https://www.youtube.com/channel/UCLLIcVhp1EAThLHsMEirpdA
giovedì 10 marzo 2022
Chi erano i Liguri? Un breve e accuratissimo documentario video.
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mercoledì 2 marzo 2022
La compassione universale (buddismo e vegetarianismo)
- Ad esempio dicendo: "Noi non uccidiamo, compriamo solo la carne".
- Spesso vengono male interpretate le parole del Buddha che una volta rispondendo ad una domanda disse: "Se steste per morire di fame e trovaste un animale morto potreste mangiare la sua carne, ma che il quel caso dovreste essere certi che non sia stato ucciso per essere mangiato: non dovreste avere visto nessuno che lo uccidesse per mangiarlo, non dovreste aver udito nessuno che lo uccidesse per mangiarlo, non dovreste avere nessun dubbio sul fatto che qualcuno lo abbia ucciso per essere mangiato."
- Altri dicono che sarebbe irrispettoso accettare il cibo, qualora esso fosse a base di carne, offerto ai monaci durante la questua da parte dai loro seguaci.
Sempre riguardo al buddismo tibetano, ci sono stati molti importanti monaci che hanno dato una grande importanza alla compassione per gli altri animali:
Uno dei tertön più importanti del Tibet, Jigme Lingpa, scrisse della sua grande compassione per gli animali. Era particolarmente orgoglioso della sua compassione verso di loro e riteneva questo l'aspetto più importante della sua vita. Soffriva nel vedere gli animali macellati, spesso li comprava per liberarli e persuase i suoi seguaci a salvare una yak femmina dalla macellazione, esortando costantemente i discepoli a non uccidere animali.
Shabkar Tsokdruk Rangdrol, in La vita di Shabkar, affermava che bisognava coltivare amore, compassione e Bodhicitta, e smettere di mangiare carne, poiché è sbagliato nutrirsi della carne di esseri senzienti che sono stati nostri genitori in vite passate.
Il 14° Dalai Lama ha elogiato il vegetarianismo, definendolo "meraviglioso" e raccomandandone la promozione. Anche se in passato ha provato a diventare vegetariano, nel 1999 si è saputo che lo era solo a giorni alterni. A Dharamsala segue una dieta vegetariana, ma altrove può mangiare carne. Paul McCartney lo ha esortato a tornare al vegetarianismo stretto, ma il Dalai Lama ha risposto che i suoi medici gli avevano consigliato di mangiare carne.
Altri lama che sono diventati vegetariani includono:
-
Tenzin Wangyal Rinpoche (dal 2008)
-
Arjia Rinpoche (dal 1999)
Il Karmapa Urgyen Trinley Dorje, uno dei due riconosciuti come il 17° Karmapa, nel 2007 ha fortemente raccomandato il vegetarianismo, dicendo che sia nel Mahayana che nel Vajrayana non si dovrebbe mangiare carne. Ha citato antichi maestri come Drikung Shakpa Rinpoche, i quali affermavano che usare carne nei rituali o considerarla sacra è contrario al Dharma.
- Poiché i macellai vendono indiscriminatamente carne d'asino e di cammello, di volpe e di cane, di bestiame, di cavallo, d'uomo insieme a quella di altri animali, non dovete mangiare carne. (sezione XC; p. 201)
- E ancora, non dovete mangiare carne perché ciò impedisce ai praticanti di dare origine a pensieri di compassione. (sezione XC; p. 201)
- Non dovete mangiare carne perché chi uccide le creature viventi prende tanto gusto al sapore della carne che, quando vede un essere, pensa a questa. (sezione XC; p. 201)
- Non approverò mai il consumo di carne. (sezione XC; p. 202)
- Inoltre, Mahāmati, chi uccide lo fa per profitto. Uccidono le creature e le vendono al mercato, dove gli ignoranti che mangiano carne usano la rete del denaro per catturare la loro preda. (sezione XC; p. 202)
- Mahāmati, quando si tratta di carne o pesce, non si può parlare di "non chiederla, non cercarla, non pensare a essa". Per questo motivo, non dovete mangiare carne.
- Mahāmati, in alcune occasioni ho proibito di mangiare cinque tipi di carne, e in altre dieci tipi. Oggi [...] dico: assolutamente niente carne. Mahāmati, il Tathāgata, l'Arhat, il Perfetto Illuminato non ha mai mangiato né tanto meno ha insegnato a mangiare pesce o carne. A causa dei miei atti di grande compassione nel passato, io guardo tutti gli esseri come se fossero miei figli. E perché dovrei approvare il mangiare la carne dei propri figli? (sezione XC; p. 202)
- Gli esseri in un'età futura | potrebbero stupidamente dire della carne: | "È pura e non è sbagliato, | i buddha hanno detto che possiamo mangiarne". (sezione XC; p. 204)
In Cina, Corea, Vietnam, Taiwan e nelle rispettive comunità della diaspora, ai monaci e monache buddhisti è richiesto di astenersi dal mangiare carne, e tradizionalmente anche uova e latticini, oltre alle verdure fetide conosciute come le cinque spezie pungenti (in cinese: 五辛; pinyin: Wǔ xīn), che includono: aglio, Allium chinense (cipollotto cinese), assafetida, scalogno, Allium victorialis (cipolla vittoriosa o porro di montagna). La motivazione dell'astensione dalle erbe pungenti però è in relazione al loro forte gusto, digeribilità e tendenza ad eccitare il corpo che contrasta con la meditazione.
Il vegetarianismo puro o il veganismo ha origini indiane (indic) ed è ancora praticato in India da alcuni seguaci delle religioni dharmiche come il giainismo e, nel caso dell’induismo, il latto-vegetarianismo, che include anche l’astensione dalle verdure pungenti o fetide.
The Lankavatara Sutra: chapter 8, on meat eating:
martedì 1 marzo 2022
La difficile cristianizzazione del PIemonte.
IL PIEMONTE E LA DIFFICILE CRISTIANIZZAZIONE: abbiamo visto in diversi post come il Piemonte sia stato praticamente fino al '700 un'area di passaggio con caratteri particolari e dal grande valore militare ma alla fine sempre un po' marginale rispetto al resto della penisola italica o alla Francia. Le città romane nacquero qui con grande ritardo rispetto al resto del paese e quando i alcuni centri divennero importanti città, le campagne restarono in molti casi luoghi molto selvaggi, per lo più ricoperti da montagne, boschi e paludi. Quando i primi santi arrivarono per evangelizzare la popolazioni non trovarono un computo facile (leggi: Sant'Eusebio e la cristianizzazione del Piemonte) e quando i primi "barbari" giunsero in zona all'inizio del medioevo, in un epoca di grande confusione, si trovarono nelle campagne a che fare con una situazione rurale difficile in alcuni casi ferma al periodo precedente alla conquista romana. Fu così che con l'arrivo di San Colombano a Bobbio partì un periodo di evangelizzazione Irlandese nelle zone che vanno dal Monferrato alla Valle d'Aosta, non privo di scontri e momenti bizzarri (leggi: Meroveo e la persistenza del paganesimo...) e caratterizzato da una grande repressione dei culti e persistenze pagane da parte della chiesa. Tuttavia le campagne continuavano ad essere troppo isolate e selvagge e l'adorazione di pietre e sorgenti, rituali rurali vari, impossibili da eliminare vennero mano a mano accettate e cristianizzate. Questo da il via ad un periodo di quasi accettazione, molto diverso da quella che è la nostra normale idea di medioevo, in cui nelle città la nuova religione è ormai ufficiale anche se non libera di influenze precedenti, nelle campagne si assiste ad una coesistenza più o meno pacifica tra culti ufficiali e popolari oggi molto difficile da comprendere. Di alcuni santi popolari, in particolare alpini e piemontesi, conosciamo in realtà solo la parte folklorica, non ci è giunto niente di scritto ed è sempre difficile capire quanto fossero beati e quanto fossero santoni o guaritori di campagna (leggi: San Baudolino...) Verso l'anno mille l'Europa sembra rinascere, anzi l'Europa che conosciamo oggi forse nasce proprio in grazie ai secoli precedenti e nel romanico l'influenza "barbarica" evidente si affina sempre più con il riemergere delle culture pre-romane e anche preistoriche del vecchio continente. Se dal punto di vista artistico il picco è raggiunto dalle cattedrali nei centri urbani, nelle piccole chiese di campagna "sacro e profano" si fondono in modo ancora più diretto in modo, delle volte, difficile da accettare e comprendere anche per noi contemporanei (leggi: San Secondo a Cortazzone).
