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martedì 19 aprile 2022

Il Castello di Graines, una meraviglia in Valle d'Aosta

 Uno dei castelli più affascinanti della Valle d'Aosta è quello di Graines. Si tratta più che altro delle rovine di questa fortezza, ma per varie ragioni è un luogo veramente unico ed è anche una delle cose da vedere assolutamente in Val d'Ayas se vi capita di essere da quelle parti. 

Per raggiungerlo in auto si esce a Verrés dall'autostrada e si sale per la Val d'Ayas e si trova sulla destra poco prima di entrare nel paese di Brusson. La sua storia si perde nei meandri del tempo restando tutt'ora sconosciuta. Ricognizioni di superficie fanno risalire l'uso di questo luogo addirittura alla tarda età del bronzo, intorno al 1000 a.c. mentre i più antichi documenti riguardanti la cappella di San Martino risalgono al 1100 d.c. oltre due millenni dopo. Oggi si pensa che la fortezza visibile oggi sia stata costruita proprio attorno all'anno 1000 d.c. datando proprio la cappella che presenta una pianta riferibile all'architettura del XI sec. Si tratta comunque di un tipico esempio di "castello primitivo valdostano" con un mastio centrale e le mura quadrangolari irregolari che si adattavano alla forma della roccia e che vennero più volte modificate nei secoli. Nel XIII il castello venne infeudato alla famiglia Challant. Dopo essere passato a diverse famiglie la costruzione venne venduta a fine XIX secolo al comune di Brusson.


 L'amore per questa struttura risale allo stesso periodo, quando l'associazione Gli amici del castello si adoperò per la ricostruzione del mastio, parzialmente crollato, e per il restauro delle mura. Dagli anni '90 del XX secolo in poi si sono succedute numerose opere di consolidamento di alcune aree pericolanti e varie indagini archeologiche.

Non è facile oggi ricostruire la planimetria con i fabbricati all'interno delle mura oltre alla torre e la parte adiacente in cui viveva il signore e la cappella. In ogni caso, in seguito alle indagini archeologiche si è riconosciuta una pianta vicino all'ingresso e si è riconosciuto un forno che insieme al ritrovamento di varie ceramiche fa pensare che qui si trovasse la cucina che doveva servire diverse milizie.


Altre foto:










 

domenica 17 aprile 2022

La maledizione del Ru Mort, animismo nelle leggende della valle d'Aosta.

(di Andrea)
Siamo generalmente abituati a vedere le credenze animiste come qualcosa di molto lontano nel tempo o nello spazio. Certe storie che ci giungono dall'estremo oriente ad esempio, ci sembrano spesso un qualcosa di veramente esotico. Nello scintoismo (o Shinto, la religione tradizionale giapponese) hanno una posizione i Kami, carattere che generalmente viene tradotto come "Dei": è in parte giusto ma non è così facile in quanto, anche se lo scintoismo è tutt'ora seguito da gran parte dei giapponesi è un tipo di credenza molto più simile all'antico paganesimo Europeo, non solo a quello classico ufficiale. Con Kami quindi si intendono sia gli dei più importanti, come la dea del Sole Amaterasu, sia gli spiriti più piccoli o lacali come quelli degli alberi o addirittura di un fiore. Come nelle antiche credenze celtiche precristiane esistono anche i Kami dei corsi d'acqua e di altri aspetti naturali e abbiamo visto in passato come questi aspetti siano sopravvissuti nelle leggende delle masche in Piemonte, si tratta della personificazione dell'animismo che sta alla base di molti aspetti del sacro popolare ancora visibile nel cattolicesimo con le varie Madonne della Neve, culti montani e via dicendo. Ma perchè sto parlando di shintoismo? Perchè c'è una leggenda valdostana che potrebbe benissimo trovarsi su un libro di leggende popolari giapponesi se non fosse che viene dalla Valle del Gran San Bernardo in Val d'Aosta:

La maledizione del Ru Mort, Roisan.


"Nei secoli passati i ruscelli per l’irrigazione agricola, i cosiddetti “Ru“, avevano una funzione fondamentale per la sussistenza delle comunità; data la loro importanza ogni ruscello, durante i periodi di piena, era sorvegliato da una guardia.
Un giorno, presso il Ru Mort a Roisan, poco sopra Gignod, una guardia assegnata a questo canale andò a fare il giro giornaliero di controllo.
Non era però un giorno qualunque, e la guardia se ne accorse: senza nemmeno voltarsi, con la coda dell’occhio, il guardiano scorse una vipera nera. Prese quindi un grosso bastone e, colpi su colpi, riuscì ad allontanare la serpe; fatto ciò, più tranquillizzato, proseguì nel suo giro di perlustrazione lungo il Ru.
Ma poco dopo la calma svanì: vide nuovamente la vipera e, spaventato, si affrettò di corsa accanto al ruscello. Una volta giunto più lontano si fermò per riprendere fiato, si guardò in giro sperando di aver finalmente seminato la serpe ma…abbassando lo sguardo se la ritrovò proprio ai suoi piedi.
Preso dall’ira e dalla paura il guardiano afferrò un legno e, con cieca violenza, colpì a morte la vipera.
La brutta storia sembrava finita, ma…da quel giorno il ruscello iniziò a perdere le sue fresche acque, poichè le pareti del ru si sgretolavano, proprio a causa dell’erosione dell’acqua.
Il guardiano si rese conto del danno che aveva fatto solo tempo dopo: egli, convinto di aver ucciso una vipera, aveva in realtà assassinato la Fata che proteggeva il Ru.
E così, da quell’infausto giorno, il ruscello prese il nome di “Ru Mort”, perchè attorno ad esso morì ogni vegetazione, ogni albero e con esso svanì anche la vita. Le acque non scorrevano più ed il ruscello andò perduto."

