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domenica 31 dicembre 2017

La chiesa di San Secondo a Cortazzone, il romanico barbarico in Piemonte e l'altra cristianizzazione del Piemonte.

Prima o poi dovevamo farlo, un post dedicato a questa incredibile e misteriosa chiesa persa tra i colli astigiani. San Secondo è un monumento unico, per vari motivi e per questo è stato dichiarato Monumento Nazionale. Questa zona del Piemonte è disseminata da piccole chiese solitarie che un tempo erano le chiese degli innumerevoli villaggi che sorgevano tra i boschi e le paludi che coprivano il territorio piemontese. Le popolazioni di origine celtica (o celto ligure se ci tenete) che abitavano fuori dai centri più importanti che si erano costituiti in epoca romana continuavano a vivere in modo molto primitivo, la fede cristiana era praticata superficialmente, insieme ai culti pagani di pietre, alberi, fiumi, ecc... che continuavano a svolgersi nelle campagne nonostante le missioni di evangelizzazione di Sant'Eusebio. Fu per questo che intorno all'anno mille il vescovo di Piacenza inviò dei monaci per insegnare l'agricoltura e per evangelizzare queste popolazioni ancora che vivevano "nell'ignoranza e nella superstizione". Ed è per questo che in questi luoghi lo stile romanico ricco di peculiarità, a volte detto barbarico. E' questo il periodo in cui poco distante da qui è anche nato e cresciuto San Baudolino di cui abbiamo parlato (LINK) per capire il contesto. Anche se si cerca di dimenticarlo e soprattutto si cercava fino a qualche decennio fa, il paganesimo era difficile da estirpare completamente. Si è trattato più che altro di nasconderlo. Così mano a mano che Giove e Taranis diventavano Dio, il Sole diventava suo fglio il Cristo e le sue caratteristiche più terrene venivano trasferite a San Giovanni, le matrone e le dee femminili dopo tanti tentativi restavano impossibili da eliminare e si trasformavano nelle varie madonne, molti altri dei e spiriti locali si trasformavano a loro volta in santi, altri culti come quello delle pietre erano veramente impossibili da cristianizzare, anche per il loro carattere rurale ancora più ai limiti. Fu così che ci si limitò a incidere croci sulla roccia o ad associare un santo o una madonna a questi luoghi. Sui monti si costruirono santuari e così via.


Ma torniamo a cercare di capire perché questo territorio sia pieno di chiesette romaniche isolate: come si diceva poco più in alto verso la fine del primo millennio queste zone erano ancora coperte da selve realmente selvagge (silvae, sterminate foreste naturali) e da boschi (boscha) già soggetti a ceduazione per produrre legname. Con il finire delle incursioni ungare, saracene e normanne un po' in tutta Europa ci fu un miglioramento delle condizioni sociali, un incremento demografico che portò ad un allargarsi delle coltivazioni cerealicole e al pascolo con il formarsi di nuovi villaggi contadini e con l'allargarsi dei ancuni di essi in veri e propri paesi. Fu allora che proliferò il sistema delle pievi e dei sentieri sacri che portavano i pellegrini a roma da tutta Europa. Gran parte degli edifici romanici che oggi costellano le colline, i bordi dei campi o si nascondono tra i pochi boschi rimasti nacquero come chiese di villaggio. Edifici battesimali, tituli (chiese minori) molti dei quali sono tra l'altro andati perduti. Verso la fine del medioevo con una nuova instabilità politica, ci fu un nuovo calo demografico, una regressione agraria e una nuova espansione delle selve, la famosa crisi del 1300. I contadini abbandonarono villaggi e paesi che erano costruiti in legno e malta di fango e di cui non ci è rimasto praticamente niente se non le chiese ed i cimiteri isolati che infatti erano costruiti in solida pietra locale e mattoni, oggi isolate e solitarie.
Un altro caso molto interessante e che probabilmente interessa San Secondo è che le piccole chiese sorsero in luoghi dominanti in cima a colli e colline o che in passato avevano accolto le aediculae pagane (nota 1), mucchi di pietre rituali, gli ometti che ancora oggi in Piemonte vengono chiamati mongioie e guarda caso il colle su cui sorge si chiama proprio Mongiglietto dal latino Mons Iovis, Monte di giove. Il Giove in questione generalmente poteva essere una divinità associata in epoca romana, come ad esempio il Giove Pennino, romanizzazione di Penn, divinità celtica e ligure delle alture da cui appunto deriva il nome delle Alpi Pennine, dei tanti monti Penna e Pennino e appunto degli Appennini.


L'edificio: la pianta principale è suddivisa in tre navate orientate verso il sorgere del sole che terminano in altrettante absidi circolari. La chiesa è prevalentemente costruita in pietra arenaria locale con inserimenti in mattoni e misura 19,50 metri di lunghezza per 8,60 di larghezza, mentre il colmo del tetto arriva a 8,25 metri. La facciata anch'essa principalmente in pietra è sovrastata da un campaniletto di mattoni aggiunto nel 1600 per richiamare i fedeli. Sopra al doppio arco di pietra si vede una cornice di conchiglie che indicherebbe il luogo di sosta sulla via dei grandi pellegrinaggi e sotto gli archetti si vedono le prime sculture zoomorfe molto consumate. Il lato nord è piuttosto disadorno mentre le absidi sono riccamente decorate con semicolonne e capitelli floreali. Nodi e altri motivi floreali decorano le mensole su cui appoggiano gli archetti. Sotto uno di essi c'è una figura umana che si aggrappa (abside centrale) vicino ad un nodo di Salomone e sotto ad un'altro (abside sud) vengono raffigurati due seni, forse simboli di fertilità che ritroviamo anche del lato sud. Potrebbero anche essere simbolo della vergine che allatta (Iside) cara a Bernardo di Chiaravalle e, si dice, ai Templari.




Ma è la facciata sud quella che merita più attenzione. Le decorazioni a "scacchiera continuano sulla fascia bassa e nella parte alta della navata centrale vediamo nodi, intrecci, fogliami, copitelli scolpiti, gli stili cambiano di continuo anche nella stessa monofora indicando probabilmente diversi autori o forse diversi tempi di realizzazione. Le teste umane semplificate sono in tipico stile celtico primitivo, tanto da rimandare alla scultura preistorica e al culto celtico della testa. Sotto uno degli archetti ritroviamo i due seni ma la scultura più enigmatica è rappresentata dai due corpi, ancora una volta in stile più primitivo, rispetto agli altri rilievi romanici, che si accoppiano. Il soggetto sicuramente non comune in una chiesa, ma non così raro in epoca medievale al contrario di quanto si pensi. E' comunque probabilmente sopravvissuto alla sessuofobia e alla censure dei secoli successivi grazie all'intonaco che lo ha coperto per molto tempo ed è reso ancora più particolare dalla chiara rappresentazione dei genitali maschili e femminili.

L'accoppiamento sulla chiesa di San Secondo di Cortazzone (1000 circa)

Questa scultura è un mistero. Sulla guida ufficiale di San Secondo edita dalla omonima Parrocchia, Giovanna Gandolfo Fex cerca una spiegazione nelle tradizioni preistoriche locali che in quel periodo dovevano essere ancora molto presenti e che insieme ai seni dovessero propiziare il concepimento e il parto dei figli in epoche in cui la mortalità era altissima. L'unica corrsipondenza diretta si trova su di un capitello sulla cattedrale di Notre Dame du Peyrou a Clermont-l'Hérault nel sud della Francia (ancora una volta a testimoniare lo stretto rapporto tra i due territori) anche se è datata tre secoli dopo ed è molto più dettagliata. Nonostante la differenza di dettaglio e di stile, una somiglianza del genere fa pensare a qualche modello comune che doveva circolare in qualche modo.

L'accoppiamento a Notre Dame du Peyrou a Clermont-l'Hérault (1300 circa)

Le interpretazioni più comuni rimandano ai culti celtici della fertilità, ancora molto vivi nelle campagne di epoca medievale, altri a cosmogonie telluriche preistoriche. Altre due particolarità di questa chiesa e del romanico astigiano sono le fasce a "dente di lupo" che ritroviamo anche nelle chiese di Montafia, di Montechiaro d'Asti, a Trinità da Lungi a Castellazzo Bormida, ecc... e che sono ottenute con triangoli in cotto e in pietra e i nodi e intrecci di cui abbiamo parlato sopra.


In questo caso le decorazioni che normalmente definiamo "celtiche" si discostano più marcatamente dall'influenza bizantina e gli intrecci floreali presenti su alcuni capitelli, tipici dell'arte romanica, diventano più astratti e primitivi diventando davvero unici. Possiamo trovare qualcosa di simile in altri edifici della zona e in generale in decorazioni di epoca longobarda come sui resti del vecchio duomo di Torino, ma qui sono meno geometrici e irrazionali. Da un punto di vista artistico sono incredibili, troviamo una stratificazione del gusto gallico, germanico e cristiano e in un certo modo ci fa notare come l'influenza classica fosse passata in Europa intorno all'anno 1000 e in particolare da queste parti.