sabato 8 gennaio 2022
Ciclismo lento: cicloturismo vintage, appennino emiliano-romagnolo 1986
Da tempo ho scritto un post su questo blog che resta impubblicato perché non lo finisco mai, non riesco a trovare gli aggettivi giusti e cose del genere per finirlo. In ogni caso, la bici ossia l'andare in bici, ma anche a piedi, non come pratica sportiva, ma come locomozione più "umana" e non inquinante da un lato e come attività contemplativa per ritrovare un rapporto con il mondo naturale è uno degli interessi di questa paginetta. Devo dire che sono anche un gran feticista dell'oggetto, specialmente dei telai in acciaio e delle bici meno tecnologiche, quelle che si possono riparare da soli anche dopo decenni ecc... le bici comode, ma di questo appunto voglio parlare in quel post che è come un introduzione a tutto questo. In Italia il ciclismo ha una storia lunghissima e mitica, il problema è che al contrario di altri paesi, viene nella maggior parte dei casi vista come un mezzo sportivo per fare "Performance" e se andate a cercare una bici da turismo per farvi una vacanza su due ruote o per girare in campagna nel tempo libero o muovervi in città, vedrete che la maggior parte dei rivenditori cercherà sempre di vendervi una mezzo da corsa, una mountain bike, o attualmente una gravel (da competizione magari). Ecco io vorrei che come in altri paesi, la Germania, l'Olanda... ma anche la Francia diventasse popolare anche un modo meno competitivo e più amichevole di usare la bicicletta. Ho visto che qui in molti lo chiamano "ciclismo lento" e per semplificare ho deciso di usare questo termine per questi post.
Questo post l'ho scritto per il mio blogghino personale, ma penso che sia perfetto per "Le radici degli alberi" anche per allargare un po' gli orizzonti.
Le foto che pubblico qui sono prese da un articolo uscito sul numero '65 della rivista Airone del 1986. Ai tempi la rivista era veramente ben fatta (un altro mondo rispetto a quella che esce oggi) e io da bambino la guardavo e riguardavo, ne ho diversi numeri, mi ha fatto sognare un mondo e un paese diverso. Le cose purtroppo non sono andate esattamente come pensavo in questo paese, così riguardare certe cose penso potrebbe essere utile non solo a me, vedere che certe cose succedevano anche qui e forse bisognerebbe ricordarselo in un periodo in cui sembra che la cultura italiana sia solo la cucina o la nazionale di calcio.
Un'altra cosa che amo tantissimo di questo servizio, di quell'epoca e della rivista (eccezion fatta per alcune pubblicità) è la sobrietà generale. Le persone, lo stile delle foto, le biciclette, c'è sempre questa eleganza sobria che oggi manca completamente a tutti i livelli.
sabato 20 novembre 2021
La Tavola di Polcevera: testimonianze delle popolazioni liguri.
Penso che questo sia uno dei post più interessanti apparsi su questo blog, parleremo di una delle più notevoli e purtroppo poco conosciute testimonianze sul passato preromano e sulle popolazioni liguri che occupavano l'area dell'entroterra genovese verso il basso Piemonte. Si tratta dell'iscrizione della tavola di Polcevera: una lamina bronzea spessa 0,2 cm, alta 38 cm e larga 48 cm sulla quale è stata incisa una sentenza in lingua latina emessa dal Senato di Roma nel 117 a.C. su una questione di confini tra le popolazioni liguri locali ed è importantissima sia per la storia delle popolazioni locali che per la storia del diritto. Attualmente si trova al Museo Civico di Archeologia Ligure di Pegli (Genova).
«Quinto e Marco Minucji, figli di Quinto, della famiglia dei Rufi, esaminarono le controversie fra Genuati e Viturii in tale questione e di presenza fra di loro le composero. Stabilirono secondo quale forma dovessero possedere il territorio e secondo quale legge si stabilissero i confini e ordinarono di fissare i confini e che fossero posti i termini. E comandarono che, quando fossero fatte queste cose, venissero di presenza a Roma. A Roma di presenza pronunciarono la sentenza, in base ad un decreto del Senato, alle Idi di Dicembre sotto il consolato di Lucio Cecilio, figlio di Quinto e di Quinto Muzio, figlio di Quinto.In base alla quale sentenza fu giudicato: esiste un agro privato del castello dei Viturij il quale agro possono vendere ed è lecito che sia trasmesso agli eredi. Questo agro non sarà soggetto a canone. I confini dell'agro privato dei Langati: presso il fiume Ede, dove finisce il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo, qui sta un termine. Quindi si va su per il fiume Lemuri fino al rivo Comberanea. Di qui su per il rivo Comberanea fino alla Convalle Ceptiema. Qui sono eretti due termini presso la via Postumia. Da questi termini, in direzione retta, al rivo Vindupale. Dal rivo Vindupale al fiume Neviasca. Poi di qui già per il fiume Neviasca fino al fiume Procobera. Quindi già per il Procobera fino al punto ove finisce il rivo Vinelasca; qui vi è un termine. Di qui direttamente su per il rivo Vinelasca; qui è un termine presso la via Postumia e poi un altro termine esiste al di là della via. Dal termine che sta al di là della via Postumia, in linea retta alla fonte in Manicelo. Quindi già per il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo sino al termine che sta presso il fiume Ede. Quanto all'agro pubblico posseduto dai Langensi, i confini risultano essere questi. Dove confluiscono l'Ede e la Procobera sta un termine. Di qui per il fiume Ede in su fino ai piedi del monte Lemurino; qui sta un termine. Di qui in su direttamente per il giogo Lemurino; qui sta un termine. Poi su per il giogo Lemurino; qui sta un termine nel monte Procavo. Poi su direttamente per il giogo alla sommità del monte Lemurino; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al castello chiamato Aliano; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al monte Giovenzione; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo nel monte apennino che si chiama Boplo; qui sta un termine. Quindi direttamente per il giogo apenninico al monte Tuledone; qui sta un termine. Quindi già direttamente per il giogo al fiume Veraglasca ai piedi del monte Berigiema; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo al monte Prenico; qui sta un termine. Quindi già direttamente per il giogo al fiume Tulelasca; qui sta un termine. Quindi su direttamente per il giogo Blustiemelo al monte Claxelo; qui sta un termine. Quindi già alla fonte Lebriemela; qui sta un termine. Quindi direttamente per il rivo Eniseca al fiume Porcobera; qui sta un termine. Quindi già per il fiume Porcobera fin dove confluiscono i fiumi Ede e Porcobera; qui sta un termine. Sembra opportuno che i castellani Langensi Viturii debbano avere il possesso e il godimento di questo agro che giudichiamo essere pubblico. Per questo agro i Viturli Langensi diano, quale contributo, all'erario di Genua ogni anno 400 "vittoriati". Se i Langensi non pagheranno questa somma e nemmeno soddisferanno i Genuati in altro modo, beninteso che i Genuati non siano causa del ritardo a riscuotere, i Langensi saranno tenuti a dare ogni anno all'erario di Genua la ventesima parte del frumento prodotto in quell'agro e la sesta parte di vino. Chiunque Genuate o Viturio entro questi confini possieda dell'agro, chi di essi li possieda, sia mantenuto nel possesso e nel godimento, purché il suo possesso dati almeno dalle calende del mese Sestile del consolato di L. Cecilio Metello e di Quinto Muzio. Coloro che godranno di tali possessi pagheranno ai Langensi un canone in proporzione, così come tutti gli altri Langensi che in quell’agro avranno possessi o godimenti. Oltre a questi possessi nessuno potrà possedere in quell'agro senza l'approvazione della maggioranza dei Viturii Langensi, e a condizione di non introdurvi altri che Genuati o Viturij, per coltivare. Chi non obbedisce al parere della maggioranza dei Langensi Viturii, non avrà ne godrà tale agro. Quanto all'agro che sarà compascuo sarà lecito ai Genuati e Viturii pascervi il gregge come nel rimanente agro genuate destinato a pascolo pubblico; nessuno lo impedisca e nessuno s'opponga con la forza e nessuno impedisca di prendere da quell'agro legna o legname. La prima annata di canone, i Viturii Langensi dovranno pagarla alle calende di gennaio del secondo anno, all'erario di Genua, e di ciò che godettero o godranno prima delle prossime calende di gennaio non saranno tenuti a pagare canone alcuno. Quanto ai prati che durante il consolato di L. Cecilio e Q. Muzio erano maturi al taglio del fieno, siti nell'agro pubblico, sia in quello posseduto dai Viturii Langensi, sia in quello posseduto dagli Odiati, dai Dectunini e dai Cavaturini e dai Mentovini, nessuno vi potrà segare né condurvi bestie al pascolo, né sfruttare in altro modo senza il consenso dei Langensi e degli Odiati, e dei Dectunini e dei Cavaturini e dei Mentovini, per quella parte che ciascuno di essi possederà. Se i Langensi o gli Odiati, o i Dectunini o i Cavaturini o i Mentovini vorranno in quell'agro stabilire nuovi patti, chiuderlo, segarvi il fieno, ciò potranno fare a condizione che non abbiano maggiore estensione di praterie di quel che ebbero e godettero nell'ultima estate, Quanto ai Viturii, che nelle questioni con i Genuensi, furono processati e condannati per ingiurie, se qualcuno è in carcere per tali motivi, i Genuensi dovranno liberarli e proscioglierli prima delle prossime Idi del mese Sestile. Se a qualcuno sembrerà iniquo qualcosa di quanto è contenuto in questa sentenza, si rivolga a noi, ogni giorno primo del mese che siano liberi da cause sulle controversie e sugli affari pubblici.»
