frazione Spinetta Marengo, famosa per la Battaglia napoleonica. Come per Bosco Marengo il nome deriva dalla popolazione gallica che abitava queste terre, i Marici Vedi il POST: "Popolazioni del Piemonte preromano".

* MONTABONE luogo in cui è stata fatta forse la più grande scoperta della zona per quanto riguarda il periodo gallico pre-romano: La necropoli degli Statielli (vedi il post: http://leradicideglialberi.blogspot.com/2019/06/le-ceneri-degli-statielli-la-necropoli.html) in cui un gruppo di liguri continuò a vivere secondo i costumi gallici locali fino al I secolo a.C. dopo la distruzione di Carystum a poco distanza ed in maniera quasi indipendente dalla crescente romanizzazione. Il nome è generalmente attribuito al germanico medievale "Abbo" (uomo, maschio, capofamiglia) e famoso per l'Abone che fonda l'Abbazia della Novalesa. E' curioso però che il nome carolingio risultasse già deformato in Montebono nel 1100. La base celtica Abona - Abu è invece ben presente in area ligure e celtica con il significato di "Fiume" e avrebbe senso con i meandri della Bormida (idronimo anch'esso celtico) su cui sorge Montabone o con il torrente Bogliona a pochi metri dalla necropoli. C'è anche l'antroponimo celtico Abonio, latinizzato in Abonius, che può riferirsi ad un personaggio locale come ad esempio Abonion nelle Asturie a picco sull'affluente Nalòn e quindi Mons-Abonius.

* PIETRA MARAZZI nome latino antico: Petra Mariciorum, ossia Rocca dei Marici, come per Bosco Marengo, l'altra popolazione gallica che popolava la provincia di Alessandria. Di questo popolo si conservava il nome anche ad Alessandria fino al secolo scorso in una delle Porte delle mura della città (i bastioni) oggi demolita: La porta Maricia ancora visibile in alcune stampe. I Marici, ci dice Plinio, furono i fondatori di Pavia e popolavano oltre alla nostra provincia, quella pavese e in parte quella di Piacenza. A piacenza esiste ancora la Via della Porta Maricia. Probabilmente si tratta dello stesso popolo celtico degli Anamari Vedi il POST: "Popolazioni del Piemonte preromano". Anche il nome Marazzi deriverrebbe proprio direttamente dai Marici.

Vista di Alessandria in cui tra le varie cose è indicata la Porta Marica con il n.17 ultima a destra.


* ROCCAVERANO (Asti)
di origine incerta, fu centro abitato in epoca preistorica e preromana da gruppi celtici locali che, pare, inventarono la famosa robiola. Il nome deriverebbe da Rocca di Verano, sinonimo locale di Belanu/Belenus divinità del Sole e della Luce assimilato ad Apollo in epoca romana come Apollo Belenus. Il borgo che si trova in cima ad un monte a circa 800 metri di altitudine era l'ultimo luogo da cui si vedeva tramontare il sole nel giorno più corto dell'anno dietro alle Alpi. Nel punto più alto del paese, dove in epoca medievale è stato eretto il castello, si riunivano le genti delle vallate circostanti per il Solstizio d'Inverno, invocando il dio Sole nel suo momento più debole con falò e celebrazioni pregandolo di rinascere nei giorni seguenti. Le celebrazioni del solstizio d'estate invece si tenevano più in basso dove è stata eretta poi la chiesa di San Giovanni (il santo che in epoca cristiana ha sostituito le divinità solari in Europa). Ancora oggi è possibile ammirare sulla facciata della chiesa parrocchiale attribuita al Bramante e orientata verso il sole al tramonto solstiziale un bassorilievo che raffigura Dio con numerosi simbolismi solari e astrali. Sia all'interno che all'esterno, ma anche in altri punti del paese come su una pozzo e su una cappelletta è onnipresente il sole a otto raggi, simbolo della famiglia dei Bruno che conservava l'insegna di Belenus.

Particolare della facciata della Chiesa della Santa Maria Annunziata di Roccaverano

* ROCCHETTA PALAFEA la parte interessante è PALAFEA che potrebbe derivare da un originario *Palavea/*Palevae da un ligure antico del tipo Palaua (Rio) delle lastre come ricostruito da Peracco Sicardi - Caprini nel 1981 per quanto riguarda Paglione nel territorio di Nizza (da - Filippo Maria Gambari - Le ceneri degli Statielli 2020). Da questa località ci è giunta anche un'epigrafe del periodo romano che ci ricorda M. Cominius M.f. Secundus della tribù Camilia (e quindi cittadino di Alba Pompeia) che indicherebbe un secondo cognomen, forse l'onomastico originario di un indigeno che assume poi nel I secolo d.C. il gentilizio e l'onomastico romani. Commelius è infatti interpretato come un composto celto-ligure Com+Meli (G. Rocca 2012).