Altri elementi notevoli che di solito passano più inosservati, presenti sullo stesso lato della chiesa, sono un "serpente sacro" intrecciato tra i classici nodi che però, come l'accoppiamento, è realizzato con uno stile più primitivo rispetto agli altri motivi geometrici, probabilmente, come dicevano sopra, da artisti diversi. 


All'interno (chiedo scusa per le foto, durante l'ultima visita la chiesa era chiusa e non trovo le foto fatte in precedenza) troviamo una volta ricostruita nel '700, probabilmente quella originale doveva essere a botte, classici motivi romanici, con sirene, melusine, animali fantastici e chimere varie che dovevano popolare l'immaginario medievale in Europa e che, come all'esterno, si differenziano molto come stile e finiture. In oltre si trovano anche i resti di un affresco.




Nelle sirene ritroviamo la figura di Melusina (di cui abbiamo parlato in precedenza LINK) della mitologia medievale e gli espliciti riferimenti sessuali femminili. Ci sono riferimenti astronomici e la navata è rivolta al sorgere del sole con i fedeli rivolti ad est.

NOTE:
1) AEDICULAUE: Cumuli di pietre con significato rituale religioso innalzate ai bordi dei sentieri prima dai galli che lo dedicavano a Bel o a Penn e poi dai romani che li dedicavano a Giove (Giove Pennino per l'appunto in area gallo romana) da qui Mont Iovis. Questi mucchi di pietre sopravvivono ancora oggi in maniera un po' superstiziosa e per indicare il sentiero sorgono sui bivi in montagna o in punti in cui è facile perdere di vista la strada. Essi sono molto simili ai muri mani tibetani o agli ovoo mongoli vedi LINK) e come si diceva ancora oggi vengono chiamati mongioie in Piemonte e ometti in Italiano. 

LINKS:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/ometti-cuore-pietra
http://www.ruditoffetti.it/articoli/cortazzone.html

BIBLIOGRAFIA:
Alla scoperta del romanica astigiano - Franco Correggia, edizioni del Capriolo.
San Secondo in Cortazzone, Guida alla visita - edizione a cura della Parrocchia di San Secondo
Dalla pieve alla cattedrale nel territorio di Alessandria - Cassa di risparmio di Alessandria





venerdì 25 dicembre 2015

Melusina e Naga Kanya e Sheela Na Gig oriente ed occidente.

Ancora una volta vorrei tornare sulle similitudini e i legami tra oriente ed occidente, alle comuni radici delle culture indoeuropee, delle quali in questo periodo di "radici cristiane" ci stiamo dimenticando. Melusina è una figura leggendaria del Medioevo. Si trattava di una donna con la coda di un serpente o a volte di un pesce, simile per questo ad una Sirena. Bisogna ricordarsi però che le sirene della religione greca erano metà umane e metà uccelli. Comunque come molti altri miti medioevali, quello di melusina affonda le sue radici nelle leggende popolari precristiane, specialmente celtiche e greche.

 sopra: melusina in Piemonte: Chiesa di San Secondo a Cortazzone e Sacra di San Michele.

Nel medioevo questa figura venne ovviamente influenzata dal cristianesimo, il suo mito compare in vari libri tra i quali "Melusina" di Turing von Ringoltingen. Secondo la leggenda le melusine dovrebbero sposare un cavaliere a condizione di un tabù particolare: non essere viste nella loro vera forma, quella di una fata dell'acqua, con la coda di pesce o di serpente, al posto delle gambe. La rottura del tabù della melusina, fonte dell'autorità e della ricchezza cavalleresca, può condurre il cavaliere alla rovina e condannare la fata a rimanere una sirena per sempre.

La figura di Melusina è visibile in molte chiese medioevali, specialmente quelle romaniche. In questi luoghi di solito Melusina occupa i capitelli e in molti casi possiede due code, carica di significat sessuali e ricollegandosi in alcuni casi alla figura di Sheela na Gig dell'eredità celtica britannica.

nell'immagine sopra: una classica rappresentazione celtica irlandese di Sheela Na Gig, una rappresentazione più moderna della stessa figura a Sainte Radegonde, Poitiers in Francia dove è molto meno frequente. Nell'ultima foto una tipica rappresentazione di Melusina, come sirena su di un capitello.

Ora vorrei parlare della similitudine della stessa Melusina con Naga Kanya, figura leggendaria della mitologia indiana, metà donna e metà serpente. Essa appartiene ai Naga, divinità che popolano il sottosuolo, raffigurate di solito come serpenti e legati al culto della Madre Terra. E' interessante notare come queste figure risalgano al periodo della civiltà della valle dell'Indo, come ad esempio la figura di Pasupathi, ancestrale rappresentazione di Shiva e incredibilmente simile al dio celtico Cernunnos (LINK). Molte rappresentazioni di Melusina sono anch'esse incredibilmente simili alla rappresentazione di Naga kanya (foto sotto), che poi in molti casi è metà serpente, non solo pesce.


Naga Kanya considerata anche figlia dei Naga, è protettrice dei serpenti, ma come Melusina è anche legata al cultu dell'acqua, dei fiumi e della pioggia ed ha un posto d'onore nella religione Indù e Buddista non solo in India. Per chiudere il cerchio vorrei ora proporre alcune immagini di Sheela Na Gig e della divinità indiana della fertilità Lajja Gauri. Ancora una volta le sue origini risalgono al periodo pre-induista della civiltà della valle dell'Indo ed è sopravvissuta fino ad oggi.

Nelle foto sopra una rappresentazione di Sheela Na Gig che si trova nella chiesa di Notre-Dame de Bruyères-et-Montbérault e due sculture di Lajja Gauri in India. 

Vedi anche:
Chiesa di San secondo a Cortazzone
Sacra di San Mchele

Melusina web:
Libro: MELUSINA - TURING VON RINGOLTINGEN - stampa alternativa 1991.



domenica 15 ottobre 2023

L'enigmatica pieve romanica di San Marziano a Viarigi (AT)

Un'altra pieve romanica, piccolissima ma notevole è quella di San Marziano che si trova a 3 km da Viarigi. Giace purtroppo in stato di semi abbandono e per raggiungerla bisogna percorrere un pezzo di strada sterrata, ma ne vale la pena.


STORIA: La notizia scritta più antica relativa al 1041 quando l’Imperatore Enrico III, nel confermare al Vescovo d’Asti il patrimonio della sua chiesa, include nell’elenco la corte di Viarigi con il castello e la cappella. Viene poi nominata ancora nel 1200 e Nel registro diocesano del 1345 San Marziano appare insieme con San Pietro e un’ altra chiesa che è nei boschi di Viarigi (qui est in boscis de Viarixio) non meglio specificata. Una quarta, infine, San Severio (oggi San Silverio), appartiene al monastero benedettino di Azzano. Fra tutte, San Marziano appare la meno dotata.



DESCRIZIONE: Il piccolo edificio dell’antica pieve è realizzato in blocchi di pietra da cantini locale, molto morbida, ma presenta una facciata in muratura rifatta purtroppo nel XVIII secolo e oggi in stato precario. L’abside è divisa in tre parti da due semicolonne con capitello scolpito. Gli archetti in pietra tioici del romanico locale, sono scolpiti e sono presenti tre monofore sormontate da altre decorazioni


LE DECORAZIONI: sono presenti numerose decorazioni, principalmente zoomorfe e alcune facce umane in stile romanico. Il numero di queste decorazioni è elevato per una chiesetta di queste dimensioni ed è uno dei motivi che la rendono unica. Tra le figure scolpite tra gli archetti ci sono un cane, una scimmia, un bue, un pesce, ci sono poi motivi floreali, astratti e alcune facce. 








LE INCISIONI: oltre alle sopracitate decorazioni scultoree sono presenti anche numerose incisioni superficiali alcune delle quali ricorrenti, ad esempio quello che potrebbe essere un ascia o un aratro:



Uno motivo che io non sono riuscito a decifrare o a riconoscere e del quale non ho trovato informazioni



Una triplice cinta (generalmente collegata addirittura ai druidi) e altri segni difficilmente comprensibili:


Sono presenti anche alcune iscrizioni:


Le incisioni e le decorazioni in queste foto sono solo alcune in quanto la chiesetta risulta davvero piena, se poteste aiutarci nei commenti qui sotto a comprenderle sarebbe vi saremmo riconoscenti!