Moco Meticanio, figlio di Meticone
Plauco Pelianio, figlio di Pelione
"il rivo che nasce dalla fonte in Manicelo" identificato con il rio Gioventina.
"Il fiume Lemuri" identificato con il torrente Verde.
"il rivo Comberanea" identificato con il rio Rizzolo. ("rivo che porta alla confluenza" (P.S.) (P) (T). Infatti a Isoverde convergono tre corsi d'acqua che all'età della Sentenza formavano il flovio Lemuri.)
"Il fiume Procobera o Porcobera" identificato con il torrente Ricò.
"Il rivo Vindupale" con il rio Riasso.
"il fiume Neviasca" con il rio di Paveto.
"Il rivo Vinelasca" col vallone a Sud di Mignanego.
"Il fiume Veraglasca" identificato con il Torrente Lemme.
"Il fiume Tulelasca" con il Rio Busalletta.
"il rivo Eniseca" identificato con il Rio dei Giovi. (A "rivo Eniseca" è attribuito il significato di "rivo che incide la montagna").

Il Monte Leco (Monte Tuledon), facilmente riconoscibile per le numerose antenne.
Tra i monti vengono indicati (sempre in ordine di testo):
"Il Monte Lemurino" identificato con il Monte Lavergo.
"Il Monte Procavo" identificato con il Monte Pesucco.
"Il Monte Giovenzione" identificato con il Quota 1005 m
"Il Monte appennino che si chiama Boplo" oggi identificato con il Taccone, si parla già di "appennino" riferibile ovviamente a "penn" (picco, altura, sommità o anche "alpeggio" in lingua celtica o riferibile alla divinità delle alture Penn).
"Il Monte Tuledone" oggi identificato con il Leco. (A "monte Tuledone" è dato il significato di "cima tondeggiante" (P.S.), che ben si addice al profilo del monte Lecco, visto sia dalla cresta di confine che sale al monte Taccone, sia dalla media Valpolcevera (Rivarolo, Bolzaneto).
"Il Monte Berigiema"
"Il Monte Claxelo" (Mons Claxrelus) identificato con il Monte Ranfreo.
"Il Monte Prenico" con il Ventoporto.
Altri luoghi:
"La convalle Ceptiena" (Alla "Comvalis Caeptiema" è attribuito il significato di "convalle": "avvallamento che mette in comunicazione due valli", (P.S.). U sito dove oggi sorge Pietralavezzara è un avvallamento che mette in comunicazione le valli di Isoverde e Mignanego.)
"Il Giogo Lemurino"
"Il Giogo Blustiemelo"
"La fonte Lebriemela" (Fons Lebriemelus) identificata con la Fonte a Ovest del Ranfreo.
"La fonte in Manicelo" identificata con la sorgente a occidente di Madonna delle Vigne.
"Il Castello Aliano" identificato con il Bric di Guana.
*Giogo: sommità allungata di una montagna.
Origine della controversia
Nella seconda metà del II sec. a.C., Genova era città federata a Roma e la comunità rurale dei Langensi era sotto la sua giurisdizione ed amministrazione. Nel contesto socio-economico del tempo le terre arabili, i prati, i pascoli, i boschi erano più di oggi essenziali per la vita delle popolazioni rurali. I Langensi rivendicavano vari confini di tali terreni e una diversa normativa d'uso che i Genuati, forti della loro preponderanza, non erano disposti a riconoscere. In particolare, con lo sviluppo dei traffici marittimi e terrestri, delle costruzioni navali, i Genuati tendevano a privilegiare lo sfruttamento dei boschi. Per contro i Langati avevano interesse a sviluppare le culture prative che la vicinanza della via Postumia rendeva proficue per lo smercio del fieno.
La contesa raggiunse una fase acuta; contrasti e disordini divennero pericolosi per la sicurezza pubblica, tanto che i fatti vennero deferiti al supremo tribunale di Roma. La delicata posizione geo-politica del territorio langense, attraversato dalla via Postuinia, arteria di preminente valore strategico, richiedeva vigilanza di popolazioni in pace fra loro. Ciò indusse i Consoli ed il Senato romani ad intervenire.
La controversia verteva attorno ai limiti fra i terreni privati e quelli pubblici, nonché sulle norme d'uso degli stessi da parte dei Genuati e dei Langati. Tali tipi di problemi, ancor oggi, si risolvono solo sul posto. Così nell'anno 637 di Roma (117 a.C.) giunsero a Langasco due noti magistrati romani: Quinto e Marco Minucio Rufo, con i loro tecnici e assieme ai legati genuate e langense: Moco Meticanio e Plauco Pelanio fecero una minuziosa ispezione del territorio, composero la controversia e impartirono le disposizioni per la sistemazione dei termini confinari.
Tornati a Roma i magistrati dettarono la sentenza che fu resa per decreto del Senato il 13 dicembre dell'anno 637 di Roma, alla presenza dei legati delle due parti. Il testo fu inciso su lastra di bronzo la cui matrice rimase presso il Senato nel Tabularium o sanctuarium Caesaris, mentre due copie furono consegnate ai contendenti. Una di tali copie è quella rinvenuta ad Isola di Pedemonte in Valpocevera nell'anno 1506.
I confini
Il contenuto della Sentenza, scritta in lingua latina, oltre alle norme sulla proprietà, possesso ed uso dei terreni di cui diremo più oltre, stabilisce i confini del territorio controverso. Proprio la parte del testo riservata ai confini è la più difficile da interpretare, tanto che i numerosi tentativi di identificazione compiuti dagli studiosi non coincidono. Leggendo il testo della Sentenza si apprende che i confini seguono corsi d'acqua, dorsali e contrafforti montuosi, inoltre, i termini sono fissati in punti caratteristici come cime, fonti, confluenze e attraversamenti di corsi d'acqua. Perciò una ricostruzione topografica attendibile deve tener conto principalmente degli elementi di oro-idrografia insiti nel testo della Sentenza, confrontati col territorio dell'epoca, ricostruito retrospettivamente sulla scorta delle fonti scritte e paleoambientali.
