martedì 15 dicembre 2020

Solstizio d'Inverno in Piemonte: cosa fare?

 Da anni vorremmo fare un post come questo e data la situazione di quest'anno ci è sembrato giusto farlo, finalmente! Fino a pochi giorni non si poteva uscire dal comune, probabilmente durante le vacanze non si ci potrà muovere tra regioni, che è anche una cosa giusta vista la gravità dell'epidemia e l'immaturità di tanti cittadini, ci sono molte possibilità per voi amanti dei culti animistici e naturali locali (o semplici amanti del territorio nostrano)! Niente Stonehenge o Newgrange allora, ma siti Piemontesi!

LA CASNEA DI BRIAGLIA (CN), ipogeo dolmenico.


Il luogo davvero incredbile e purtroppo non abbastanza conosciuto (ne parliamo qui LINK) è un ipogeo "pseudo dolmenico" ovvero un corridoio sotterraneo ricavato nella roccia e non costruito da pietre e poi ricoperto da un tumulo come avviene nei dolmen classici. Esso si trova a Briaglia, luogo interessato dalla presenza di molte pietre erette e allineamenti, oggi purtroppo in parte demoliti, ma che sicuramente aveva una certa importanza per le popolazioni preistoriche dell'alta Langa e del Piemonte meridionale. Il luogo è interessato da un fenomeno molto particolare che si verifica nel giorno del solstizio d'Inverno e per alcuni giorni vicini: Come a Newgrange o a Gavrinis un fascio solare entra nella galleria perfettamente allineata e illumina il fondo in cui è presente anche un pozzo con acqua viva. Ma non solo: la galleria venne costruita in questo luogo esatto per la presenza di una forcella creata dalle colline antistanti che incorniciano il sole a partire dalle 8:30 circa del mattino solstiziale creando un fascio luminoso che poi appunto proseguirà all'interno della camera megalitica. Lo studioso Piero Barale ha in oltre trovato un collegamento con due strutture analoghe francesi del Basso Rodano: La Source e Le Castellet a Fontvieille. Dei culti e dei rituali che qui si praticavano non sappiamo quasi niente, ma è ovvio il parallelo con i più importanti siti megalitici orientati allo stesso modo che si pensa avessero un ruolo nel culto dei morti che raggiungeva il suo momento cruciale di morte e rinascita proprio in questa data. Del resto, come ben sappiamo, questo tipo di credenze sono cruciali ancora oggi e sopravvivono nel Natale cristiano e nell'orientamento analogo delle chiese.

LE TORRI DI SANT'ALOSIO (AL)

Vedi il post dedicato: https://leradicideglialberi.blogspot.com/search?q=sant%27alosio

Luogo suggestivo che domina con le sue due torri medievali le "terre di Coppi" si trova a due passi da Castellania sui Colli Tortonesi che poi diventano Appennino. Da diversi anni è diventato ritrovo di praticanti di Yoga, Druidi e altri gruppi locali che durante i Solstizi vi si ritrovano a salutare il sole. Oltre alla magnifica vista delle torri che dominano la valle, resti di una fortezza ora scomparsa, il luogo è interessante per la presenza di alcune pietre coppellate. Alcune, le più antiche, si trovano sulle lastre di pietra sotto alla torre che il sole basso del solstizio d'Inverno rende più visibili. Purtroppo pochi anni fa il luogo è stato interessato da un restauro, molto be riuscito per la verità, che ha portato all'illuminazione delle costruzioni medievali, ma che purtroppo ha comportato la distruzione di alcune di queste pietre e che quelle rimaste siano state perforate per il posizionamento dei cantieri. Questo è quello che succede in un paese in cui, quello che non è romano o comunque interessante per la cultura ufficiale venga per lo meno sistematicamente dimenticato e messo da parte. Su una lastra più in basso si trova poi un'altra lastra di roccia piò ruvida sulla quale si trova una grossa coppella o vaschetta ancora oggi spesso piena di acqua piovana e con qualche moneta. Come molte volte capita per questo tipo di siti, il luogo è in posizione panoramica dominante e dalle lastre si può ammirare (quando le condizioni metereologiche lo permettono) il sole che sorge e che tramonta sui colli.

LA NECROPOLI DI VALDIERI (CN)

La necropoli protostorica (tardo bronzo ed età del ferro) di Valdieri è venuta alla luce, come spesso accade, casualmente durante i lavori di rifacimento della strada e si è subito rivelata come una scoperta di rilevanza archeologica. Le sepolture coprono un periodo di quasi un millennio in cui lo stile delle sepolture è cambiato e in cui le più recenti hanno anche coperto le più antiche, indicando una qualche importanza rilevante per le popolazioni che qui venivano a seppellire i loro personaggi più importanti: "Il numero piuttosto limitato delle deposizioni e la presenza di sepolture infantili sembrano indicare che questo sepolcreto fosse destinato a personaggi che in vita avevano svolto un ruolo particolare all'interno della comunità forse legato alla sfera del sacro" si legge nella comunicazione ufficiale. Le sepolture più antiche che risalgono al secondo millennio avanti cristo prevedono anche una fossa circolare al centro della quale era posizionata una grossa pietra verticale o menhir. La parte più recente invece è composta da alcuni recinti litici oggi visitabili. Il luogo è infatti oggi parte del parco con la ricostruzione delle abitazioni e in paese si trova un bellissimo museo in cui sono conservati vari oggetti e ritrovamenti della necropoli. Ancora una volta, Piero Barale, nel suo libro "Le pietre perdute" ha trovato un collegamento con il solstizio d'inverno e questo posto sacro: il 21 dicembre infatti il sole che sorge da una sella che si trova sulla dorsale del monte Vanciarampi si allinea con un lato di uno dei tumuli quadrangolari che componevano la necropoli. Ancora una volta è chiara la relazione tra il momento in cui il Sole è più basso (ciclo morte-rinascita) e un luogo di sepoltura e di culto legato ai morti.