CHIESE ISOLATE IN CAMPAGNA: il territorio del monferrato tra astigiano e alessandrino è pieno di chiesette romaniche isolate, cosa che si nota subito dopo averne visitate alcune (vedi SAN SECONDO in CORTAZZONE LINK) il motivo principale come si è già detto in altri post è il fatto che verso la fine del primo millennio queste zone erano ancora scarsissimamente abitate e coperte da selve veramente selvagge (silvae, sterminate foreste naturali) e da boschi (boscha) già soggetti a ceduazione per produrre legname. Con il finire delle incursioni ungare, saracene e normanne un po' in tutta Europa ci fu un miglioramento delle condizioni sociali, un incremento demografico che portò ad un allargarsi delle coltivazioni cerealicole e al pascolo con il formarsi di nuovi villaggi contadini e con l'allargarsi di alcuni di essi in veri e propri paesi. Fu allora che proliferò il sistema delle pievi e dei sentieri sacri che portavano i pellegrini a roma da tutta Europa. Gran parte degli edifici romanici che oggi costellano le colline, i bordi dei campi o si nascondono tra i pochi boschi rimasti nacquero come chiese di villaggio. edifici battesimali, tituli (chiese minori) molti dei quali sono tra l'altro andati perduti. Verso la fine del medioevo con una nuova instabilità politica, ci fu un nuovo calo demografico, una regressione agraria e una nuova espansione delle selve, la famosa crisi del 1300. I contadini abbandonarono villaggi e paesi che, fino a quell'epoca, erano costruiti in legno e malta di fango, materiali facilmete degradabili, di cui non ci è rimasto praticamente niente se non le chiese ed i cimiteri isolati che invece erano costruiti in solida pietra locale e mattoni, e che oggi quindi restano isolate e solitarie.


CHIESE IN CIMA ALLE COLLINE: Un altro caso molto interessante e che probabilmente interessa anche San Marziano è che le piccole chiese sorsero in luoghi dominanti in cima a colli e colline o che in passato avevano accolto le aediculae pagane (nota 1), mucchi di pietre rituali, gli ometti che vediamo sui sentierei di montagna e che ancora oggi in Piemonte vengono chiamati mongioie, da Mons Jovis o Monte di Giove, in quanto generalmente dedicate al dio romano delle alture Giove, con cui i romani avevano identificato molte divinita celtiche preromane come Pen ad esempio, dio delle vette. In questo caso San Marziano potrebbe riferirsi direttamente a un precedente culto dedicato a Marte come accade spesso, ma di questo non ci sono prove reali.

ORIENTAMENTO: La facciata (asse abside - facciata) della chiesa è precisamente orientata verso il tramonto del sole al 10 marzo. Considerando le imperfezioni di questo tipo di architettura e dei mille anni che probabilmente ha questo edificio è facile fare il collegamento con il 6 marzo giorno in cui si celebra San Marziano martire. Le misurazioni sono state effettuate il giorno 18/06/2006 dagli studiosi del Centro Ricerche Archeoastronomia Ligustica (LINK)

NOTE:
1) AEDICULAE: Cumuli di pietre con significato rituale religioso innalzate ai bordi dei sentieri prima dai galli che lo dedicavano a Bel o a Penn e poi dai romani che li dedicavano a Giove (Giove Pennino per l'appunto in area gallo romana) da qui Mont Iovis. Questi mucchi di pietre sopravvivono ancora oggi in maniera un po' superstiziosa e per indicare il sentiero sorgono sui bivi in montagna o in punti in cui è facile perdere di vista la strada. Essi sono molto simili ai muri mani tibetani o agli ovoo mongoli vedi LINK) e come si diceva ancora oggi vengono chiamati mongioie in Piemonte e ometti in Italiano.

LINKS:

martedì 29 maggio 2018

San Colombano, Meroveo e la persistenza del paganesimo celtico nel 600 d.c. a cavallo tra Piemonte e Lombardia.


Nel post dedicato alla chiesa di San Secondo a Cortazzone abbiamo già visto come in Monferrato ancora nell'anno 1000 il paganesimo fosse vivo e difficile da sradicare nelle campagne e nei villaggi. Difficile però trovare testimonianze di veri e propri santuari. Una ce la da il beato Giona da Bobbio (Jonas Bobiensis Susa, 600 d.c. circa – Chalon-sur-Saône, 659 d.c. circa) nella sua "Vita di San Colombano e dei suoi discepoli". Il monaco ci racconta che: <...il monaco Meroveo, inviato a Tortona dal Beato Attala, arrivò in quella città, ma l'affare per il quale era venuto lo condusse alquanto lontano dal suo itinerario, finchè giunse in un villaggio in riva al fiume Iria.>


Nella foto sopra i resti di altari e idoli celtici in un tempio boschivo. Purtroppo ci è rimasto pochissimo perchè i galli non rappresentavano quasi mai i loro dei e spiriti e se lo facevano usavano il legno che si decompone velocemente. Nella foto sotto un tempio boschivo in Russia. Sia nelle repubbliche baltiche sia in Russia ancora oggi possiamo trovare piccole radure adornate con idoli boschivi che sono sopravvissute al tardo avvento del cristianesimo attraverso il folklore.

Il fiume Iria potrebbe essere lo Staffora oppure lo Scrivia, ma si è generalmente portati a prendere la prima ipotesi, in quanto il nome Voghera dovrebbe proprio prendere il suo nome da Vicus - Iria. In ogni caso Tortona sorge sul corso dello Scrivia e lo Staffora poco distante, entrambi i fiumi risalgono le valli appenniniche. Proseguendo con il racconto Meroveo trovò in questo villaggio un santuario che sorgeva tra gli alberi con degli idoli e degli altari. Incominciò ad accatastarli come per formare una pira e vi diede fuoco, solo che gli abitanti del villaggio se ne accorsero e riuscirono a prenderlo e a bastonarlo a lungo. Già malconcio venne poi gettato nel fiume Iria, ma l'acqua non accettva il suo corpo anche se il monaco era deciso a ricevere la morte per una causa giusta. Vedendo che la misericordia del signore lo proteggeva i terribili pagani della valle Staffora (o Scrivia) ebbero un'idea: coricarono Meroveo sull'acqua e lo coprirono di legna di modo che il legno lo sommergesse. Anche questo però non funzionò e quando essi se ne andarono pensando di aver lasciato un cadavere il beato si levò indenne dal fiume e se ne andò.

San Colombano riprodotto in una vetrata

Sia la presenza del santuario nel folto del bosco (il nemeton gallico),z sia la condanna dei sacrileghi all'annegamento ci rimandano alla tradizione celtica (come del resto molti toponimi di queste zone) e Giorgio Fumagalli nel suo "Sacre radure dei Celti" attribuisce questo medhelanon alle tribù celto-liguri degli Anamari, ipotizzando che si trattasse della radura di Medassino, oggi frazione di Voghera. Non possiamo esserne certi ma sappiamo che nel VII secolo (Attala subentrò a San Colombano alla sua morte avvenuta nel 615) da queste parti il paganesimo era ancora una religione popolare. Un'altra cosa a cui spesso non pensiamo è che queste zone d'Italia furono cristianizzate da monaci irlandesi come San Colombano, santo cattolico che incorporò in esso molte usanze celtiche. Egli infatti passò diversi anni nel monastero di Bangor (Irlanda del Nord) nel quale si dedico alla preghiera, alla disciplina ascetica e allo studio degli antichi testi grazie ad alcuni dei quali ci è giunto molto sulle usanze druidiche pre-cristiane. Dei monaci di questo monastero era caratteristica anche la veste bianca, che li rendeva sia simili ai monaci orientali ma anche agli antichi druidi, rimarcando agli occhi dei Celti il carattere di sacralità di questi uomini.

bibliografia:
Giona da Bobbio: "Vita di San Colombano e dei suoi discepoli" Jaca Book.
Giorgio Fumagalli: "Sacre radure dei Celti" Collana Storica.

Links:
San Colombano: https://it.wikipedia.org/wiki/Colombano_di_Bobbio
Giona da Bobbio: https://it.wikipedia.org/wiki/Giona_di_Bobbio
Fiume Staffora: https://it.wikipedia.org/wiki/Staffora


giovedì 4 maggio 2017

San Baudolino: i Longobardi, Alessandria e un santo ancora un pò pagano.

<< A volte è tramite il cristianesmo, e specialmente il cattolicesimo che molte credenze precristiane sono arrivate vive a noi. BAODOLINO (Baudolino, Baldovino) fu un eremita veggente che viveva nei boschi che coprivano le colline e la pianura sulla quale oggi sorge Alessandria e che predisse la sorte a re Liutprando. È oggi il Santo Patrono di Alessandria e la sua festa si celebra il 10 Novembre. >> Ad esso si è ispirato Umberto Eco per il suo romanzo BAUDOLINO.