Ciò non è ancora sufficiente se si trascurano le normative dei compilatori: gli Agrimensori romani. Questi usavano una terminologia latina ben precisa, descritta nei loro codici, il cui corpus è riportato in scritti di più autori antichi.
Tenendo conto di quanto sopra è possibile ricostruire, partendo da dati non arbitrari e prescindendo da analisi linguistiche, i confini del territorio oggetto della Sentenza.
L 'agro privato
E' conveniente iniziare dall'agro privato perché per esso si hanno subito disponibili dati sicuri. La particolare forma di quest'agro, ricavabile dal testo della Sentenza, è limitata da corsi d'acqua appartenenti ad un solo bacino idrografico, inoltre il territorio è posto "a cavallo" della via Postumia. Ciò, a confronto col terreno, non lascia dubbi sulla precisa identificazione del centro dei Langensi con l'attuale territorio di Langasco. Si ottengono così le seguenti corrispondenze.
Flovio Porcobera col torrente Ricò;
Flovio Lemuri con l'alto corso del torrente Verde;
rivo Comberanea col rio Rizzolo;
rivo Vindupale col rio Riasso;
rivo Neviasca col rio di Paveto;
rivo qui oritur ab fonte in Mannicelo col rio Gioventina;
fonte in Mannicelo con la sorgente a occidente di Madonna delle Vigne;
rivo Vinelasca col vallone a Sud di Mignanego.
I confini dei terreni riconosciuti privati sono perciò i seguenti. Dalla fonte situata a 150 m. ad Ovest della cappella della Madonna delle Vigne, il confine scende lungo il rio affluente del rio Gioventina e per lo stesso scende fino al torrente Verde, in un punto oggi riconoscibile perché è di fronte alla sede del Comune di Ceranesi. Qui era posto il primo termine. Poi il confine risale il Verde ed il rio Rizzolo fino a Pietralavezzara. Qui erano posti due termini a cavallo della via Postumia. Da Pietralavezzara il confine scende direttamente nel rio Riasso e per esso va nel rio di Paveto che segue fino al torrente Ricò. Quindi il confine scende il Ricò fino ad incontrare, a destra, il rio che proviene da Madonna delleVigne. Qui era posto un termine. Poi il confine risale il rio fino alla cappella del valico dove erano posti due termini a cavallo della via Postumia. Infine scende fino alla fonte dove era partito. Il territorio entro tali confini include: la conca di Langasco, la località Campora, parte di Campomorone, parte di Pietralavezzara e Mignanego. Questi terreni furono riconosciuti di proprietà delle famiglie della comunità, esenti da canone, vendibili e trasmissibili agli eredi.
L 'agro pubblico
Disponendo di dati sicuri sul circuito di confine dell'agro privato è stato possibile ricostruire anche l'estensione dell'agro pubblico. A differenza dell'agro privato, i cui confini sono segnati quasi esclusivamente da corsi d'acqua, per l'agro pubblico sono i crinali montuosi a prevalere, particolarmente nella parte centrale del circuito. Solo il tratto iniziale e i due tratti finali seguono l'idrografia.
Anche per l'agro pubblico è stato possibile individuare una particolare forma fisica che a confronto col terreno ha dato una sola possibilità di identificazione.
Conseguentemente si sono stabilite le seguenti corrispondenze:
- Confluenza Ede-Porcobera Confluenza Verde-Ricò
Mons Lemurinus infumus Località Pontasso
Mons Lemurinus Monte Lavergo
Mons Pocavus Monte Pesucco
Mons Lemunnus summus Poggio "il Termine"
Castelus Alianus Bric di Guana
Mons Joventio Quota 1005 m
Mons Apenninus Boplo Monte Taccone
Mons Tuledo Monte Lecco
Flovio Veraglasca Torrente Lemme
Mons Prenicus Ventoporto
Flovio Tulelasca Rio Busalletta
Mons Claxrelus Monte Ranfreo
Fons Lebriemelus Fonte a O. del Ranfreo
Rivo Eniseca Rio dei Giovi
Flovio Porcobera Torrente Ricò
Pertanto, il confine di tale agro, partendo da Pontedecimo, segue il torrente Verde fino al Pontasso, risale il contrafforte a sinistra, toccando il monte Larvego, il monte Pesucco, sino al poggio detto "il Termine", sullo spartiacque Polcevera Gorzente. Quindi piega a destra per detto spartiacque toccando il Bric Roncasci, il Bric di Guana, la quota 1005 m e il monte Taccone sullo spartiacque dei Giovi, che poi segue sino al monte Lecco. Da questo punto scende la costa a Nord sino al letto del torrente Lemme, lo attraversa, per poi guadagnare in salita la quota 815 m sopra Ventoporto. Da questa cima pianeggiante, il confine scende per la costiera di case Freccie fino al rio Busalletta. Attraversato il rio Busalletta, il confine sale il contrafforte a Sud sino al monte Ranfreo sullo spartiacque dei Giovi.
Dal monte Ranfreo scende direttamente alla sorgente ove parte l'attuale acquedotto di Fumeri e per il rio dei Giovi giunge alla confluenza del torrente Ricò a Ponterosso. Infine per il Ricò raggiunge Pontedecimo.
Lungo il circuito erano posti 15 termini come mostrato dalla carta il territorio include:
Larvego, Caffarella, Isoverde, Gallaneto, Cravasco, Paveto, Fumeri, Costagiutta, Cesino e parte di Pontedecimo. Questi terreni erano aperti all'uso precario tanto dei Langensi quanto dei Genuati per concessione dell'Assemblea langense. I terreni pubblici, a differenza di quelli privati, erano soggetti alla corresponsione di un canone stabilito.
Corrispondenze tra individuazioni topografiche e analisi linguistiche
Una acquisizione apportata alla ricostruzione topografica, riguarda la più precisa corrispondenza tra le nostre individuazioni e le analisi linguistiche compiute dagli specialisti sui toponimi della Sentenza.
I luoghi individuati lungo i confini, associati ai relativi toponimi della Sentenza, hanno ciascuno caratteristiche geomorfologiche diverse. In alcuni casi, tali caratteristiche, mostrano sensibili corrispondenze, anche se, sul significato di quel toponimo non sempre vi è accordo tra gli studiosi. Vediamo alcune corrispondenze significative.
Al "monte Procavo" e stato attribuito il significato di "monte che si affaccia sulla cavità" (P.S.). Ciò corrisponde perfettamente alle caratteristiche del monte Pesucco luogo del IV termine confinario dell'agro pubblico.
Ad "apenninum" si da il significato di "cresta sommitale" (T), oppure di "alpeggio" (P.S.).
La prima versione corrisponde perfettamente alle caratteristiche del tratto di cresta fra il monte Taccone ed il monte Lecco (tratto più elevato dell'intero circuito dell'agro pubblico), posto tra l'88 ed il 98 termine confinario.
A "mons Boplo" è attribuito il significato di "altura" (D. e P.S.), il che corrisponde alle caratteristiche del monte Taccone, il quale oltre ad emergere vistosamente dalla cresta, è anche il monte più alto della Valpolcevera e di tutto il sistema orografico descritto dalla Sentenza.
A "monte Tuledone" è dato il significato di "cima tondeggiante" (P.S.), che ben si addice al profilo del monte Lecco, visto sia dalla cresta di confine che sale al monte Taccone, sia dalla media Valpolcevera (Rivarolo, Bolzaneto).