Nel 2015 l'associazione culturale Terra Taurina ha organizzato una celebrazione solstiziale druidica per il Solstizio (Alban Arthan) con tanto di vischio: LINK

BRIC LOMBATERA - Paesana, Valle Po

Un altro sito collegato al solstizio d'Inverno è quello di Bric Lombatera, complesso megalitico con pietre incise in ambiente panoramico. Sito di grande interesse per la sua ricchezza di coppelle, canali e altri petroglifi presenta diversi allineamenti astronomici con evidenti rimandi al calendario solare, solstiziali ed equinoziali. Durante il solstizio d'Inverno il Sole osservato dal bacile centrale del complesso tramonta dietro alla cima del Monte Testa di Garitta Nuova con un effetto impressionante. Studiato per anni, questo sito si è rivelato come un complesso calendario utile a riconoscere le principali ricorrenze annuali che avevano un importanza sia religiosa che utilitaristica. 


LINKS:

https://archeoteses.wordpress.com/2017/07/01/indagini-a-briaglia-lipogeo-della-casnea-al-solstizio-dinverno-cn/

https://leradicideglialberi.blogspot.com/2008/05/i-megaliti-di-briaglia_7502.html

http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/territorio/archeologia/item/758-la-necropoli-di-valdieri 

https://betulla.eu/parco-archeologico-e-museo-della-necropoli-di-valdieri-valle-gesso/

https://www.targatocn.it/2015/12/16/leggi-notizia/argomenti/eventi/articolo/alban-arthuan-valdieri-celebra-il-solstizio-dinverno.html

http://www.rupestre.it/archiv/3/ar32.htm


BIBLIOGRAFIA:

"LE PIETRE PERDUTE" - Viaggio Mito-Archeologico alla ricerca delle radici del Megalitismo in Piemonte. Pietro Barale, Araba Fenice 2016. 

"Sui Sentieri dell'arte rupestre" - Le rocce incise delle Alpi, storia, ricerche, escursioni. Andrea Arcà e Angelo Fossati.

venerdì 27 novembre 2020

MASCHE E MASCONI: 3: "Le pietre delle masche"

Di Andrea.

Leggi gli altri post su: MASCHE E MASCONI

Tra i vari elementi che ricorrono nelle storie e nelle leggende di Masche ci sono sono sicuramente le pietre. Delle PIETRE DEL PIEMONTE (menhir, massi sacri, ecc...) abbiamo parlato più volte dal punto di vista storico, archelogico e in effetti anche della loro importanza nel folklore regionale. 

Pietra con coppelle a Monsagnasco

Sono moltissime in regione le "Pietre delle Masche" e generalmente si tratta di pietre a coppelle o di menhir e steli preromane. Esiste un libro chiamato proprio "La Pietra delle Masche" di Bruno Vallepiano e ne parlano Donato Bosca e Bruno Murialdo sul loro libro "Masche". Ne parlano davvero in tanti e tra i siti più conosciuti troviamo i famosi menhir, purtroppo quasi tutti demoliti, di Briaglia (LINK), oppure il menhir di Paroldo (LINK) e di altre pietre fitte nel cuneese, Il Roc delle Masche a Vonzo che però è una grossa formazione rocciosa naturale e le innumerevoli pietre coppllate legate alle masche come ad esempio quella di Sant'Antonino di Susa: La Pera delle Masche (LINK) che a volte è anche detta delle Faie, fate, per sottolineare il collegamento tra Masche e culti precedenti che si discosta un po' dalla classica figura della strega malefica.

La "Pera d'le Masche" a Sant'Antonino di Susa.

Ancora alcuni anni fa, nelle vicinanze di Mango, un agricoltore trovò una pietra, probabilmente naturale, con delle forme che ricordavano la forma umana femminile e da questo vennero fatti i più vari collegamenti: da quelli alle stele della lunigiana all'orogine delle masche "buone e cattive". Ci sono poi le pietre guaritrici, così comuni in Piemonte, come quella usata per rituali di fertilità ad Oropa (LINK) o quella che guarirebbe dal mal di schiena a Villa del Foro (LINK) che vista la loro funzione benefica sono giunte fino a noi con le loro proprietà quasi intatte e che non vengono di solito associate alle masche. Il collegamento invece è molto più stretto con altri tipi di pietre, quelle associate agli agenti atmosferici come le Pietre del Tuono (o del fulmine, o ancora "sfolgorine") piccole pietre cuneiformi comuni nel cuneese e nelle Langhe che i contadini trovavano nei campi e che si pensava conservassero il potere dei fulmini che colpivano il terreno e le Pietre del Temporale. Queste ultime più comuni nel Monferrato predicevano il tempo oppure venivano usate come strumento dalle Masche (cattive) per governare le tempeste e distruggere i raccolti. 

Incisione che raffigura delle streghe intente a creare una Tempesta

Di queste pietre la più famosa era la "Culiëta" di Camagna che è arrivata intatta fino all'inizio del secolo scorso ma poi è stata definitivamente murata e sigillata (ma non dimenticata!) con una madonna dalla forma un po' troppo "Pagana", ne parliamo meglio qui: (LINK). Un'altra pietra che invece è arrivata fino a noi è l'ultima superstite delle "Pietre del Temporale" di Valle San Bartolomeo (LINK), usata come pietra miliare, si può ancora incontrare sulla strada che sale verso Pecetto. Altra pietra simile si trova a Montechiaro d'Acqui (LINK) purtroppo nascosto in mezzo ai rottami.

La pietra del Temporale a Valle San Bartolomeo (AL)

LINK:
http://archeocarta.org/santantonino-susa-to-pera-dle-masche-roca-dle-faie/

domenica 1 novembre 2020

Gagliaudo e il carnevale tradizionale di Alessandria (ormai scomparso)

Articolo apparso qui: https://mitologiaalessandrina.blogspot.com/2020/09/gagliaudo-e-il-carnevale-alessandrino.html

Tra le infinite cose che si sono perse ad Alessandria il carnevale tradizionale è una di quelle particolarmente notevoli. E' ovvio che le cose cambino, succede ovunque, ma il carnevale è una di quegli eventi attraverso il quale sopravvivono memorie antiche, a volte antichissime addirittura preistoriche, di un posto e di un popolo particolare. La maggior parte delle volte queste memorie si presentano sotto forma di simboli difficili da decifrare anche quando il carnevale è cambiato completamente. Conservazioni virtuose, non solo per il paese, ma per tutti, esistono u po' in tutta Europa, dalle nostre parti bisogna segnalare La Lachera, il carnevale di Rocca Grimalda, con le sue maschere ed i suoi simboli propiziatori della rinascita primaverile. Ancora una volta invece Alessandria si distingue andando dalla parte opposta: del carnevale tradizionale non resta nulla: si può dire che anche questo sia un simbolo, triste, della perdita dell'identità profondo di una città e di un popolo che negli ultimi decenni è quasi sparito. Il carnevale si fa ancora certo, ma non conserva nulla dei suoi personaggi e dei suoi simboli.