* SAQUANA di sicura origine preromana, potrebbe avere a che fare con la dea Sequana, protettrice delle acque che da il alla Senna e ad esempio al torrente Soana, affluente dell'Orco che da il nome alla Val Soana e da cui prende il nome il paese Valprato Soana. La zona intorno al paese è nota per la presenza di numerosi corsi d'acqua tra i quali il "Rio della Madonna" che ci fa pensare appunto ad una tipica trasformazione di un culto pagano preesistente in un culto legato ai santi e alla madonna in epoca cristiana. Altra possibilità è l'accostamento del nome a Sapana "primula rossa" (Delamarre 2003) con la consueta labializzazione della labiovelare ligure e protoceltica locale e celtica continentale dopo il V secolo a.C. (Filippo Maria Gambari).

* TORTONA la cittadina conserva ancora oggi nel suo nome quello del popolo che la abitava in periodo pre romano. Era infatti probabilmente il centro principale della tribù dei Dectunini o Dertonini, da cui Derthona e poi Tortona. Questo popolo ligure decise di allearsi con i Genovesi e quindi con Roma e per questo sembra che i centri non siano stati distrutti ma integrati. Tortona è stata probabilmente la prima colonia romana della zona (della tribù romana Pomptina). Altro oppida conosciuto dei dectunini era Libarna (che infatti divenne città romana) mentre Celeia (Montale Celli) e Cerdicia (Carezzano) sembra avessero opposto resistenza e sono tra i 15 oppida che si dovettero arrendere a Minucio Rufo nel 197 a.C. tra Oltrepò e Tortonese. (da - Filippo Maria Gambari - Le ceneri degli Statielli 2020)

*** Toponimi in ASSI, ASCO, ASCA Sono innumerevoli i paesi dai tipici nomi che finiscono in questo modo con particolare frequenza nella Val Curone e nella zona delle "quattro province": Garadassi, Gregassi, Morigliassi, Brentassi, Bognassi (PV) per dirne alcuni veramente particolari e che hanno anche un ricorrente uso delle R. e i simili e più comuni: Gremiasco, Casasco, Godiasco, Casasco, ecc... concentrati nel Piemonte meridionale, nella lombradia meridionale, in Liguria, in Emilia fino a Parma e in Corsica sono di origine celto-"Ligure". Il suffisso che probabilmente in origine suonava come ASS-ASC è poi stato italianizzato con una vocale finale a seconda della parlata locale e significa semplicemente Villaggio, ma si pensa che in particolare indicassi i villaggi che sorgono su un corso d'Acqua (pensate anche a Bogliasco o Borzonasca in Liguria) L'equivalente del suffisso Ago-Aco generalmente concentrato in Lombardia settentrionale. Una curiosità: alcuni decenni orsono fecero alcuni esami sul DNA degli abitanti dell'alta valle Borbera e Curone, in quanto erano tra le popolazioni che fino agli anni 70-80 avevano avuto meno interazioni con il resto d'Italia.  Altri suffissi di probabile origine gallica sono quelli che finiscono in GNI/GNA/GNO (Bregni, Garbagna, Cegni, Garbagna, ecc...) ma non è chiaro il significato. In generale si considerano di origine celtica le parole con i suoni GN e GL (scritto con la doppia L in francese e spagnolo) molto comuni in Italia Nord-occidentale, in Francia e in Spagna settentrionale.

*** Toponimi in MAGO, MAGUS in celtico "Campo" ossia il Foro romano, dove si incontravano i commercianti per i mercati del bestiame (foro boario latino) e i guerrieri (campo di Marte latino). Di difficile interpretazione nei toponimi odierni in quanto generalmente completamente storpiati come nel caso di Excingomagus diventato Exilles (Delamarre 2003) in alta Val Susa o come nel caso di Camulomagus, il Campo di Marte Camulos (divinità celtica della battaglia assimilata a Marte in epoca romana) ai piedi di Broni storpiato in Camillomagus nel territorio degli Anamares/Anamari.  

LISTA IN AGGIORNAMENTO