A "rivo Eniseca" è attribuito il significato di "rivo che incide la montagna" (T., P.S., P.) ed in realtà il rio dei Giovi, da noi identificato con l'Eniseca, ha attualmente profili trasversali più profondi rispetto agli altri corsi d'acqua richiamati dalla Sentenza. Non vi è ragione di pensare a cambiamenti vistosi di tali profili dall'epoca della Sentenza ad oggi. La maggior incisione dell'alveo è tale anche a confronto con corsi d'acqua vicini scorrenti in termini di analoga composizione litologica. Si può quindi pensare che il letto profondo del rio dei Giovi, derivi dall'antica impostazione morfologica unita all'erosione superficiale successiva dovuta all'abbondanza non solo della "fons Lebriemela", ma anche delle sorgenti circostanti.
A Ponterosso è localizzato il toponimo Ricò. Ricò deriva da "rivi caput" cioè, "punto d'origine di un corso d'acqua". Fu introdotto dagli Agrimensori romani per indicare il punto di confine (P.S.). Infatti a Ponterosso è posto il 150 termine dell'agro pubblico secondo la nostra ricostruzione.
Alla "Comvalis Caeptiema" è attribuito il significato di "convalle": "avvallamento che mette in comunicazione due valli", (P.S.). U sito dove oggi sorge Pietralavezzara è un avvallamento che mette in comunicazione le valli di Isoverde e Mignanego.
Al "rivo Comberanea", attuale rio Rizzolo, è dato il significato di "rivo che porta alla confluenza" (P.S.) (P) (T). Infatti a Isoverde convergono tre corsi d'acqua che all'età della Sentenza formavano il flovio Lemuri.
Caratteristiche del territorio
La ricostruzione sopra delineata porta nuove acquisizioni anche per la conoscenza del territorio e delle risorse disponibili. Anzitutto l'estensione. Esso misura complessivamente 4100 ettari di cui 700 per i terreni privati. Inoltre, contrariamente a quanto si è sempre creduto, i terreni non superano, ad oriente, la linea del torrente Ricò e a Nord invece scavalcano lo spartiacque dei Giovi, includendo un'ampia area a vocazione forestale.
Ancora: il Castelus Alianus non risulta situato sullo spartiacque dei Giovi presso la via Postumia, come è sempre stato sostenuto, ma sorgeva sul Bric di Guana, sullo spartiacque occidentale, nei pressi del valico per Marcarolo. Ciò può far pensare che già nell'epoca della Sentenza erano importanti non una ma due direttrici viarie: quella per Libarna-Tortona e quella per Marcarolo-Asti.
Come è facile capire dalle descrizioni precedenti il territorio è esclusivamente montano con dorsali e contrafforti dai versanti a pendenze variabili, con ripiani a mezza costa non numerosi e di superficie contenuta. Tuttavia, la apparente carenza di aree pianeggianti è compensata dalla morfologia dolce delle aree alle quote intermedie dove in realtà si è sviluppato l'insediamento.
Se si confronta il territorio definito dalla ricostruzione topografica con una carta geologica si ricava che i terreni dell'agro privato sono concentrati in un area a substrato argilloscistoso-filladico, caratteristico per lo sviluppo di suolo profondo e fertile che, nelle esposizioni favorevoli, è indicato per attività agricole di buon rendimento. Inoltre il tipo di roccia poco permeabile consente la presenza di un rilevante numero di sorgenti.
Nei terreni dell'agro pubblico predominano ad Ovest le serpentiniti, poco favorevoli allo sviluppo di vegetazione arborea, ma idonee all'instaurazione di formazioni erbacee utili per il pascolo. Anche nell'area di monte Carlo e del rio d'Iso, dove predominano rocce carbonatiche, aride per la circolazione carsica e povere di suolo, può svilupparsi il pascolo magro.
Nell'area attorno al monte Lecco, dominano i metagabbri, i quali pur essendo poco erodibili, producono suolo sufficiente per lo sviluppo di coperture boschive. Infine ad oriente, dove predominano i flyshs cretacei, i suoli sono adatti per tutte le culture.
Occorre inoltre ricordare la presenza di ricchi corsi d'acqua interni e di confine come il Verde, il Lemme, il Busalletta, il Ricò, sfruttabili per l'esercizio della pesca.
Queste sono le risorse ambientali disponibili. Dalla Sentenza possiamo ricavare le risorse economiche che la comunità ha saputo produrre con le tecniche e le attrezzature che possedeva.
Attività e tecniche agricole
La Sentenza ci documenta alcuni prodotti che attestano l'utilizzazione di tutte le risorse disponibili. Anche se il riferimento è solo per l'agro pubblico ciò non esclude che cereali e vite fossero coltivati anche nell'agro privato. Anzi è proprio nell'agro privato che si sono attuate le prime coltivazioni.
Si può pensare che il podere famigliare si costituiva in prossimità dell'abitato con orti, frutteti, vigneti, seminativi e prati e col tempo andava espandendosi utilizzando i terreni più adatti, tanto da occupare aree relativamente distanti dall'abitato come documentato dalla Sentenza.
Tale sviluppo era dovuto al fatto che da tempo le tecniche agricole avevano beneficiato dell'introduzione degli attrezzi in ferro (zappa, vanga, aratro, falce fienaia), tanto che ciò ha reso possibile non solo la produzione per la sussistenza, ma anche la formazione di un sovraprodotto per la corresponsione del canone ai Genuati.
E' implicito nei campi l'impiego delle rotazioni biennali (un anno a cereali, un anno a riposo lavorato), diffuso da tempo in tutta Italia. E' noto che la rotazione ha lo scopo di ripristinare la fertilità del terreno e di riutilizzare il campo l'anno successivo al riposo. Questo non si può ottenere con la tecnica del debbio. Circa i cereali coltivati, è sicuro, l'abbandono dei cereali locali (miglio e farro) a favore di quelli orientali come il frumento. Ce lo documenta la Sentenza.
Non sappiamo se nell'anno del riposo lavorato si impiegassero piante rigeneratrici come le leguminose, note per il loro potere fissatore dell'azoto nel terreno, però l'archeologia documenta, per la Liguria di Levante, culture di favino e pisello in età preromana.
Anche lo sviluppo dei prati, così esteso da impegnare l'agro pubblico, è favorito dall'avvento degli attrezzi in ferro. La falce fienaia è praticamente nata con l'introduzione del ferro. Essa ha prodotto un notevole incremento della foraggiatura.
I prodotti dell'agricoltura erano integrati dall'allevamento ovi-caprino sui terreni compascqui (pascoli comuni). L'agro compascuo, comprendeva oltre ai pascoli anche i boschi dai quali sia i Genuati sia i Langensi potevano trarre legna da ardere e da costruzione. Alle aree compascuali appartenevano anche i corsi d'acqua nei quali si poteva esercitare il diritto di pesca. L'indronimo ligure Porcobera, secondo i linguisti, significa "fiume portatore di trote".
L'esercizio della caccia non è documentato, ma dalla preistoria ad oggi l'uomo non ha mai cessato di cacciare. Nel territorio, al tempo della Sentenza, non mancavano cinghiali, cervi, daini, caprioli, lepri, pernici rosse, starne, per citare solo le specie più comuni.
Cenno al contesto socio-economico
Che la produzione fosse ben al di sopra della sussistenza ci é documentato dalla Sentenza dove si afferma che la corresponsione di un canone in natura (1/20 di frumento e 1/6 di vino), oppure in denaro (400 vittoriati). Perchè una comunità possa permettersi una corresponsione del canone in denaro, è necessario che abbia sviluppato da tempo forme di commercio ben consolidate e un ente centrale di coordinamento per la riscossione di canoni singoli.
Si delinea allora, fra i membri della comunità, una diversificazione di compiti rispetto a quelli propri della produzione e la necessità di una organizzazione del lavoro. Accanto agli agricoltori operavano i commercianti, gli addetti ai trasporti, i coordinatori. L'organizzazione produttiva, non solo doveva essere in grado di accumulare il sovraprodotto destinato allo scambio ed al commercio, ma reciprocamente doveva garantire la ridistribuzione di quanto ricevuto dallo scambio alla popolazione e la corresponsione all'erario di parte dei ricavati del commercio.