Per caso ho trovato alcune foto in casa risalenti, credo, alla fine degli anni '80 (La Borsalino è stata demolita ma l'Esselunga non è stata ancora costruita) in cui si vede ancora gagliaudo con la sua povera mucca precedere la sfilata dei carri in Corso Cento Cannoni. Così ho deciso di fare qualche ricerca per salvare il salvabile di quel che resta di questa parte importante dell'anima di Alessandria.

"Il carnovale alessandrino, aduna, nell'ultimo giorno, una gran folla di cittadini attorno ad un personaggio tradizionale, un bifolco che spinge col pungolo una mucca dal ventre rigonfio."

scrive Agostino Barolo nel suo "Folklore Monferrino" del 1930, un interessante saggio sulle tradizioni in provincia di Alessandria che erano ancora rintracciabili in quel periodo. Comunque il bifolco in questione è GagliaudoGajoùd figura mitica alessandrina risalente al periodo dell'assedio della città da parte di Federico Barbarossa che durò dal settembre del 1174 alla primavera del 1175. L'esercito stringeva le mura della città ormai da mesi e la popolazione stava per finire le provviste pensando ormai di non resistere a lungo. In questi frangenti venne in soccorso lo stratagemma del vecchio contadino Gagliaudo Aulari, il quale riuscì ad ingannare in nemici ed a salvare la città. Con stupore dei cittadini, egli decise di sacrificare parte del prezioso frumento rimasto in città per ben sfamare una giovenca per poi portarla a pascolare fuori dalle mura attraverso la Porta Genova (che si trovava dove ora c'è via Marengo) e andando verso il campo dei tedeschi. I soldati avidi e affamati lo circondarono e uccisero la povera mucca che trovarono grassa e piena di grano. Con stupore i soldati avvertirono l'imperatore che volle quindi interrogare il pastore, il quale riferì che in città c'erano ancora così tante provviste da poter vivere tranquillamente per mesi. L'imperatore così dopo aver riflettuto sulla situazione decise dopo pochi giorni di togliere l'assedio lasciando liberi i giubilanti alessandrini che onorarono il loro furbo salvatore con una grossa somma di denaro. L'umile contadino però riufiutò continuando modestamente a pascolare le sue mucche in pace e tranquillità (questo è un altro di quei casi in cui esce bene il carattere umile ed introverso degli alessandrini).

Non si sa se la leggendaria figura di Gagliaudo abbia una qualche origine reale, ma il mito è così, più reale del reale e per gli alessandrini è sempre stata centrale e cuore della loro tradizione, espressione di un popolo amante della sua città e del lavoro. Amaramente mi viene da pensare per quanti sia ancora così e per quanti alessandrini di oggi siano ancora caratterizzati da umiltà, amore per il lavoro e per la 

loro terra.

Una canzone dedicata a Gagliaudo del vernacolo alessandrino per futura memoria:

L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!


L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!
A l'è rivà Gajòud, nost salvadour,
cûn ra so süera ansèma
che ansima dra so tûr,
un trèma nent, un trèma!
Ottsent ani circa fa
Barbarusa l'à tentà - ra mèina
ma i Lisandren, chi stavû preparà,
an tra tèinna l'an facc caschè, 'n tra tèinna!
J'an teis in trapûlen
con quater brancà d' gran,
pò i l'ann gnacà ben ben:
l'è acsèi ch'us fà ai tiran.
Lei alûra i Gajouden
j'ann mûstrà tant vigûr;
adess nûi Lisandren
j'ûma l'istess calûr!
L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà! L'è rivà!

domenica 27 settembre 2020

Storia dei primi vegetariani moderni in Italia.

post originariamente pubblicato su: http://108ricette.blogspot.com/ 

«I vegetariani si occupano poco del passato e considerano che il loro futuro dipende interamente dalla volontà di attuare subito tutte le riforme, perciò a scrivere la storia sono i carnivori», così scrive Alberto Capatti sul suo: «Vegetit. Le avanguardie vegetariane in Italia» (Cinquesensi Editore). Dopo aver parlato del primo ristorante vegetariano d'Europa (l'Hiltl di Zurigo 1898) ho pensato di cercare qualcosa sulla situazione in Italia. Lasciando perdere i pitagorici e i neoplatonici andiamo direttamente all'età moderna dove troviamo Milano e Firenze come città dell'avanguardia vegetariana che sembra fosse una scelta più salutista che propriamente etica. 



Uno dei primi è Fortunato Peitavino originario di Bordighera che dopo la morte della giovane moglie per tubercolosi decide di trasferirsi in Val Nervia per curarsi in modo naturale. In questo angolo solitario pieno di verde e di silenzio si immerge completamente nella natura: sole, aria, acqua, terra e frutta; adotta il regime vegetariano, fa bagni d’aria, d’acqua e di sole, cammina a piedi nudi, dorme con le finestre aperte tanto d’estate che d’inverno; gusta i prodotti della terra lavorata con le sue stesse mani. Grazie a questo modo di vivere, la sua salute va migliorando progressivamente, tanto che dopo due anni non lo si riconosce più.