SAN BAUDOLINO è il santo patrono di Alessandria anche se il santo morì verso il 740 d.c. più di quattro secoli prima della fondazione della città. Questo è interessante per vari motivi: era un'epoca in cui non esistevano processi di canonizzazione, in cui si parlava di personaggi con poteri prodigiosi più che di purezza spirituale. Alessandria venne poi fondata nel 1168, ma riunendo borghi pre-esisteti molto antichi (Gamondio, oggi Castellazzo Bormida, Marengum oggi il villaggio di Marengo, Bergolium che venne demolito nel '700 per costrure la Cittadella, Rovereto che sorgeva proprio sotto al centro storica di Alessandria, quartiere popolare che ancora oggi porta il nome di Borgo Rovereto, Solero, Oviglio, Quargnento e Villa del Foro, Forum, appunto). Stiamo parlando di un periodo, quello in cui visse il santo, che si perde in epoche nebbiose e ignorate della storia e che è caratterizzato dalla persistenza di usi e costumi "primitivi" anche precedenti al periodo romano. Non si può pensare ad esso come un periodo omogeneo, c'erano grandi differenze anche in zone non troppo estese e, per esempio, il Monferrato, come gran part del Piemonte, era via di passaggio tra Francia e Italia con pochi centri urbani e ancora coperta di foreste selvagge. Vi erano alcuni centri, ma gran parte delle persone vivevano in villaggi in cui poco era cambiato in un millennio, muoversi a piedi era una cosa lenta e pericolosa a causa dei briganti.
I romani dopo aver conquistato Derthona, la prima colonia in questo territorio, costruirono la Via Fulvia nel 125 a.c. che passava proprio dall'emporio celto-ligure (già abitato dal paleolitico come dimostrano le selci conservata al Museo di Antichità di Torino) e dopo averlo occupato e urbanizzato in un periodo tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.c. lo avevano chiamato Forum Fulvii in onore del console Marco Fulvio Flacco. Questo centro, oggi conosciuto come Villa del Foro (luogo natale del santo) cadde in decadenza ben prima della caduta dell'impero romano d'occidente, forse per le frequenti alluvioni, forse perchè non era facile mantenere l'ordine in una zona selvaggia come questa, per poi scomparire del tutto per diversi secoli nel medioevo. La grande maggioranza della popolazione continuava a vivere nelle campagne, composte principalmente da foreste, a parlare lingue "barbare" (pensiamo che ancora ai suoi tempi Dante nel de vulgari eloquentia" parla di Torino, Trento e Alessandria come luoghi in cui si parlano "lingue volgari bruttissime") e la cristianizzazione era alquanto relativa (leggi del santuario celtico tortonese nel 600 dc.). In oltre dopo i Romani arrivarono varie popolazioni germaniche tra cui i Goti prima e, quelle che ci interessa più da vicino, i Longobardi.

 Liutprando re d'Italia, Pavia 690-744

In Italia e anche da queste parti, curiosamente, si parla sempre molto poco dei Longobardi, popolo germanico proveniente dalla Scandinavia meridionale che regnò per ben due secoli gran parte della penisola fondendosi con le popolazioni italiche e dando il nome alla Lombradia che fino alla fine del medioevo comprendeva anche il Piemonte e gran parte del nord, ossia quella che prima era conosciuta come Gallia Cisalpina. L'Italia, salvo Roma e poche altre regioni fu per secoli il Regno Longobardo la cui capitale fu Pavia che si trovava a poche decine di chilometri e Re e Regine come Teodolinda avevano le loro riserve di caccia proprio nella zona di Alessandria (la zona della "Fraschetta" - a Marengo esiste ancora oggi la Torre Teodolinda). Molti cognomi locali, specialmente quelli nobiliari (Guasco, Gastaldi o Brunoldi ad esempio) o dei nomi propri (Aldo, Guido, Alberto, ecc...) sono di origini Longobarde.

Come si è detto quindi, il processo di urbanizzazione e di civilizzazione romano non fu molto profondo e prevalentemente relegato a pochi centri. Per questo motivo, purtroppo, non ci restano molti doumenti e testimonianze locali scritte del primo millennio dopo Cristo e le testimonianze che riguardano San Baudolino sono più che altro leggende popolari e storie frammentarie scritte dai monaci.


Iniziamo con il dire che già il nome Baudolino (o Baldovino), deriva dal dio norreno Baldr (in cui compare la solita radice pre indoeuropea Bal, Bel, lo splendente, il bellissimo ma anche amico dei coraggiosi) probabilmente legato al Sole e alla natura. Del personaggio storico sappiamo pochissimo, viveva da eremita tra i fitti boschi sulle rive del Tanaro e si occupava dei difficili rapporti delle popolazioni con la natura e con gli animali che faceva ancora paura. La prima e più importante testimonianza ci viene da Paolo Diacono (Paul Warnefried) coevo non solo di Baudolino ma anche di Carlo Magno. Ci racconta che il santo aveva più che altro doti soprannaturali, riusciva a prevedere il futuro e a fare prodigi e ce ne racconta uno, non troppo clamoroso: Durante una battuta di caccia nella Silva Urba (la piana di Marengo a pochi chilometri) il nipote di Liutprando Anfuso fu erroneamente colpito, e il Re mandò un messo a chiamare Baudolino affinché gli prestasse le cure necessarie. Nel frattempo Anfuso morì e quando il messo giunse dall'eremita questi affermò di sapere già tutto, ma che non poteva fare più niente perché il giovane era già spirato. Da questo miracolo Umberto Eco prese spunto per un articolo sul carattere degli alessandrini "non particolarmente caloroso" e in seguito per il suo libro "Baudolino".

 Paolo Diacono

BAUDOLINO E LE OCHE
La storia più famosa è quella delle oche: dai boschi un giorno uscirono queste oche selvatiche, grosse e particolarmente aggressive, che devastavano i campi della zona contro le quali i contadini non potevano niente. Così si decise di interpellare Baudolino che arrivò e ordinò ai volatili di presentarsi al suo cospetto, cosa che tra lo stupore dei cittadini avvenne. Il santo fece rinchiudere tutte le oche per la notte e l'indomani le liberò raccomandandosi di allontanarsi e di smetterla di fare danni. Le oche però restarono li facendo un gran baccano. Un'oca infatti era stata rubata da qualcuno nella notte, così Baudolino se ne fece portare un'altra, riconoscibile nell'iconografia del santo perché è l'unica bianca in mezzo alle altre grige. Di questo episodio resta il ricordo nella cultura popolare ma anche nel testo cinquecentesco del teologo domenicano Arcangelo Caraccia da Rivalta.


IL MIRACOLO DELLA CERVA
Un'altro "miracolo" riguarda ancora una volta gli animali, in questo caso una cerva e anche questo ricorda più un prodigio pagano che un miracolo divino ed è arrivato a noi nella sua versione rimaneggiata durante il medioevo: Il santo eremita infatti doveva recarsi da uno dei due unici vescovi che esistevano in questa zona all'epoca, ossia ad Acqui (l'altro era a Tortona) e venne accompagnato da un giovane al quale però durante il cammino venne una sete veramente insopportabile. Allora Baudolino si mise a chiamare una cerva che miracolosamente uscì dal folto del bosco e lo ristorò con il suo latte freschissimo.

IL SUO MAGICO MANTELLO
Ancora un'altra volta il nostro eremita dovette recarsi dal vescovo, questa volta a Tortona che avendone sentite le prodigiose storie dal popolo lo mandò a chiamare. Il santo si mise in cammino ma ad ostacolarne il percorso si trovò il fiume: fu così che per attraversare il fiume Bormida il nostro futuro patrono non fece altro che stendere il suo magico mantello sulle acque e camminarci sopra come se niente fosse, arrivando miracolosamente dalla parte opposta.


San Baudolino di solito è rappresentato con sembianze episcopali storicamente impossibili, circondato da oche e cervi.

Baudolino quindi non è un santo che fa miracoli clamorosi, combatte il demonio o salva i peccatori, ma si occupa di cose molto più concrete come quelli che affliggevano i contadini dell'alto medioevo in una zona difficile come questa. L'unica volta che il Santo è chiamato a salvare il nipote di Liutprando non ci prova nemmeno e quello che è forse il prodigio più soprannaturale, quello del mantello, non ha nulla a che fare con la religione ma sembra una semplice dimostrazione di magia.