In queste condizioni siamo di fronte ad una vera e propria gestione e mobilizzazione delle risorse. Si può allora parlare non di sussistenza ma di economia. Inoltre ciò implica nell'organizzazione una qualche forma di leader-ship permanente. Ecco allora il delinearsi di un tipo di società non più egualitaria come per una comunità tribale, ma una comunità in evoluzione verso una forma di organizzazione superiore. Ad attestarlo è la stessa Sentenza quando afferma che gli occupanti dell'agro pubblico sono chiamati a corrispondere alla comunità un canone pro portione (linea 29). Tale incipiente differenziazione sociale all'interno della comunità rappresenta il primo passo verso una differenziazione di poteri fra individui. Poteri che non hanno ancora efficacia sulle decisioni della comunità perché in essa permane l'istituto politico supremo dell'Assemblea Popolare dove si delibera de maiore parte (linea 30), cioè a maggioranza di suffragi.
Le comunità nominate nella Sentenza erano legate all'oppido Genuate da rapporti particolari di subordinazione, sviluppati da tempo in virtù della posizione preminente di Genova come "emporio dei liguri". (20) Ciò è attestato dalle fonti scritte e dalle fonti archeologiche. Nella Sentenza la subordinazione è palese per più ragioni. Anzitutto l'imposizione del canone, che sancisce possesso e uso dell'agro da parte dei Langensi, ma dominio da parte dei Genuati. Inoltre, mentre i Genuati possono occupare appezzameriti dell'agro pubblico da parte dei Langensi, nessun cenno appare, nella Sentenza, di analogo reciproco diritto dei Langensi sull'agro pubblico di Genova. Genova appare in posizione egemonica nei confronti delle comunità circostanti. Infine, la Sentenza ci attesta che i Genuati, nel corso della controversia coi Langensi, hanno "giudicati, condannati ed imprigionati" alcuni membri di quest'ultima comunità (linea 43). Tale fatto testimonia anche dell'esistenza in Genova di un apparato repressivo, inesistente presso le comunità circostanti. La presenza di una forza pubblica è l'elemento principale che distingue l'organizzazione sociale statale dall'organizzazione sociale primitiva delle tribù gentilizie e delle tribù territoriali. Presenza che diventa necessaria quando la società è spiccatamente differenziata, costituita da classi diverse, inevitabilmente in lotta tra loro.
Anche a Genova l'intensificazione dei traffici, dei commerci e dell'artigianato ha contribuito allo sviluppo della comunità verso una forma di società più complessa, che all'epoca della Sentenza ci appare, anche se in modo embrionale, avviata verso forme di tipo statale.
Con la Sentenza il rapporto di subordinazione dei "castellani" Langensi nei confronti degli "oppidani" Genuati è confermato, se non consolidato, dal Senato romano.
Conclusioni
Concludendo si può affermare che la Tavola di Polcevera ci documenta una Genova che, verso la fine del II sec. a.C. ci appare in piena evoluzione. Essa è in grado di controllare le vie di comunicazione necessarie ai suoi commerci, tenendo in rispetto le popolazioni interne, con energia, ma senza soffocarne la particolare e privata autonomia. Non è nel suo interesse, né nel temperamento dei Liguri. La Tavola ci documenta altresì un Genovesato in lenta evoluzione, con economia non solo agro - silvo - pastorale ma, con commerci, tuttavia conservativo di antichi ordinamenti, che non tollerano usurpazioni dell'agro pubblico da parte dei più ricchi o dei più potenti. Ciascun individuo doveva pagare alla comunità il proprio canone come tutti gli altri, indipendentemente dallo status personale, come sancito dall'Assemblea Popolare, supremo istituto politico ancora integralmente conservato ed ereditato dall'antica Organizzazione gentilizia.
sabato 25 settembre 2021
Il Dialetto Alessandrino, se resta qualcosa.
lingue d'oïl, le lingue franco-provenzali e quelle retiche, vedere la mappa sopra). Questa grande famiglia si differenzia dalle altre lingue romanze per il persistere di alcuni caratteri celtici nella parlata latina. E' facile infatti vedere nella mappa di qui sopra un sovrapporsi con i territori occupati dalle Gallie nel periodo romano. La Gallia Transalpina, Narbonense, ecc... in quella che oggi è la Francia, la Gallia Cisalpina in quella che oggi è l'Italia del Nord.
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Alessandrino
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Dialetto alessandrino
Manuale
Il dialetto alessandrino (lissandren) è una varietà della lingua piemontese parlata in parte della provincia di Alessandria.
Indice
1Descrizione
2Brano in alessandrino
3Note
4Bibliografia
5Voci correlate
Descrizione[modifica | modifica wikitesto]
Sul dialetto alessandrino esiste una discreta documentazione storica relativa a poeti e scrittori in vernacolo. Importanti, anche se non numerosi, i personaggi alessandrini che nel corso dei secoli si espressero vernacolo. Alcuni amarono il genere letterario o meglio ancora il dialogo umoristico-satirico fin dal Cinquecento. Altri preferirono esprimersi scrivendo rime e composizioni in versi.
Caratteristica dell'alessandrino, che è un dialetto appartenente al gruppo orientale della lingua piemontese, è di differire in modo notabile dagli altri dialetti del Piemonte, in quanto maggiormente vicino alle varietà lombarde ed emiliane[1] (il continuum dialettale emiliano si estende infatti fino al Tortonese).
Per esempio: signore e signora vengono tradotti indistintamente come sciur e sciura tipici della lingua lombarda o come monsù e madamen tipici della lingua piemontese.
Brano in alessandrino[modifica | modifica wikitesto]
In òm l'éiva dói fiói.
Er pu giovo ëd sti fiói l'ha dicc a sò pari: “Papà, dami ra part dij ben ch'om toca!”. E lu o j'ha spartì e o j'ha dacc ra soa part.
E da léi a pochi dì, er fió pu giovo l'ha facc su tut e l'è andacc ant in pais lontan, e là l'ha sgarà tut er facc sò a fè der sbauci.
E quand ch'o n'èiva pu nént afacc, i è stacc 'na gran carestia ant col pais, e lu l'ha prinsipià a slantè par vivi.
E l'è andacc e o s'è antrodot an ca 'd jeun dij sitadin 'd col pais ch'o l'ha mandà a ra sò cassinna a fè ra vuardia ai ghén.
E bramava d'ampiss ra panza der giandori ch'i mangiavu ij ghén, e anseun a-j na dava.
Ma quand ch'l'ha vist o sò disingan, l'ha dicc: "O quanta gent 'd servissi an cà 'd mè pari, ch'i han der pan a uffa, e méi acsichì a ma mór dra fam!
L'è mèj ch'a m'àussa, e ch'a vaga da mè pari, e a-j dirò: Papà, méi a i hò mancà còntra o Sé e còntra téi
A 'n mérit gnanca pu d'essi ciamà tò fió. Tratmi 'mè ch'a fissa jeun d'o tò servissi".
E su ch'l'è stacc, l'è andacc da sò pari. Antratant ch'l'era ancora lontan, sò papà o l'ha vist e pijà da ra compassion o j'è cors ancòntra e o n'ha brassà er còl, e ol l'ha basà.
E is fió o j'ha dicc: "Papà, i hò mancà còntra o Sé e còntra 'd téi. A 'm mérit gnanca d'essi ciamà tò fió".
Er pari l'ha dicc ai sò servidor: "Prest, tiré fòra l'avstì pu pressios, e butèjli andòss, e mitij l'anel ant o dij e ij stivalèn ai pè.
E amnè chì er vidèl grass, e massèli, e ch'os mangia e ch'os staga alegrament.
Përché ist mè fió l'era mòrt e l'è risussità, o s'era pers e o s'è trovà". E léi i han prinsipià a fè 'n grand past e stèssni alégher.