Ma trasferiamoci a Milano dove, in via Dante 18, la sera del 19 settembre 1907, 9 anni dopo l'Hiltl, viene inaugurato il primo ristorante vegetariano d’Italia. Si chiamava proprio RISTORANTE VEGETARIANO e l’evento fa clamore e finisce in prima pagina sul Corriere della Sera. Menù di alta cucina con lo chef Pietro Monteverdi: Antipasto alla russa con pomodori «quasi crudi”»ripieni di maionese, zuppa Dubarry con cavolfiore, sformato di spinaci alla regina Margherita, soufflé di funghi con cardi alla parmigiana; «costolette» di legumi col tartufo (forse la prima ricetta di un sostituto veg alla carne, ndr), insalata. E per finire: pasticcini di pesche con crema chantilly e frutta mista. Purtroppo la fortuna del locale dura poco: chiuderà nel maggio del 1908 dopo l’intossicazione di alcuni clienti con una zuppa di funghi.


Uno dei primi libri di ricette vegetariane in Italia è invece «Cucina vegetariana e naturismo crudo», scritto dal siciliano Duca di Salaparuta Enrico Alliata. Stampata da Hoepli nel 1930. Si tratta non solo di ricette siciliane (ovviamente la maggior parte, vista l’origine dell’autore) ma anche da altre regioni: il risotto di Milano, la pizza di Napoli, la Romagna con i cappelletti. Numerosi i «finti pasticci» con «pseudo carni» con cui il duca dimostra davvero di essere un precursore della contemporaneità.

Bibliografia:
"Vegetit. Le avanguardie vegetariane in Italia", di Alberto Capatti
"La scelta vegetariana", di Chiara Ghidini e Paolo Scarpi 

Links:
https://www.riviera24.it/2013/12/ricostruito-lo-studio-del-professore-fortunato-peitavino-precursore-del-naturismo-eutrofologico-168316/
https://cucina.corriere.it/libri/cards/storia-vegetariani-d-italia-primo-ristorante-milano-nascita-etica-animalista/antenati-veg_principale.shtml

mercoledì 9 settembre 2020

Il girovagare del Passatore: 1) Friuli, Alpe Adria e altro.

di Guido

Prima puntata per questa "rubrica" o serie di post dedicati al girovagare e alla mia carissima bicicletta, una passatore del 1989 che sognavo da piccolo e che ho finalmente trovato usato alcuni anni fa. So che essere legati a degli oggetti non è forse una cosa molto sana ed etica, ma con le biciclette faccio davvero fatica specialmente in quest'epoca materialista. Penso poi, forse per sentirmi meno in colpa, che recuperare vecchie bici ed usarle abbia comunque un suo valore sia culturale che "ecologico" ed è una bella scusa per parlare di giri in bicicletta nella natura.

Estate 2020, vista la situazione internazionale con il virus decidiamo di ritornare alla vecchia casa in Friuli dei nonni della mia compagna, che si trova poco a nord di Udine al confine con la Slovenia. Posti bellissimi che se non fossero così lontani (dal nord-ovest all'estremo nord est dell'Italia non è una passeggiata) frequenterei più spesso. Possiamo stare li quasi due settimane ma bisogna andarci in macchina, quindi ci portiamo le bici. Oltre ad essere una zona bellissima è anche piena di ciclabili e percorsi perfetti da fare sulle due ruote. Io mi porto il mio Cinelli Passatore a cui ho appena cambiato la sella, quella originale, ormai logora, la tengo da parte. Ci ho messo una Brooks cambium, che certo non è economicissima, ma che prima di tutto è in gomma naturale e cotone e quindi, a differenza dalle classiche Brooks, è vegan (è scritto anche sulla confezione) e poi è la sella più comoda che abbia mai avuto. In oltre si tratta della primissima uscita che ho trovato da un ciclista qui da me che aveva in una scaffale per un prezzaccio. A parte questi piccoli particolari e diversi giretti partendo direttamente da casa (in zona Nimis) abbiamo fatto alcuni percorsi tenendo come base il bellissimo paese di Venzone, un po' per evitare un pezzo di statale trafficata che ci separava dalle ciclabili più belle. I percorsi sono molto tranquilli e con i chilometraggi più vari, perfetti da fare anche con amici che magari non vanno sempre in bici.

Percorsi:

Venzone - Cavazzo, Tolmezzo e ritorno, quasi completamente su ciclabile.
Un classico problema con le ciclabili, in particolare in Italia, è che anche se esistono (e come questa sono molto belle) sono difficili da scovare da casa. Pochi siti e poco chiari, mancano quasi completamente le informazioni sul reale stato delle cose. In ogni caso, questa volta è stata una bellissima scoperta. Si parte dal meraviglioso centro di Venzone (dove si può arrivare in treno o con la macchina) e si va verso Pioveno, da qui si prende la meravigliosa ciclabile che costeggia il fiume tra i boschi, fino ad arrivare (circa 9 km) ad un bivio in cui si può posare un momento la bici, guardare la strada e magari fare un picnic. 
Cinelli Passatore 1989



Si prosegue verso Cavazzo su un altro pezzo di ciclabile incantata tra boschi e prati e poi si raggiunge Tolmezzo su una strada più o meno tranquilla. Questo è un giro quasi completamente pianeggiante, tranquillo e in mezzo a scenari a dir poco bellissimi. Perfetto da fare con chi non va spesso in bici, ne resterà sicuramente entusiasta. Per tornare si fa lo stesso percorso al contrario (volendo ci sono anche dei percorsi ad anello) e si ripercorre la bellissima ciclabile fino a Venzone dove ci si può sedere in uno dei bellissimi bar del centro e bersi una buona birra fresca in compagnia di tanti altri cicloturisti che generalmente si fermano qui arrivando dall'Austria percorrendo la ciclovia Alpe Adria, di questo parlo sotto




ALPE ADRIA: Tarvisio - Venzone.
Il percorso più noto e lungo in zona è comunque la ciclovia Alpe Adria: è il tratto italiano del percorso ciclabile che da Salisburgo porta fino a Grando, seguendo in gran parte una via indipendente dal traffico motorizzato. Qui il sito ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia: https://www.turismofvg.it/ciclovia-alpe-adria-itinerario-completo. Noi abbiamo lasciato la macchina  Venzone e abbiamo preso il treno per Tarvisio, lo fanno in molti e i treni sono spaziosi e dotati di parta-bici. In questo modo il percorso di circa 60 km viene fatto in leggera discesa. Il percorso, specialmente quello iniziale nell'alta Carnia è davvero fiabesco con boschi, prati, case bellissime e vecchi caselli della ferrovia. Questo percorso infatti ripercorre la vecchia ferrovia a binario unico oggi sostituita da quella più veloce e a doppio binario.