L'ICONOGRAFIA DEL SANTO
Il santo di solito è rappresentato come un vescovo con vestiti episcopali recenti, storicamente impossibili, immagine che quindi ci dà un'idea sbagliata, costruita nel corso dei secoli successivi. Nel medioevo le testimonianze realistiche si mischiarono con altre assurde come quelle in cui si dice che fosse stato anche vescovo di Alessandria anche se la sua morte risale a più di quattro secoli prima della fondazione della città! Oppure quella in cui si dice che intorno al 1200 fosse stato visto girare  sui bastioni per difendere il capoluogo durante un assedio. Per dare un'idea migliore del periodo in cui visse l'eremita è interessante visitare qualcuna delle chiese più antiche della zona che, anche se successive a Baudolino di qualche secolo, conservano i caratteri barbarici e oscuri di quei secoli come ad esempio le pievi di San Secondo a Cortazzone (di cui parliamo dettagliatamente qui: LINK) o di Santissima Trinità da Longi a Castellazzo. Queste chiese romaniche che probabilmente risalgono al  1000-1100 (non esistono nemmeno i documenti di fondazione) sono ancora legate profondamente ad un estetica che mischia caratteri celtici, longobardi e addirittura preistorici (vedere l'accoppiamento in stile particolarmente primitivo) e ci ricorda quanto dovessero essere remote e selvagge queste zone prima dell'anno 1000.

Pieve di San Secondo a Cortazzone (AT): Nodi e decorazioni "barbariche" più o meno ordinate, accoppiamenti rituali, animali mitici, simboli sessuali e altri incomprensibili. Il cristianesimo cerca di imporsi in modo ancora incerto tra le popolazioni locali attorno all'anno 1000 e quando non ci riesce si mescola, si sovrappone alle leggende locali di origine celtica e con credenze germaniche arrivate con i longobardi. Di questa chiesa parliamo dettagliatamente qui: LINK

L'immagine del santo quindi è stata "aggiornata" nel corso dei secoli, con vestiti episcopali, bastoni vescovili

APPENDICE: La chiesa di San Baudolino a Villa del Foro è dedicata anche a Santa Varena, altra santa le cui origini si perdono nel tempo e profondamente legata a prodigi soprannaturali. A lei è dedicata la pietra guaritrice con poteri taumaturgici di antiche origini pagane sulla quale è costruita la chiesa [LINK]

Bibliografia:
- Paulus Diaconus, Historia Langobardorum. Liber VI
- Giuseppe Amato: Vita di San Baudolino
- Umberto Eco: Baudolino

Links:
https://it.wikipedia.org/wiki/San_Baudolino

mercoledì 8 novembre 2017

MASCHE E MASCONI: 1) chi è la masca?

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Masca è un termine ancora in uso in territorio piemontese e che, grossolanamente identifica la Strega, con alcune importanti peculiarità però. Questo termine è di uso comunque soprattutto in camapgna dalle alpi Biellesi fino alle Langhe al confine con la Liguria e al Monferrato astigiano e alessandrino, mentre si perde nel Novarese e nel vercellese man mano che l'influenza Lombarda diventa più forte.  Si possono rintracciare storie nel folklore, nella mitologia locale e a volte anche nomi di luoghi (Bric d'le masche, Mascatagliata, ecc...).  Esistono le Masche ma anche i Masconi (In piemontese Mascon), ovvero gli individui di sesso maschile. Prima di passare ad approfondire questa figura in particolare vorrei analizzare il termine, con cui nei vari paesi e regioni, venivano chiamate le Streghe. E' fatto veramente interessante e curioso pensare che in ogni lingua, esiste un termine diverso, il più delle volte senza nessuna origine comune per indicare questa figura che non esiste solo in Europa, ma praticamente in un tutte le culture del mondo. Witch in inglese, Sorcière in francese, Bruja in Spagna, Hexe in tedesco, Carovnica in molte lingue slave, ma basti vedere soltanto le differenze nel territorio italiano dove il nome Strega che deriva dal latino Stryx (uccello notturno, barbagianni) trova differenti sinonimi regionali: oltre alla variante Stria rintracciabile in gran parte del nord, abbiamo Masca appunto, in Piemonte, Basura in Liguria, Janara in Irpinia e poi Magara, Magga ecc... (derivante da Mago) nel sud, per nominare solo i più conosciuti. Questo è un punto su cui anche gli antropologi si interrogano. Non esiste per esempio un comune termine originario per questa figura nelle lingue Indoeuropee, sembra che ogni zona abbia le sue particolari streghe legate a quel territorio in particolare, fin dai periodi più antichi, legati alle tribù e all'epoca pre-indoeuropea.

"The wilder man" in Francia - Charles Fréger 

Il termine MASCA ha un'origine incerta, probabilmente longobarda, le teorie più accreditate lo accostano al termine "maschera" per quanto riguarda l'origine. La prima volta di cui ne abbiamo notizia è nell'editto di Rotari del 643 d.c. in cui leggiamo: "Si quis eam strigam, quod est Masca, clamaverit" col significato di strega appunto. Un termine usato dai longobardi quindi per indicare le "fattucchiere" ma anche gli spiriti di diverse origini, purtroppo però non sappiamo se fosse arrivato con loro dalle aree germaniche o se fosse già esistente prima in zona, in quanto Liguri e Celti non ci hanno lasciato documenti scritti. Nell'antico provenzale "Mascar" vorrebbe dire borbottare, nel senso di sussurrare incantesimi. In ogni caso questo termine in epoca medievale in alcuni scritti tardo latini del nord ovest, diventa sinonimo di "Larvae" e quindi di fantasma, anima dei morti, spirito oscuro. Possiamo vedere questo termine come tipico dell'area piemontese, una parola che si perde nelle origini liguri, galliche, latine e germaniche delle sue genti. Non mi dilungherei oltre sull'origine del termine visto che sia in rete che su carta è stato scritto molto sull'argomento.

Torniamo ora alla figura della Masca (e del Mascone). Gran parte delle storie non cambierebbero se usassimo il termine "strega"; donne vecchie e dall'aspetto sgradevole che vivono ai limiti della società, che facevano malefici, provocavano tempeste e si trasformavano in animali. Questo è vero  specialmente quando si legge qualche libro di quelli che sono spuntati come funghi sui banchetti negli ultimi anni con la riscoperta della masca e il suo sfruttamente da parte del turismo enogastronomico, specialmente langarolo, in cui a volte vengono scritte storie scritte puramente inventate o addirittura adattate da altre zone per motivi prettamente commerciali (io sono uno di quelli che a prescindere dalla qualità del libro non riesce a trattenersi dal comprare quasi tutto per poi restare molte volte deluso). 

A parte questo, si vede subito che nei racconti di Masche c'è un rapporto più forte con gli elementi della natura: 

i casi in cui queste ricorrono alla "rugiada" per guarire, sono legate agli alberi, provocano gli agenti atmosferici per creare problemi ai paesani sono più numerosi di quelli che si riscontrano negli altri racconti di streghe. Anche le trasformazioni in animali, principalmente gatti, volpi, bisce e rospi (ma non solo) sono frequentissime, ma restiamo comunque nello stereotipo classico di un certo tipo di strega. C'è una caratteristica chiave però di questa figura che affascina lo studioso della storia della stregoneria e che affascina gli antropologi: 

I richiami all'animismo precristiano, allo sciamanesimo sono molto più chiari: 

La Masca non è sempre cattiva, anzi molte volte si tratta di un personaggio, femminile o maschile, a cui la gente del villaggio o della valle si appella per farsi guarire. Addirittura questi personaggi sono così frequenti e popolari che quando vengono denunciati e processati vengono puniti con penitenze davvero leggere, come recitare preghiere o stare sulla soglia della chiesa per tempi variabili. Alcune zone del Piemonte come certe vallate alpine, le Langhe e il Monferrato sono fino all'anno 1000 ancora coperte da fitte foreste in cui la gente lontana dai pochi e piccoli centri urbani vive in villaggi costituiti da case di legno e che in parte pratica ancora forme religiose arcaiche che non sono cambiate per migliaia di anni. Per farsene un'idea basta pensare alle piccole pievi romaniche, dei secoli XI-XIII dai tratti rozzi e barbari che si ergono solitarie in mezzo a campi o boschi ancora oggi perchè i piccoli villaggi di legno che le circondavano sono spariti a causa dei materiali deperibili. Un'esempio lampante è la chiesa di San Secondo a Cortazzone (Asti), costruita  attorno all'anno 1000 da monaci provenienti dal Piacentino, mandati a cristianizzare le popolazioni di queste terre. Su queste piccole chiese sono chiare le simbologie pagane, i riti della fertilità che i missionari cercavano di unire al culto di Cristo per avvicinare queste popolazioni alla "vera fede" ancora oltre un millennio dopo la nascita di Cristo.