Anlora er fió prim a l'era an campagna e quand ch'o tornava, e avzinàndsi a ra ca, l'ha santì ch'i sonavo e ch'i balavo.
E l'ha ciamà jeun dij servidor e ol l'ha interogà su ch'l'era su chì.
E l'àter l'ha rispòst: "L'é tornà a ca tò fradel e tò pari l'ha massà in vidèl grass përché ol l'ha ricuperà san e salv".
E lu l'é andacc an còlra e 'n voriva pu intrè drent; donca l'è surtì fòra er pari, ch'l'ha prinsipià a pregheli.
Ma lu a l'ha rispòst e l'ha dicc al sò pari: "L'è zà tancc ani che méi at serv, e a n'hò maj trasgredì jeun dij tò órdin, e 'n t' m'hai maj dacc in cravèt par ch'a 'm la godissa con ij mè amis.
Ma da dòp ch'o j'è avnì chì is tò fió, ch' l'ha divorà tut er facc sò con der doni 'mè si séja, t'hai massà par lu er videl grass".
Ma er pari o j'ha dicc: "Fió, téi t'èi sémper con méi, e tut col ch'a i hò méi l'é tò.
Ma l'era ben giust da fé in gran past e da fé festa përchè is tò fradel l'era mòrt e l'è risussità; o s'era pers e o s'è trovà".[2]
In questo brano si evidenziano tutte le differenze dell'alessandrino rispetto al piemontese standard (o koiné, dal greco antico, "lingua comune"):
-it e -ti a fine parola vengono pronunciati -cc, fenomeno molto diffuso sia nel piemontese orientale e meridionale che nel lombardo.
Alcune a del piemontese standard vengono pronunciate [ɔ] (scritte <o>) es.: Lissandria>Lissondria
L'articolo indeterminativo piemontese standard "ën" viene pronunciato [in]
Gli articoli determinativi singolari "ël" e "la" vengono pronunciati [er] e [ra] (tipico monferrino), oppure [ʊ] e [a] (influenza ligure).
La preposizione "për" viene pronunciata [par]
Le particelle che si assemblano in coda ai modi indefiniti dei verbi, che in koiné hanno varie finali (o,e), vengono pronunciate con la finale in "-i".
La seconda coniugazione e molte parole che nella koiné si scrivono terminanti per "-e" in alessandrino sono pronunciati terminanti per "-i".
mi (io) diventa [mɛj]; "ti" (tu) diventa [tɛi], "chiel" e "chila" diventano "lu" [ly] e "la", come in vercellese.
"lì" e sì" (lì e qui) del piemontese standard in alessandrino sono "lèi" [lɛj] (influenza emiliana) e "chì" [ki] (influenza lombarda).
I pronomi personali clitici del piemontese standard sono "i, it, a, i, i, a", nell'alessandrino diventano rispettivamente "a, it, o, -, -, i"
Il pronome personale clitico viene spesso eliso fra il che e il verbo che segue, come avviene anche in astigiano. (che a l'é > ch'a l'é > ch'l'é)
"già" diventa "zà" per un'influenza emiliana.
"pì" (più) diventa "pù", per un'influenza lombarda (pussee).
"un" [yŋ] del piemontese standard ("uno" inteso come numero e non come articolo indeterminativo) si pronuncia "jeun" [jøŋ].
La "n" faucale piemontese nelle parole femminili, viene sovente rimpiazzata da una doppia "nn". cassin-a>cassinna
Come in monferrino le finali in "-in" si aprono fino a diventare "-èn" (stivalin>stivalèn). bin [biŋ] (bene) viene pronunciato [bɛŋ].
Nel piemontese standard si dice "rëspondù", "vëddù", "corù", "perdù", "antrodovù" (regolari), mentre in alessandrino si usano (anche, ma non solo) gli irregolari "rëspòst", "vist", "cors", "pers", "antrodot". Questa caratteristica non è ammessa nella koiné.
L'aggettivo indefinito "ës" [әs] (questo) viene pronunciato [is].
Lessico tipico alessandrino:
ghèn: maiali; koiné: crin.
fió: figlio; koiné: fieul.
cincanta: cinquanta; koiné: sinquanta.
Tutte le variazioni diatopiche alessandrine elencate fino ad ora sono state circoscritte a pronuncia e lessico. La grammatica alessandrina ha due sole varianti rispetto a quella del piemontese standard, che non sono ammesse nella koiné:
La negazione può essere posta anche davanti al verbo come una 'n (es.: A 'n mérit gnanca pù d'essi ciamà tò fió, non mi merito neanche più di essere chiamato figlio tuo), ed è concesso il raddoppiamento della negazione ('n... gnanca), cosa che in koiné la annullerebbe di significato.
In koiné, quando si deve esprimere particelle dative, accusative, genitive o locative con i tempi composti di qualsiasi verbo, queste particelle vengono assemblate al participio passato. In alessandrino invece vengono assemblate al pronome personale clitico. Questa forma compare talvolta anche negli scritti in koiné. Non è scorretta, però è rara e ha un suono insolito, aulico o torbido a seconda del contesto.
sabato 21 agosto 2021
Un ricordo della mia carissima gattina Siouxsie, quando muore un gatto.
A Siouxsie piacevano molto i cartoni animati.
1 agosto 2021
Introduzione: Questa mattina verso le 10 ho ricevuto la chiamata dalla clinica veterinaria in cui il dottore mi informava che la mia carissima Siouxsie aveva avuto una crisi respiratoria e non aveva passato la notte. Speravo che mi dessero notizie di un miglioramento, ma non è stato così. Giovedì era venuta a svegliarmi come sempre con il suo entusiasmo, testate e zampate. Al pomeriggio mi sono accorto che non era venuta a mangiare e dopo averla cercata l'ho trovata in una cuccia particolarmente nascosta nel mobile Ikea. Non ci ho fatto troppo caso. La sera mi sono reso conto che aveva le orecchie calde e quando dopo pochi minuti è venuta in cucina per cercare cibo ho visto che barcollava e non si reggeva in piedi. Mi sono spaventato e dopo aver chiamato Cristina per dirgli che la nostra gattina stava male sono uscito con lei nel trasportino e sono andato alla clinica 24/24 che c'è qui ad Alessandria. Da quel momento è stata tutta una serie di lastre ed esami. La mattina stava ancora male, ritorno alla clinica che trova la causa nel cuore ingrossato, purtroppo nessuno in zona può fare un ecocardio così dopo varie telefonate la porta all'istituto di Novare, una specie di grande ospedale veterinario. Li dopo un'attenta visita vediamo che il cuore non c'entra ma Siouxsie che non mangia dal giorno prima va ricoverata. Il giorno dopo faranno gli esami. La mattina dopo mi chiamano, sembra che la febbre sia scesa da sola, ma continua a non mangiare, in giornata faranno tutti gli esami. La sera mi chiamano e sembra che la causa sia un iperglicemia che ha causato un infezione all'intestino. Bisognerà capire se è diabetica e se l'intestino è da operare. Io intanto sono 2 giorni che sono preoccupatissimo, ho recitato mantra e altro per cercare di influenzare positivamente le cose, in qualche modo questa ipotesi mi da un pochino di solievo, penso che si possa curare riesco a mangiare qualcosa e dopo altri mantra vado a dormire, crollo come un sasso, era tempo che non succedeva. Verso le 5, Loki, suo fratello mi sveglia urlando, mi alzo per dargli qualche crocchetta. Mi risveglio alle 8 e inizio con altri mantra, non riesco a mangiare niente. Alle 10 arriva la chiamata in cui, come dicevo prima, venivo in formato che la mia Siouxsie aveva lasciato il corpo. Probabilmente aveva una gravissima infezione al sistema nervoso fulminante. Non so davvero come farò, chi non ha mai avuto gatti, o magari chi ne ha avuti come se ne avevano una volta in campagna è difficile possa capire cosa vuol dire. Il 21 gennaio 2020, poco prima della grande epidemia, ci aveva lasciato anche Hela, la nostra gatta più anziana e due mesi fa Merlino, il gatto dei miei genitori, di cui magari un giorno scriverò. Oltre al Corona Virus gli ultimi due anni sono stati terribili per queste e tante altre perdite, mentre scrivo faccio davvero fatica a non essere negativo.