A vedere questo scenari bellissimi viene anche un po' di tristezza a pensare a che bello doveva essere prendere il treno su questa linea, ma per fortuna, in questo caso, non si tratta di una chiusura ma di un'ammodernamento e il suo spazio si è dimostrato perfetto per quest meravigliosa ciclabile. Segurla è molto semplice e praticamente non ci sono salite: in estate è anche abbastanza trafficata e lungo la strada ci sono vari punti di ristoro e di pernottamento per chi si fa tutto il percorso in diversi giorni (cosa che punto a fare prossimamente).





Ci sono anche molte gallerie il cui fresco in estate fa anche piacere, in quelle più lunghe bisogna anche coprirsi ed è meglio avere delle luci da accendere. Il percorso scorre bellissimo e con poca fatica grazie alla leggera pendenza, l'unica parte non bellissima è quella finale che ci porterà a Venzone passando da Carnia. La ciclabile si interrompe e bisogna passare per la trafficata statale piena di automobili, che dopo i molti chilometri in tranquillità risultano ancora più fastidiosio del solito. Davvero una nota stonata finale. Arriviamo però a Venzone dove ancora una volta ci attende il bellissimo centro storico con una bella birra fresca.



Salute!

venerdì 1 maggio 2020

MASCHE E MASCONI - 2: La masca Micilina

Di Guido

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Tra tutte la Masche piemontesi, forse la più famosa è Micilina. Se cercate su google infatti vi compariranno decine di pagine dedicate a questa figura e compare persino in un racconto del grande Italo Calvino: "La barba del conte". Questa potrebbe essere la storia di una qualsiasi altra strega in giro per l'Europa del '600 se non fosse per la sua potenza e per alcuni particolari che vedremo qui sotto.

Micilina, che forse stava per Michelina, era nata all'inizio del '600 in un'umile famiglia di Barolo, ma giovanissima venne costretta a sposarsi con un contadino di Pocapaglia (CN) che da subito iniziò a farla lavorare duramente nei campi e picchiarla e umiliarla per ogni piccola cosa. Sembra che la ragazza avesse un carattere introverso che peggiorò con la nuova situazione famigliare e con il trasferimento nel nuovo paese, fino forse a farla impazzire. In oltre aveva i capelli rossi, caratteristica che subito l'aveva messa in cattiva luce di fronte ai nuovi compaesani. Da qui inizia la leggenda e forse è questo il bello di queste storie che si caricano di tutte quelle caratteristiche che ci interessano per ricostruire le credenze di questi luoghi in quelle epoche. C'è chi dice che fosse brutta e deforme, chi lo fosse diventata con l'età a causa delle botte e dei soprusi del marito ubriacone, chi invece dice che fosse bellissima da giovane, sta di fatto che sempre più spesso spesso la nostra signora iniziò a sparire all'improvviso e si dice che quando fosse davvero arrabbiata fosse in grado di chiamare la nebbia e i temporali. Tutti la evitavano per paura delle sue maledizioni, non bisognava incrociare il suo sguardo e non averci niente a che fare. Tuttavia sembra che Micilina non fosse davvero una Masca, la venne in contatto con le masche proprio nei boschi di Pocapaglia, le quali le offrirono la loro amicizia e le diedero il loro aiuto per vendicarsi del marito e di chi le voleva donandole il loro potere. Fu così che si dice che fosse in grado di trasformarsi in gatto nero, in corvo o addirittura in lumaca per sparire a comando o per andare la notte a incontrarsi con le altre masche. Si narra di gente colpita nei modi più strani. una ragazza che aveva toccato sulla spalla si ritrovo all'improvviso una gobba in quel punto, un altro ragazzo che era caduto alla sua vist, quando cercò di alzarsi si rese conto che aveva i piedi girati al contrario! Ma la svolta arrivò quando, si dice, con l'aiuto del maligno, fece cadere il marito dall'albero su cui stava lavorando che morì poco dopo. Da quel momento il suo potere diventa inarrestabile: storpiò dei bambini a Bra, fece colpire da un fulmine i fornaio di Pocapaglia, fece crescere la barba ad una giovane sposa di Pollenzo e i suoi poteri arrivarono fino ad Alessandria dove fece morire un Vetturale che l'aveva trattata in modo sgarbato (1). Si dice che Micilina vivesse ormai al di fuori del paese tra i rovi e le vecchie querce in una grotta scavata in una "Collina delle fate" (2) ancora oggi visibile, circondata solo da gatte nere, masche a loro volta e nessuno cercava ovviamente di avvicinarla.

La rocca di Pocapaglia vista da una delle grotte dove si dice vivesse la Masca.

Il punto di non ritorno venne raggiunto quando la terribile Masca venne accusata di aver fatto morire i bachi da seta della zona e fu così che un prete riuscì a fermarla con l'aiuto di preghiere benedette e soprattutto dell'acqua santa di una fonte benefica che si trovava in zona. Impossibilitata a scappare o trasformarsi, Micilina venne incatenata e trasportata in una cella nel castello di Pocapaglia. Qui, legata, torturata e soprattutto bagnata continuamente con l'acqua santa venne costretta a confessare tutto. Il rogo venne preparato su una rocca ancora oggi conosciuta come Bric de la Masca, oggi meta di turisti ed escursionisti. Grazie ad un libro conservato a Palazzo Traversa di Bra sappiamo che intervenne il tribunale di Savigliano che mandò un inquisitore e un giudice di Cherasco ad appurare i fatti: essi decisero che la terribile donna dovesse essere prima impiccata per impedire che l'anima lasciasse il corpo fisico e poi arsa sul rogo preparato sul bricco di qui sopra. Si dice che un lungo corteo di frati e monache incappucciati scortò la condannata e che quando il rogo venne accesso molti gatti neri uscirono dai boschi facendo miagolii striduli. Come promesso sembra che la nostra "strega" si sia reincarnata più volte in una gatta randagia che spunta dai boschi di notte e si aggira nei vicoli di Pocapaglia. In oltre si dice che con altre masche, tra le quali la ormai tre volte centenaria, Malamassa, partecipa ogni terzo plenilunio dell'anno al falò che si accende nelle radure tra i boschi o nei ritrovi della zona (presto un post) come la Zizzola o l'America dei boschi. 