Accoppiamento raffigurato sulla chiesa di San Secondo a Cortazzone

IL CONTESTO SOCIALE, IL PIEMONTE RURALE

Tutto questo discorso mi viene necessario per dare l'idea di quale fosse la situazione in molte aree del Piemonte medievale in cui vivevano i nostri avi, ben diverso da quell'Italia classica e cristiana a cui pensiamo normalmente, simile solo ad altre zone appenniniche e alpine particolarmente isolate.  Probabilmente questa tipo di società rurale primitiva sparì con molta difficoltà dall'anno mille in poi e alcuni frammenti erano ancora vivi nel folclore e nella religiosità popolare fino al secolo scorso. E' qui che possiamo inserire le molte "Pietre delle Masche" e come le molte "Pietre Guaritrici" rintracciabili in tutto il Piemonte che con qualche croce aggiunta e qualche esorcismo sono arrivate fino a noi. E possiamo anche inserire la figura dei vari "Frate masca" o "Prete masca" sicuramente più accettabili rispetto alle "suore o monache" masca che a causa del sesso erano più a rischio. Non solo nel folklore, ma anche nelle storie di paese è infatti facile imbattersi in queste figure, frati o preti cristiani che però si intendevano anche di magia, o meglio facevano o battevano "la fisica" e che probabilmente andavano a sostituire i vecchi "guaritori" e "guaritrici", druidi e druidesse (LINK), maghi e sciamane che probabilmente davano alle popolazioni rurali quello che i rappresentanti della nuova fede non erano in grado di dare: un aiuto pratico contro malattie, siccità, e cose del genere. Di questo tipo di racconti è pieno il territorio piemontese e sono pieni i documenti processuali dei tribunali dell'inquisizione locale e man mano vedremo di riportare i più significativi e interessanti su queste pagine.

L'apparizione di una Masca in una faggeta, interpretazione artistica contemporanea.

La Masca poi in molti casi non è solo strega, intesa come maga o fattucchiera umana, ma è uno spirito della natura. 

Non solo può trasformarsi in un gatto, in cane o in altri animali (con alcuni problemi come vedremo nelle storie singole, ad esempio conservare la coda o i piedi animali anche nella forma umana) ma anche in alberi e altri vegetali o addirittura in agenti atmosferici come la Nebbia (la famosa Masca Nebbiassa) o la neve. Questo non può che non farci pensare all'animismo in cui credevano i nostri avi e che esiste ancora oggi in società primitive ma anche molto meno primitive come il modernissimo Giappone! A volte si tratta chiaramente della sopravvivenza di divinità pagane soppiantate dal cristianesimo ma mai del tutto sparite, come la Masca dell'Inverno

COME SI DIVENTA MASCA?
Quando comunque parliamo di "Masche umane", ed è la maggior parte delle volte, c'è un'altra peculiarità da ricordare: la Masca è generalmente masca per ereditarietà familiare (di solito però sono le figlie a ricevere i poteri) oppure in altri modi curiosi. Ad esempio il "dono" può essere passato ad un'altra persona, ma anche a gatti, rospi ecc... in punto di morte. E' in questo modo che nascono i Masconi, ed è per questo che non bisogna mai toccare o guardare negli occhi una Masca! Di questo parleremo meglio in un post apposito comunque. In moltissimi casi però la Masca è soltanto uno spirito naturale, come dicevamo più in alto, che sembra più ad una divinità popolare dei boschi che nessuno ha iniziato: è così da sempre e basta, come un Kami giapponese. Altra caratteristica comune però a molte testimonianze dei Sabba e delle "feste" stregoniche è l'utilizzo di pomate e soprattutto del tamburo per provocare la trance e i viaggi ultra-corporei, caratteristiche chiave della pratica sciamanica. E se chi legge pensa che qui stiamo esagerando, consiglio di dare un'occhiata a due dei testi più seri e interessanti mai scritti sull'argomento: "I Benandanti" e "Storia notturna" di Carlo Ginzburg.
Le ultime due caratteristiche peculiari su cui vorrei tornare proprie delle Masche penso siano la presenza più frequente di individui maschili, ossia i "Masconi" rispetto alle altre storie di streghe, che molte volte hanno anche caratteristiche a parte e soprattutto che non erano sempre votate al maligno. Negli ultimi decenni ci siamo abituati a vedere la Strega anche in modo positivo. Sia per la rivalutazione e la politicizzazione di questa figura in ambito femminista, sia per la perdita di potere che il cristianesimo ha avuto sull'immaginario collettivo contemporaneo ma anche per le caratteristiche "ecologiste" di questa figura legata al mondo naturale. Tuttavia, fino al secolo scorso, le fattucchiere venivano viste con paura ad esse erano attribuiti i più orribili misfatti e le più terribili capacità malefiche, poche volte una sfortunata guaritrice veniva confusa con una strega. Masche e Masconi invece, venivano chiamati in soccorso dal popolo in quanto tali e il termine in alcuni casi era addirittura sinonimo di settimino o guaritore, ovviamente cercando di non farlo sapere ai preti (sempre che non si trattasse di masconi guaritori a loro volta!)

Bibliografia selezionata:

"MASCHE" di Donato Bosca e Bruno Murialdo

"Streghe in Piemonte" di Massimo Centini

"I Benandanti" e "Storia notturna" di Carlo Ginzburg

(da finire)

LINK interessanti:

https://axismundi.blog/2018/10/28/frammenti-di-uno-sciamanesimo-dimenticato-le-masche-piemontesi

https://centrostudiomisteritaliani.com/2019/11/06/la-masca-e-il-mascone-approfondimento-sulla-strega-piemontese/

http://www.margutte.com/?p=29395

martedì 1 marzo 2022

La difficile cristianizzazione del PIemonte.


IL PIEMONTE E LA DIFFICILE CRISTIANIZZAZIONE: abbiamo visto in diversi post come il Piemonte sia stato praticamente fino al '700 un'area di passaggio con caratteri particolari e dal grande valore militare ma alla fine sempre un po' marginale rispetto al resto della penisola italica o alla Francia. Le città romane nacquero qui con grande ritardo rispetto al resto del paese e quando i alcuni centri divennero importanti città, le campagne restarono in molti casi luoghi molto selvaggi, per lo più ricoperti da montagne, boschi e paludi. Quando i primi santi arrivarono per evangelizzare la popolazioni non trovarono un computo facile (leggi: Sant'Eusebio e la cristianizzazione del Piemonte) e quando i primi "barbari" giunsero in zona all'inizio del medioevo, in un epoca di grande confusione, si trovarono nelle campagne a che fare con una situazione rurale difficile in alcuni casi ferma al periodo precedente alla conquista romana. Fu così che con l'arrivo di San Colombano a Bobbio partì un periodo di evangelizzazione Irlandese nelle zone che vanno dal Monferrato alla Valle d'Aosta, non privo di scontri e momenti bizzarri (leggi: Meroveo e la persistenza del paganesimo...) e caratterizzato da una grande repressione dei culti e persistenze pagane da parte della chiesa. Tuttavia le campagne continuavano ad essere troppo isolate e selvagge e l'adorazione di pietre e sorgenti, rituali rurali vari, impossibili da eliminare vennero mano a mano accettate e cristianizzate. Questo da il via ad un periodo di quasi accettazione, molto diverso da quella che è la nostra normale idea di medioevo, in cui nelle città la nuova religione è ormai ufficiale anche se non libera di influenze precedenti, nelle campagne si assiste ad una coesistenza più o meno pacifica tra culti ufficiali e popolari oggi molto difficile da comprendere. Di alcuni santi popolari, in particolare alpini e piemontesi, conosciamo in realtà solo la parte folklorica, non ci è giunto niente di scritto ed è sempre difficile capire quanto fossero beati e quanto fossero santoni o guaritori di campagna (leggi: San Baudolino...) Verso l'anno mille l'Europa sembra rinascere, anzi l'Europa che conosciamo oggi forse nasce proprio in grazie ai secoli precedenti e nel romanico l'influenza "barbarica" evidente si affina sempre più con il riemergere delle culture pre-romane e anche preistoriche del vecchio continente. Se dal punto di vista artistico il picco è raggiunto dalle cattedrali nei centri urbani, nelle piccole chiese di campagna "sacro e profano" si fondono in modo ancora più diretto in modo, delle volte, difficile da accettare e comprendere anche per noi contemporanei (leggi: San Secondo a Cortazzone).