Una delle mie foto preferite, i suoi occhi a "bottone".
Un ricordo della mia carissima Siouxsie
(Importante: se state passando per una situazione simile, forse è meglio andare direttamente al paragrafo successivo, queste righe sono molto personali e leggerle potrebbero fare più male che bene a voi)
Dopo questo lungo preambolo mi piacerebbe parlare un pochino di Siouxsie. Dico subito che è stata la gatta più entusiasta e soprattutto più affettuosa che abbia mai avuto, questo rende questo momento davvero difficile. Un giorno di luglio del 2013 avevamo trovato lei e suo fratello da un banco di gattare al mercatino delle pulci di Casale. L'episodio fu veramente curioso: Cristina si svegliò quella domenica mattina dopo essersi sognata un gattino tigrato che arrivava in casa nostra. Era la seconda domenica del mese e c'era il mercatino a Casale dove quasi sempre andavamo. Arrivati la abbiamo visto questo banco sotto il sole con diversi gattini, in una gabbia ce n'erano due piccoli piccoli di cui uno tigrato. Abbiamo capito subito che era quello del sogno e che sarebbe venuto a casa con noi. La tipa del banco lo ha fatto prendere in braccio a Cristina ma subito la sorellina nera si è messa sulle sbarre disperata guardando il fratello. Non c'era possibilità: dovevamo portarli a casa. Così, dopo aver firmato alcune carte li abbiamo messi in uno scatolone e siamo andati a casa. Sulla strada, a Mirabello ci fermarono anche i carbinieri, che notarono i gattini. Senti uno dei due che lo diceva all'altro sotto voce e ci fecero subito ripartire. Erano proprio piccoli, Siouxsie era la più energica e per cercare di uscire dallo scatolone calpestava Loki. Non avevano ancora un nome e non sapevamo nemmeno se fossero maschio o femmina. Il giorno dopo dal veterinario lo scoprimmo e decidemmo di chiamare Loki il tigrato (come il dio nordico del caos e di tante altre cose poco belle) e Siouxsie la nera come la famosa cantante gotica. Dopo pochi giorni scoprimmo a nostre spese che erano pieni di funghi. Io non venni particolarmente colpito, ma Cristina e addirittura mia Mamma si. Restarono chiusi in una stanza per un po' di tempo fin che non guarirono. Siouxsie in particolare era diventata tutta spelacchiata! Con il tempo però svilupparono entrambi una bellissima e foltissima pelliccia. Erano sempre insieme e lo sono stati fino a venerdì. La mattina si rincorrevano come matti, passando anche su di noi sul letto. A Siouxsie piaceva mangiare e quindi era un po' cicciotta. Era una gatta nera ma così piena di entusiasmo, non lo dico adesso per circostanza, chiunque la conoscesse un pochino lo sapeva. Mi faceva le feste addirittura quando da una stanza entravo in quella in cui si trovava lei. Rispondeva sempre quando la chiamavo, o quasi, se non era troppo comoda. Quando tornavamo a casa lei veniva sempre, ma proprio sempre alla porta a fare le feste. Delle volte addirittura si metteva su due zampe come un orsetto. Quando mi vedeva, anche se era su un cuscino o su una sedia, si rotolava sempre per la felicità di vedermi, era incredibile. Appena dicevo Siouxsie mi veniva incontro facendo mille versi, si strusciava si rotolava, penso che nessuno al mondo fosse così felice di vedermi in ogni momento. Aveva degli occhi "a bottone" che a volte erano quasi inquietanti, così grandi e tondi. Quando le tiravamo fuori il cibo era così esaltata che le vibbrava la coda fortissimo. Un'altra sua caratteristica era il dimenticarsi spesso la lingua fuori dalla bocca dopo essersi pulita, rendendosi veramente buffa. A differenza della povera Hela non era estremamente appassionata di dolci, però comunque li apprezzava. Le piaceva addirittura l'insalata scondita e cercava sempre di fregarmi il muesli, in particolar modo le uvette che cercavo attentamente di non lasciarle mangiare. le piaceva il gelato e lo yogurt di soia. Era cicciotta e il suo pelo foltissimo e morbido. Sembrava un orsetto, con quelle zampe corte e le orecchie un po' più piccole di quelle degli altri gatti anche se a punta e sopra alla testa. La cosa più incredibile era poi che guardasse con attenzione sia i documentari sugli animali sia i cartoni animati. Una giorno comprammo l'anime "Mary e il fiore della strega" in cui la streghina incontra un gattino nero e lei stette a guardare tutto il film, in alcuni momenti avvicinandosi alla tv. Come dicevo è sempre rimasta legatissima al fratello Loki che leccava e puliva in continuazione e con cui dormiva e stava spessissimo. Siouxsie comunque era molto affezionata a noi, era davvero incredibile. Quando facevamo i nostri esercizi di Yoga e di meditazione lei era sempre con noi: si sedeva sul materassino e generalmente si tranquillizzava, sembrava davvero che a volte facesse meditazione con noi. Quando avevo bisogno di allungarmi, le facevo segno di andare sul mio cuscino e lei ci andava davvero, sedendosi. Quando dipingevo veniva sempre in studio e cercava di starmi in braccio. Durante il lockdown del 2020 era praticamente sempre in braccio o sul mio tavolo e si vedeva anche in diverse dirette che feci su instagram in quei difficili momenti. Era anche soprannominata "panda" non solo per la sua forma ad orsetto, ma anche perchè cercava sempre di mangiarmi (e ci riusciva) la pianta di bamboo che avevo sul balcone. Insomma quella di oggi è stata davvero una delle più grandi perdite della mia vita. Ho fatto tutto il possibile appena mi sono accorto che non stava bene, eppure mi sento lo stesso in colpa. Mi dispiace così tanto di averla lasciata in clinica le ultime due notti, ma non avrei potuto fare altro, aveva 8 anni e speravo davvero che sarebbe tornata a casa. Io penso che tutti gli esseri non siano solo corpi fisici e in particolare negli ultimi anni e negli ultimi tempi ne sono diventato sempre più convinto e cosciente. Tuttavia il distacco fisico e la sofferenza fisica continuano ancora ad essere aspetti che non riesco ad affrontare. O meglio non riesco a comprendere. Il pensiero di non rivederla più (almeno nel suo bel corpo, così com'era) è davvero insopportabile in questo momento. Era lo spirito felice di questa casa e la tristezza di non poterla più vedere si aggiunge al fatto di aver perso uno dei pochissimi esseri che mi amavano davvero in questo mondo, lei lo faceva in modo veramente sincero e puro, sempre. Era una vera espressione di gioia in questo mondo.
Oggi ho letto una cosa che mi è piaciuta molto:
Dicono che i gatti siano piccoli monaci meditativi, capaci di portare l’armonia in casa. Secondo l’ordine buddista del Fo Guang Shan, ad esempio, sono come persone che hanno già raggiunto l’illuminazione.I gatti sono esseri liberi che bevono quando hanno sete, che mangiano quando hanno fame, che dormono quando hanno sonno e che fanno ciò che devono in ogni istante, senza sentire la necessità di compiacere nessuno.
Non si lasciano trasportare dall’ego e un particolare curioso di questi animali, secondo il buddismo, è che hanno imparato a comprendere gli uomini da tempi ormai remoti, al contrario, le persone ancora non imparano a comprendere i gatti.
Son leali, fedeli ed affettuosi, le loro dimostrazioni d’affetto sono intime e indirette ma, nonostante ciò, tremendamente profonde. Solo coloro in grado di scavare nel proprio Io interiore, con rispetto e dedizione, godranno del loro amore ineguagliabile; ma le persone instabili o che alzano spesso la voce non saranno mai gradite ai gatti.