Il "Bric della Masca"

(1) da MASCHE di Donato Bosca e Bruno Murialdo, pag. 68

(2) Colline delle fate: piccole colline franose che spuntano tra il verde visibili per la loro forma e per il loro colore grigio.

venerdì 13 marzo 2020

Marc Almond è diventato un Druido.

E' vero, Marc Almond, famoso per aver militato nei Soft Cell nei primi anni '80 ma anche per la sua carriera solista si è convertito al druidismo. Lo dice lui stesso in una breve intervista (leggibile qui: LINK) a The List.


Marc, che si professa anti-religioso, ha detto di aver iniziato a studiare il druidismo mentre scriveva il suo nuovo album "Chaos and a Dancing Star", che si concentra sul rapporto con la natura,  ed era alla ricerca di una via spirituale che sentiva mancare nella sua vita.

"Ho ordinato il libro e il CD per diventare un druido e nella busta c'era scritto:" Potresti diventare un druido ". "E ora sto studiando i libri al riguardo."

Le canzoni del disco celbrano un ritorno alla natura, sono canzoni d'amore apocalittiche, dice di essere un amante della città ma con l'età sta apprezzando sempre di più il fatto di tornare alla natura, anche attraverso la morte. Marc è un amante degli animali e ha adottato un corvo in difficoltà che si chiama Dawkins, si è avvicinato al paganesimo nel 2015 scrivendo il disco del 2015 "The velvet trail" e ama l'idea di danzare in costume attorno a Stonehenge.

Per comprare e ascoltare i dischi di Marc almond: https://marcalmond.lnk.to/ChaosID


sabato 7 marzo 2020

Il collegamento tra corona virus e consumo di carne.

Con questo post non si vuole assolutamente denigrare il popolo cinese che già in antichità e nel medioevo vantava molti intellettuali che dibattevano sull'inciviltà del mangiar carne. E non vogliamo assolutamente avvicinarci a teorie complottistiche che vedono un virus creato in laboratorio per chissà quali scopi. Quello di qui si parla qui è un fatto: IL COLLEGAMENTO TRA CORONAVIRUS E ALLEVAMENTI PER IL CONSUMO DI CARNE. In oltre, va detto, il consumo di carne in una civiltà avanzata è immorale.



E' chiaro che l'origine del disastroso Coronavirus che sta affliggendo ormai tutto il mondo siano i mercati semilegali in cui si vendono animali vivi e morti di qualsiasi tipo in China. Il virus, etichettato 2019-nCoV, è simile ad altri famigerati coronavirus, come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria del Medio Oriente (MERS). Tutti e tre si sono diffusi dal contagio attraverso una mutazione del virus dagli animali agli esseri umani e ulteriori ricerche condotte dai Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie mostrano che oltre il 75% delle malattie emergenti proviene da animali. Fattorie affollate e fatiscent, macelli e mercati della carne minacciano la salute di ogni essere umano sul pianeta fornendo un terreno fertile per malattie mortali come il nuovo coronavirus, la SARS, l'influenza aviaria e altro ancora. Gli esperti teorizzano che l'epidemia potrebbe aver avuto origine in un mercato a Wuhan, in Cina, dove gli esseri umani hanno un contatto diretto con animali vivi e carne animale.



Secondo The Guardian, “Molte delle prime persone infette hanno lavorato o fatto spesso acquisti nel mercato all'ingrosso di frutti di mare Huanan nel centro della città cinese, che vendeva anche animali vivi e macellati di recente. I virus nuovi e problematici di solito provengono da ospiti animali. Ebola e influenza sono esempi."

"Quando riunisci tanti animali in queste situazioni innaturali, hai il rischio che emergano malattie umane." - Kevin Olival, ecologo e ambientalista, EcoHealth Alliance

L'influenza aviaria prese il nome proprio da fatto che si trattava di una patologia che affliggeva i polli e gli uccelli, fino a quando il virus non ha fatto il salto e si trasferito all'uomo. Se in gran parte le apediemnie hanno origine in Cina il motivo è che proprio da quelle parti la concentrazioni di mercati illegali iper affollati, di allevamenti industriali e di persone è più alta che in altre zone del mondo. Ma non bisogna pensare che la Cina sia peggio di altri posti: povertà, sovrappopolazione e ignoranza fanno si che per abbassare il costo della carne si faccia ricorso agli orrori più indescrivibili e ad ignorare le più basilari regole dell'igiene. Eppure basterebbe concentrarsi su una dieta basata sui vegetali come molte persone già fanno nel mondo, con grande guadagno in salute.

La cascina degli orrori: uno dei tanti macelli illegali scoperti in Italia.

Mangiare animali fa male alla salute umana. Per anni, gli scienziati hanno avvertito che le fattorie strapiene di animali malati sono terreno fertile per nuovi "superbatteri" resistenti agli antibiotici. Alcuni studi affermano che entro il 2050, più persone moriranno di tali malattie che di cancro. Le Nazioni Unite hanno scoperto che la maggior parte delle nuove malattie umane ha avuto origine negli animali e che molte di queste erano direttamente collegate agli animali utilizzati per l'alimentazione.

L'orrore dei macelli improvvisati in medioriente, basterebbe nutrirsi di vegetali.

Oltre a comportare un alto rischio di contaminazione da agenti patogeni - tra cui E coli, campylobacter e salmonella - la carne non contiene fibre ed è ricca di grassi saturi e colesterolo intasati dalle arterie. L'Organizzazione mondiale della sanità afferma che il consumo di carne trasformata provoca il cancro. Ogni persona che diventa vegana riduce il proprio rischio di soffrire di malattie cardiache, obesità, cancro, ictus, ipertensione, diabete di tipo 2 e numerosi altri problemi di salute - e risparmia ogni anno circa 200 animali ogni giorno e una morte terrificante.