Al riguardo Virgilio Gilardoni scrive:

"L'antica Europa romana, sconvolta dalle ondate delle migrazioni e delle incursioni barbariche si rinnova, nel Medioevo, per i profondi moti di assestamento demografico che lacerano lo strato sottile della sua civiltà latina. Tornano a pullulare ovunque le antiche e mal represse culture preistoriche e protostoriche, italiche, celtiche, germaniche, iberiche, liberare e fecondate dal nuovo lievito barbarico di Franchi, Alamanni, Sassoni, Visigoti, Svevi, Alani, Vandali, Eruli, Burgundi, Ostrogoti, Longobardi."
"...la vita spirituale delle popolazioni assume aspetti di patologia collettiva; le superstizioni si accavallano, si sviluppano e si fondono in un caos in cui a stento si discernono le componenti giudaiche, celtiche, germaniche, romane e cristiano popolari. I rapporti dell'uomo con la natura divetano morbosi: ogni cosa sembra nascondere l'insidia di forze malefiche e di demoni; ogni avvenimento è segno di eventi ultraterreni, di minacce, di pericoli, di punizioni che si tentano di domare con forme popolari di scongiuro e di esorcismo. Talvolta vere manifestazioni di pazzia collettiva esplodono fra le masse; basta la figura d'un falso profeta o d'un pazzo a scatenare rivolte persino oscene, in cui si liberano antichi bisogni erotici conculcati e altrettanto antiche aspirazioni di ribellione delle plebi, trascinando, nel turbine della follia, preti, vescovi, chierici e popolo. Prodigi e miracoli sono nell'ordine delle cose, fatti normali, ormai di tutte le cronache..."

Da "Il Romanico" Biblioteca Moderna Mondadori 1963

giovedì 5 maggio 2022

MASCHE E MASCONI: 4) Frati, preti "masca" e preti maghi.

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INTRODUZIONE: Vicino alla figura della Masca, c'è un altro personaggio, generalmente maschile, che ricorre molto spesso nel folklore piemontese: il "Prete Masca" o Frate Stregone... o comunque quella di un ecclesiastico che allo stesso tempo, più o meno segretamente, pratica la magia. Ci sono anche alcuni casi di suore o monache dello stesso tipo, meno frequenti e a cui in futuro dedicherò un post a parte per non complicare troppo le cose. Dopo anni di ricerca su questo tipo di argomenti voglio comunque fare una precisazione prima di iniziare: come per le masche o per la stregoneria, si parla di storie che hanno un grande valore antropologico anche se molte volte vengono relegate nel folklore e snobbate, ma allo stesso tempo bisogna trattarli considerando il contesto e considerando tutte le possibili implicazioni. C'erano probabilmente dei veri e proprio mistici, c'erano guaritori di campagna o persone sante legate agli antichi culti rurali che in qualche modo sopravvivevano nelle campagne, che per semplicità, ignoranza o per onestà non avevano problemi a trattare sia all'interno della chiesa che in ambito "popolare". Però c'erano anche moltissimi furbi, gente che come viene fuori da certe storie non aveva problemi ad approfittarsi della "creduloneria" popolare per i propri interessi. C'erano poi quelli che veramente facevano "il male": siamo abituati a pensare che questi personaggi che si muovevano tra le classi più basse e oppresse fossero sempre i buoni, un po' perché, politicamente, per anni sono stati presi ad esempio della lotta contro il potere della chiesa, un po' per le influenze new age che sia nel bene che nel male fanno parte della nostra cultura contemporanea. E poi c'è sempre il contesto, più o meno rurale ma generalmente di grande miseria.


LA COMPLICATA SITUAZIONE PIEMONTESE: come già visto nel post precedente dedicato (leggi: La difficile cristianizzazione del piemonte) l'avvento del cristianesimo non fu un processo semplice, veloce e nemmeno netto. In Piemonte, in particolare, avvenne in diversi momenti e se nelle città sorte in epoca romana sorsero mano a mano importanti chiese durante il medioevo e la nuova religione si sovrappose in modo più o meno totale, nelle campagne il processo fu molto più complesso (valli alpine, Monferrato, Lange, ecc...) con momenti di grande contrasto e l'arrivo di missionari da ogni parte d'Europa che portarono al sorgere di santuari, ma anche con momenti di maggiore confusione e sincretismo in cui però i culti pagani celtici, romani, barbarici e cristiani convivevano più o meno apertamente. E' per questo che è ancora oggi difficile decifrare personaggi e santi alto-medievali della zona come San Baudolino (LINK) la cui figura si perde più nel folklore che nella storia mancante di zone che fino all'anno 1000 e oltre erano completamente selvagge e che anche se sono ricordati come santi, erano strettamente legati alla natura e ai caratteri soprannaturali della religiosità popolare. Ed è anche difficile comprendere anche per noi contemporanei l'arte presente nelle chiese di campagna come quella di San Secondo a Cortazzone (LINK) o il motivo per cui il "cristianizzato" culto di pietre e sorgenti (per dirne due) sia sopravvissuto fino al secolo scorso. 

I PERSONAGGI: Se a livello locale all'inizio dell'era cristiana ricordiamo grandi martiri divenuti santi per la loro resistenza al paganesimo, durante l'alto medioevo appunto incontriamo ancora santi, molte volte con origini e vite che si perdono nella leggenda che come si è visto avevano una posizione non sempre chiarissima o altri santi e madonne che sembrano comparire appositamente per sostituire divinità e spiriti pagani locali legati a località o elementi naturali. Questo in realtà continuerà a lungo nelle campagne con le "Madonne della Neve" e le edicole varie. E' passato troppo tempo e la situazione nelle campagne era molte volte troppo primitiva per consegnarci le storie di personaggi più popolari come quelli di cui parleremo adesso, ma penso che questo lungo cappello introduttivo fosse d'obbligo per chi non ha ben chiaro quale fosse il contesto religioso popolare locale nel corso dei secoli.

IL PARROCO DI OGGEBBIO: Una delle storie più antiche ci giunge dal 1472 dal novarese ed è veramente emblematica della mentalità religiosa dei nostri avi di quel periodo finendo per smascherare la natura stregonesca del curato. Era un anno di terribile siccità e per propiziare la pioggia gli abitanti del villaggio sul Lago Maggiore decisero di organizzare una processione da Oggebbio alla cappella sul Monte Zeda. Per rendere più potente il "pellegrinaggio" tutti i paesani avrebbero dovuto partecipare camminando scalzi e a digiuno. Il parroco, che sembra non fosse molto ben visto dalla popolazione perché non abbastanza forte, arrivati alla cappella celebrò la messa, ma usò si dice, parole di stregoneria. Fatto sta che tornati al paese la pioggia arrivò davvero, ma con un temporale così forte che prese a grandinare rovinando quello che era rimasto del raccolto. Bisognava trovare il colpevole che ovviamente era il curato. Fu così che la popolazione si mise d'accordo per sacrificare la vittima: venne organizzato un gioco alla festa del paese: bisognava prendere con la bocca delle monete d'oro sul fondo di una botte piena d'acqua avendo le mani legate dietro la schiena. Quando fu il turno del prete venne spinto dentro e poi buttato con tutta la botte nel lago. Fatto sta che la vittima riuscì a liberarsi e ad attaccarsi ad una barca con le mani, ma il proprietario di quest'ultima colpì il prete con un remo mozzandogli le dita e facendolo annegare. La leggenda narra però che il Prete-stregone riuscì comunque a vendicarsi e tutti i discendenti del pescatore nacquero senza le falangi delle dita.

Una vista di Oggebbio oggi.

I PRETI "SCIAMANI" DELLA VALLE D'AOSTA: anche le storie che ci vengono dalla Valle su questo argomento sono particolarmente interessanti perché narrano storie straordinarie ma nello stesso tempo ordinarie per i valligiani dell'epoca di Preti maghi che però ricordano da vicino i poteri dei santi sciamani che ancora oggi si trovano nelle valli himalaiane e nelle zone rurali di alcuni paesi asiatici. La prima storia di cui non sono riuscito a trovare molti particolari è quella del prete fantasma di Pracharbon nelle vicinanze di Brusson, il quale riusciva a celebrare messa ai suoi paesani anche quando non era più dotato di un corpo! La storia seguente parla del prete di  Ayas il quale aveva un libro segreto, analogo al famoso libro del comando che molte masche possedevano ma che lui usava solo per opere sovrannaturali benefiche. Bisogna sottolineare come questo sia uno dei pochissimi casi in cui, come successe ad esempio con l'arrivo del buddismo nelle valli tibetane nei confronti dei demoni locali, il cristiano non distrugge le credenze demoniache precedenti ma le piega e converte alla sua volontà. La leggenda poi ci dice che una volta dimenticò per distrazione il libro incustodito in chiesa che venne trovato e aperto da alcuni ragazzi uno dei quali fece in tempo a leggere una delle formule per evocare alcuni spiriti che prontamente si materializzarono facendo un gran baccano. Fortunatamente il prete arrivò e riuscì a mettere a posto la situazione grazie alla sua conoscenza della magia e ad uno stratagemma particolare. Butto a terra dei semi di segale e dei semi frumento e chiese ai diavoli di dividerli secondo il tipo. Mentre gli spiritacci erano impegnati a fare questo lavoro il nostro "mago" trovò le parole giuste per convincerli ad andare a spaccare le montagne armati solo di uno spillo. I più agitati vennero mandati a Sarèza ed è per quello che ancora oggi ogni tando si sente un masso rotolare giù di li. Il terzo racconto è quello del prete mago di Pontey, il quale era noto per le sue capacità di "fare la fisica" qualità ben accettata dai suoi parrocchiani che però nel periodo di fienagione disertavano numerosi la messa. Fu così che decise di trasformarsi in un grosso e feroce lupo e corse tra i campi terrorizzando i contadini che facevano il fieno. Uno di essi però facendosi forza riuscì a colpirlo con forza mozzandogli quasi una zampa e mettendolo in fuga. Il prete comunque era molto ben visto anche dalle autorità e dopo alcuni giorni venne trasferito ad Aosta dove mentre diceva messa, nello sbigottimento generale, perse una mano. Di questa storia ne esiste una versione quasi identica ambientata però ad Oyace. Ci sarebbero tantissime cose da dire su questa storia, ad esempio che sia la capacità di "fare la fisica" che quella di trasformarsi in animali a piacimento erano caratteristiche tipiche delle masche. Un'altra e più notevole è quella che come ci dice Roberto Gremmo nel suo meraviglioso libro Streghe e Magia: "nell'immaginario valdostano la trasgressione magica non viene vista come colpa (e aggiungo io, nemmeno come una cosa negativa), ma come parte integrante, quasi necessaria ed indispensabile, dell'esperienza religiosa".