La differenza sta nel fatto che qui il termine usato è "fata" in altre storie magari è "masca" ma se lo sostituissimo con "kami" la storia non cambierebbe in nessun modo.

venerdì 1 aprile 2022

BIci da avventura parte prima: Il Rampichino: la prima mitica MTB italiana.

Cinelli Rampichino 1985

Un breve post dedicato alla prima mountain bike prodotta in Italia e forse in Europa. Il suo impatto sociale nel nostro paese fu tale che chi oggi ha più di quarant'anni si ricorderà che il nome Rampichino, popolarmente, non indicava soltanto questo modello prodotto da Cinelli ma tutte le bici da montagna. La mountain bike si è voluta tantissimo da allora e il boom che ebbe tra la fine degli anni '80 e i primissimi '90 fu incredibile. Ricordo bene che tutti avevamo la nostra mtb, generalmente i modelli più economici prodotti in Italia da tutte le marche che in un attimo si buttarono nel mercato seguendo Cinelli. Perché un post del genere? Per me il rampichino era un sogno, conservo ancora il numero di Airone che mio nonno mi comprò in edicola uscendo da scuola perchè in copertina c'era un dinosauro, per cui io andavo matto. Bisogna dire che Airone era davvero una rivista meravigliosa, che quel giorno scoprì insieme al Rampichino, non c'entrava niente con quella in cui si è trasformata poi negli ultimi anni, era piena di foto bellissime, viaggi, luoghi che, in un epoca in cui in pochi viaggiavano sul serio facevano sognare e  i bellissimi disegni di Franco Testa. In ogni caso, proprio su quel numero veniva presentata al pubblico italiano "la prima bici da montagna" prodotta da Cinelli in collaborazione con la rivista, in 1000 esemplari numerati e ordinabili soltanto per posta.

Airone 47, 1986

Le foto erano bellissime, il giro con le due bici nelle Alpi marittime era stato documentato con delle foto bellissime, sulla neve e tra i sentieri. Trattandosi del 1985 la bici è molto simile a quella che era la mtb iconica di quegli anni, la Stumpjumper di Specialized (bisogna sempre ricordare però che Mike Sinyard fondò Specialized dopo essere venuto in Europa ed avere importato attacchi e componentistica Cinelli negli USA), telaio robustissimo in acciaio, ruote da 26" con copertoni "artigliati" come dicevano ai tempi e cambio Shimano con tripla davanti e rapporti cortissimi. Il rampichino per i puristi italiani ed europei della bici da corsa era un mezzo pesante e goffo, ma da quel momento divenne appunto un mito di quegli anni. Gente come Keith Haring a New York o Gianna Nannini in Italia lo possedevano e tutte le altre marche iniziarono a copiarlo. In oltre essendo Cinelli dello stesso proprietario di Columbus, Antonio Colombo, aveva le migliori tubazioni in acciaio che si potessero trovare e quel qualcosa di più a livello di design e finiture che ha sempre contraddistinto le sue produzioni. Il nome "Rampichino" tra l'altro veniva da un piccolo uccello insettivoro europeo che si arrampica con facilità sugli alberi.


Ci sono poi due cose importanti da dire sul Rampichino e la sua prima apparizione di cui qui vedete alcune foto. La prima è sicuramente il fatto che questa bicicletta non sia stata presentata come un mezzo sportivo per fare performance. Non si vedono muscoli o vestiti iper performanti, addirittura il colore verde militare era particolarmente sobrio. Con una visione in anticipo di decenni, Cinelli e Airone presentarono anche questa prima mtb come una bici da avventura, per scoprire territori naturali e fare lunghi viaggi selvaggi. Questo era sicuramente un aspetto presente già nella testa dei primi "mountain bikers" californiani, ma in modo molto minore. E certo anche che la bici da viaggio esisteva da tempo, anche se in Italia non aveva un grande seguito, specialmente in paesi come Francia e Germania dove produttori come Peugeot avevano sempre prodotto modelli dedicati a quello scopo. Qui però, guardare l'articolo, ci trovavamo davanti a qualcosa di nuovo.


Si può benissimo notare anche l'abbigliamento, non è quello tipico da ciclismo competitivo, i due protagonisti hanno anche uno zaino. Le bici sono dotate di attacchi per portapacchi e parafanghi, da li a pochi mesi verrà anche prodotta una serie di borse apposta, marchiate rampichino. 

Cinelli/Airone Rampichino con borse dedicate da viaggio.

Cinelli poi proseguì con la produzione di mountain bike per diversi anni ma soprattutto nel '89 fece uscire anche il mitico Passatore, praticamente una "Gravel" in anticipo di più di 30 anni, ma di questo parleremo nella parte seconda di questi speciali sulle bici da avventura. Ultima cosa notevole che fa piacere notare a distanza di tanti anni è che i due ciclisti erano un uomo e una donna. Moltissime volte, specialmente negli ultimi anni, si leggono critiche al ciclismo, ai ciclisti e all'industria ciclistica per un certo maschilismo, o quantomeno una mancanza di attenzione alle donne, il Rampichino veniva presentato come una bici adatto esattamente allo stesso modo ad entrambi i sessi. Devo dire che questa è una cosa che ricordo con piacere ma anche con un po' di nostalgia: la bicicletta vissuta in modo assolutamente non competitivo e non "machista", lo si vede anche nell'altro post che avevamo dedicato ad un altro articolo dedicato al cicloturismo su Airone del 1986 (qui il LINK) e che dimostra anche che in quegli anni anche il nostro paese fosse molto meno provinciale di come generalmente ce lo ricordiamo e di come poi, in molti casi, sia diventato poi.