LINKS:

https://www.the-scientist.com/news-opinion/where-coronaviruses-come-from-67011
https://www.peta.org.uk/blog/coronavirus/
https://www.abc.net.au/news/2012-11-05/footage-reveals-horror-of-pakistani-slaughter/4353690
https://www.bangkokpost.com/world/1842104
https://www.nytimes.com/2020/01/25/world/asia/china-markets-coronavirus-sars.html?smtyp=cur&smid=tw-nytimes
https://www.wsj.com/articles/abolish-asias-wet-markets-where-pandemics-breed-11580168707
https://www.cronacaqui.it/la-cascina-degli-orrori-scoperto-mattatoio-clandestino-nel-torinese-le-foto/
https://torino.repubblica.it/cronaca/2019/11/14/news/gli_orrori_del_mattatoio_di_torino_tra_urla_strazianti_e_bestie_malate-241060600/

martedì 25 febbraio 2020

1) Cernunnos e gli altri "Buddha" occidentali. Rapporti e connessioni tra oriente e occidente.

Introduzione.
E' da tanto tempo che voglio scrivere un post su questo argomento, per andare a cercare i moltissimi collegamenti tra oriente ed occidente, gli opposti estremi delle culture indoeuropee e pre-indoeuropee, ma anche dei tanti miti e le tante credenze prive di fondamento che circolando da anni sono alla base di certe cose che diamo per scontate. Il termine "Buddha" del titolo è usato un po' ad effetto per dare l'idea di una certa figura archetipica che per noi è puramente orientale ma che altrimenti sarebbe impossibile da spiegare in una parola. 

Il Dio cornuto euroasiatico.
Iniziamo subito con l'immagine più imblematica: La raffigurazione classica di Cernunnos e quella di Pashupati, avatar di Shiva sul sigillo di Mohenjo-Daro. 


Queste due immagini appartengono a due civiltà molto distanti nel tempo e nello spazio: L'immagine di Pashupati (a destra) viene da Mohenjo-Daro città che sorgeva sulla riva destra dell'Indo nell'attuale Pakistan e che insieme ad Harappa è la città più importante della Civiltà della Valle dell'Indo  risalente all'età del bronzo. Il sigillo è databile al 2000 a.c. circa. L'immagine a sinistra invece si riferisce alla divinità conosciuta come Cernunnos (il cornuto) e si trova sul Calderone di Gundstrup, un manufatto rituale molto complesso e discusso per vari motivi di cui parlo qualche riga più in basso, ma che appartiene alla periodo celtico e che è databile ai secoli a cavallo dello nascita di cristo. Le similarità sono impressionanti ed è praticamente che si tratti di un caso: prima di tutto i due personaggi divini sono seduti nella posizione yoga detta del loto (Padmasana) e sono dotati di corna. Le corna (o dei copricapo a forma di corna) sono quelle di cervo per Cernunnos e di bufalo per Pashupati, probabilmente per la differenza di ambiente locale ma evidentemente sono simbolo divino e sacro. Altra cosa evidente ed importantissima è che le due figure sono contornati da molti animali selvatici che sembrano quasi in adorazione. Questo elemento ci dice che si tratta di due divinità della natura e degli animali e ci dice che si tratta di culture non ancora antropocentriche in cui l'uomo era ancora parte della natura che temeva e venerava. Ma andiamo nei particolari:


Come dicevamo sono molti gli elementi presenti in entrambe le figure, ed è impressionante notare che anche "l'impaginazione" delle due figure è uguale. 1) Le corna; 2) La posizione del loto; 3) L'animale cornuto corrispondente a fianco della divinità: Cervo per Cernunnos e Bufalo per Pashupati (notare la forma identica delle corna animale-dio); 4) L'animale predatore sull'altro fianco delle due divinità: una tigre o un grande felino da una parte e un lupo o forse un'orso dall'altra. Anche gli altri animali sono disposti allo stesso modo e le differenze di specie possono benissimo essere attribuite alla distanza geografica tra le due civiltà: la presenza dei grandi cervi nelle foreste europee e dei bufali nelle Indie ad esempio, tigri da una parte e orsi dall'altra. Altre differenze dovute probabilmente alla differenza temporale e all'evoluzione indipendente delle due figure sono per esempio la triplice faccia (trifronte, tricefalo) della divinità indiana che comunque ritroviamo in occidente ad esempio nel Mercurio gallo-romano (identificato come Lugh), nel Gerione etrusco, nella Dea Ecate in Grecia e poi in epoca cristiana in vari santi e in varie rappresentazioni del Diavolo. Ovviamente anche in Oriente si continua a trovare questa caratteristica in rappresentazioni più recenti di Shiva, di Vishnu ma poi anche nel buddismo nelle figure di Tara e di Avalokitesvara e molti altri. Un altro elemento è il fallo di Pashupati, che non è presente sul calderone di Gundstrup o in altre rappresentazioni recenti del dio Gallico. Esso potrebbe essere presente nella raffigurazione più antica di Cernunnos, ma, come si vede dal rilievo, è molto difficile esserne certi e le rappresentazioni del Dio Cervo moderne, legate alla Wicca, New Age e Fantasy, non hanno una base storica fondata e molte volte sono più legate al dio Pan. E' presente ad esempio nel gigante di Cerne Abbas, figura umana incisa sul terreno e dotata anche di clava (che richiama il fallo) ma che non può essere assolutamente datato: dall'età del bronzo, al periodo romano o addirittura al medioevo. Elementi fondamentali e particolari della rappresentazione gallica del Dio Cornuto sono il Torque, ovvero il collare di metallo ritorto che la divinità indossa al collo e tiene nella mano destra e che identificava nelle società europee antiche come quella celtica, ligure e manche sciite e precedenti i personaggi nobili e legati al culto e il Serpente tenuto nella mano sinistra.