IL PRETE STREGONE DI MUZZANO: era circa il 1621 quando l'inquisitore Don Velotti, durante le indagini che avevano come oggetto alcune masche di Graglia si imbatté in qualcosa di ancora di più incredibile: un sacerdote che non solo le voci popolari davano come collaboratore delle donne indagate ma che praticava normalmente fatture e diavolerie varie. Si trattava di Don Simone Rondoletto (o del Chioso) cappellano della confraternita del S.Rosario e S.Croce a Muzzano di anni 48. Don Giuseppe Ferraris che si occupò della sua storia in "Magia e superstizione nel biellese del seicento" (1937) lo descrive come un sempliciotto di campagna che praticava la magia popolare non per malvagità ma per via delle sue origini campagnole umili e per ignoranza del canone ecclesiastico. Questa osservazione secondo me da una immagine abbastanza chiara di cosa dovesse essere ancora la religiosità popolare rurale nel 1600! Tuttavia il Gremmo nota come questa descrizione sia troppo semplicistica e probabilmente in effetti bisogna tenere presente che venga da un altro prete che forse voleva minimizzare questo tipo di fenomeni non così inusuali nella chiesa di quei tempi. Comunque interrogato Don Rondoletto da l'idea di essere più vittima di accuse (anonime) dovute al suo essere diverso e legato a un mondo ormai passato. La testimonianza è davvero interessante: egli dice di avere imparato le sue pratiche e le sue formule da un misterioso "padre heremita" che aveva incontrato sul ponte della Dora durante un viaggio a Torino. La descrizione è molto dettagliata: l'eremita, identificato anche come druido nel folklore era un uomo di circa 50 anni, con una lunga barba bianca, i capelli castani che si stavano imbiancati, scalzo, vestito con una tunica di panno grigio con il cappuccio cinto con una corda.
La storia è molto complicata, con testimonianze dirette del prete, accuse del popolino anche anonime, una cosa molto interessante è che tra le sue capacità sovrannaturali c'erano le classiche delle masche, ma sempre dirette al bene, a guarire le malattie, fare medicamenti, fermare le tempeste, ma soprattutto la capacità di portare la pace tra i contendenti di un duello, di disarmare gli aggressori. Considerando la nomea di druido attribuita all'eremita la storia ha ancora più senso visto che ai druidi era attribuita da Cesare proprio la capacità di portare sempre la pace nei duelli e nei campi di battaglia. E' uno di quei casi in cui la testimonianza non manca di dettagli anzi sappiamo anche come il prete fosse in grado con la magia di fermare la febbre nei malati, che anch'egli avesse un libro del comando (in particolare la formula per fermare le tempeste era: "in principio erat verbum" scritto in cerchio), sappiamo anche le ricette di alcuni unguenti medicamentosi fatti di erbe e bava di lumaca, ad un certo punto come sempre iniziano le testimonianze classiche e banali, ma resta il fatto che la quasi totalità delle accuse riguardi sortilegi a fin di bene. Sembra anche che dietro al prete in realtà ci fosse un sarto di Graglia, molto meno onesto di nome Enrico Borrione che era il vero proprietario del libro del comando e che praticava sortilegi e rituali che oggi definiremmo di "magia nera". La storia si complica ulteriormente, si ricollega con altri processi a Masche del luogo ma se volete saperne di più vi consiglio di guardare la bibliografia a fondo pagina. Nelle cronache si vede che pochi anni dopo Don Rondoletto non era più in carica, ma non esistono testimonianze di come sia finito il processo. Probabilmente fu allontanato per non andare a scavare ulteriormente in quello che succedeva nel clero di posti ancora così lontani e vicini alla tradizione popolare. 

IL PRETE MASCA DI BUSANO: questa volta ci troviamo nel canavese del 1603 dove il prete Giuseppe di Busano era conosciuto anche come mascone perché, si diceva, praticava la stregoneria, la fisica e le arti negromantiche. In una lettera, il curato, scrisse al signorotto locale, tale conte Ludovici di Rivara, discolpandosi e lamentandosi di essere calunniato dai popolani e che non era stata sua la colpa della grandine che quell'anno aveva distrutto i raccolti, ma "dell'iniquità degli uomini" per cui erano stati castigati dal Cielo. 


IL PRETE MASCA DI MONDOVI' E LA SUA DRUIDA: di questo abbiamo già sbrigativamente parlato per quanto riguarda la "Druida" nel post sulle druidesse (LINK). Si tratta di una strana vicenda avvenuta nella prima metà del 1600 che aveva come protagonisti principali tre personaggi: il governatore di Mondovì Carlo Operti, la famosa Druida che viveva con lui e che lo serviva eliminando chiunque gli si mettesse contro usando le arti diaboliche più terrificanti e il prete masca Giovanni Gandolfo che viveva nel monastero di Vicoforte e con la Druida aveva uno strano rapporto. Anche in questo caso per quanto riguarda la donna detta la "Druida" si parla di veleni ottenuti dal sangue di giovani chiusi in sacchi pieni di vipere, bambole di cera per malefici, neonati e gatti neri squartati, tutte le classiche imputazioni usate per condannare le streghe e che se volete conoscere nei particolari troverete nel bellissimo libro del Gremmo (Streghe e magia). Quello che è veramente interessante di questa storia è che il termine druida venisse popolarmente usato nel Piemonte di inizio '600 e che quindi, probabilmente trasformata in qualcosa di simile ad una strega, la figura dei druidi e delle druidesse (interessante anche il fatto che in molti casi si tratti di figure femminili) fosse ancora vivo nell'immaginario popolare di quell'epoca anche da queste parti, prima del revival in terra britannica. Comunque, per tornare in tema, l'altra figura interessante di questa storia è il prete Giovanni Gandolfo. Sappiamo che non si faceva troppi problemi a praticare i suoi studi di astronomia e astrologia, la divinazione e, si dice, la stregoneria. In molti infatti lo consideravano un mascone ed è interessante vedere come figure di questo genere fossero abbastanza "normali" anche all'interno del clero. Il prete era così a suo agio che addirittura nel 1648 pubblicò un almanacco astrologico con le sue predizioni in cui incautamente vedeva unfuturo infausto Carlo Emanuele II e per la Madama Reale. Il '600 non era di certo il periodo giusto per una cosa del genere anche se il Piemonte era una zona particolarmente tollerante rispetto ad altre zone d'Italia e d'Europa, infatti tali predizioni vennero interpretate come una possibile congiura e poi, in seguito alla scoperta della sua amicizia con la Druida, anche come un attacco occulto dalla Duchessa e alla famiglia reale. Il prete tentò la fuga, ma venne preso e rinchiuso a Torino dove venne probabilmente strangolato prima di essere giustiziato in seguito ad un processo che resta avvolto nel mistero. 


Bibliografia essenziale:

"Streghe e Magia" di Roberto Gremmo (edizioni ELF Biella)

"Sui sentieri della leggenda" di Massimo Centini (l'arciere)

Articolo di Roberto Gremmo in cui si parla anche del Prete di Muzzano: https://www.newsbiella.it/2017/08/06/leggi-notizia/argomenti/biellese-magico-e-misterioso/articolo/il-biellese-magico-e-misterioso-le-feste-paganeggianti-di-campra-le-streghe-di-muzzano-e-il-ro.html