Qui sopra vediamo la rappresentazione più antica di Cernunnos, quella della Val Camonica appunto in Lombardia in cui sono ben visibili gli elementi fndamentali: Il torque al braccio destro e il serpente tenuto alla sinistra (probabilmente con corna di Ariete): questo ci fa pensare ad una rappresentazione grafica o statuaria che oltre ad aver viaggiato dall'Asia all'Europa probabilmente accompagnava le popolazioni che si spostavano per l'Europa celtica. Qui sotto invece ci sono altre rappresentazioni dello stesso dio che provengono dalla Gallia transalpina:


La cosa interessate di questi tre rilievi è che provengono tutti dalla francia e appartengono al periodo romano, i primi tre secoli dopo Cristo.
1) Questo altare è conservato al museo di Reims, è databile al primo secolo dopo Cristo è in perfetto stile classico e infatti rappresenta Cernunnos tra Apollo e Mercurio (pienamente romani) e testimonia l'unione della religione romana con quella gallica dovuta all'effettiva somilianza tra le due, con buona pace di nazionalismi e campanilismi in epoca moderna. Da notare che la divinità continua a sedere in posizione "Yoga", indossa il torque ma invece del serpente sostiene una cornucopia. Particolare importantissimo e degno di osservazione i due animali cornuti ai suoi piedi: un toro e un cervo (entrambi cornuti che rimandano a Pashupati e Cernunnos, oriente e occidente) sotto alla sua seduta come nel caso del sigillo di Pashupati da Mohenjo-Daro.
2) Il Pilier des Nautes (Pilastro dei Nauti) esposto al museo medievale di Cluny a Parigi che in origine era una colonna eretta a Giove in epoca Romana dove ora sorge Notre Dame. Questo rilievo è molto importante perché è l'unico caso in cui compare il nome "(C)ernunnos" ed è quindi grazie a questa colonna che conosciamo il nome di questa divinità. Qui viene rappresentata solo la testa e i due torque sono tenuti sulle corna. Da notare che sul pilastro sono raffigurati e nominati molti dei, sia celti che romani: Ai lati della colonna ci sono scolpiti diversi Dei, sia galli sia romani: "Giove, Mercurio, Marte, Fortuna, Castore e Polluce, Vulcano ed Esus, Tarvos Trigaranos, Smertrios e Cernunnos".
3) La stele di Vandoeuvres al museo di Bourges. Anche in questo caso l'epoca è quella romana così come lo stile: la divinità è, come al solito seduta a gambe incrociate, indossa un mantello e un torque e con le man tiene un otre (o una cornucopia consumata?). Due personaggi giovani e nudi tengono con una mano le corna di cervo e sono in piedi su due serpenti (forse cornuti).


Altre due rappresentazioni di Cernunnos: la prima viene da Etang sur Arroux e ancora una volta il Dio ha un torque la collo, uno appoggiato sulla pancia ed è seduto nella posizione del loto. Cosa interessante è che la statua possiede due piccole facce dietro alla testa e quindi è tricefalo. In braccio porta anche due teste di ariete che forse sono serpenti con corna di ariete, come in altre rappresentazioni. Le corna sono sparite, ma i buchi ai lati indicano i punti dove esse andavano inserite. La seconda figura viene da Lione e si tratta del famoso Gobelet di Rue Sala su cui sono raffigurati Cernunnos (acefalo purtroppo) con torque in mano, cornucopia e con un cervo vicino. Mercurio invece è raffigurato con un cinghiale.

Bisogna fare alcune precisazioni riguardanti Cernunnos: una è che di lui, ancora una volta, sappiamo ben poco. Molte delle caratteristiche date per sicure sulla sua figura vengono dall'associazione che è stata fatta con altre divinità: Pashupati appunto, Shiva, Dioniso e Pan. Il suo nome è fortunosamente giunto a noi tramite il Pilastro dei Nauti di Parigi e sappiamo che si trattava di un Dio proprio perchè su quel pilastro è nominato vicino ad altre divinità. Alcuni pensano che in origine si trattasse della figura di uno sciamano, visto che simili rappresentazioni di sciamani vestiti con pelli e corna di cervo giungono a noi da epoche ben più remote e che potrebbero essere la basa arcaica del suo culto. Un'altra punto è che la maggior parte delle raffigurazioni di Cernunnos ci vengono dalla Gallia ormai romana. Questo è abbastanza spiegabile per il fatto che i galli prima del contatto con le civiltà classiche non usavano la scrittura, usavano materiali deperibile quali il legno per la maggior parte dei loro manufatti e che abbiano iniziato a rappresentare i loro dei come antropomorfi in gran parte nel periodo gallo-romano. Bisogna sempre ricordare infatti che per i celti il Cielo o il Sole erano dei in quanto cielo e sole, non c'era il Dio antropomorfo del cielo o del sole. Cernunnos quindi era forse un Dio a parte, particolare. Un'altra cosa è che le rappresentazioni più antiche non ci arrivano dalle solite aree tradizionalmente considerate celtiche per eccellenza e questo dovrebbe portarci a fare alcune considerazioni sull'idea che abbiamo delle popolazioni galliche anche a livello accademico. La rappresentazione più antica è quella della Val Camonica (vedi su) risalente a un periodo compreso tra il 7° e il 5° secolo avanti cristo e anche se su molte mappe quell'area continua a non essere compresa tra le aree celtiche originarie, oggi sappiamo benissimo che i Camuni dell'età del ferro erano culturalmente celti e forse furono tra le popolazioni originarie. La rappresentazione più famosa è quella del Calderone di Gundstrup: il fatto è che questo incredibile manufatto è stato scoperto in Danimarca in una zona che non aveva niente a che fare con i celti e infatti fu probabilmente portato qui dai Cimbri che sconfitti dai Romani tornarono nella loro terra d'Origine con il calderone come bottino di guerra. Ma anche la lavorazione non era gallica mentre i soggetti si. Oggi si pensa sia stato fabbricato in Tracia nell'attuale Bulgaria luogo in cui era presente anche una tribù culturalmente celtica: gli Scordisci. Quello che complica ancora le cose è che oggi si pensa che l'epoca di fabbricazione sia più recente e risalga al II-III secolo dopo cristo e quindi che sia tutto da rivedere. Rappresentazioni di questa Divinità o sue inscrizioni non sono mai state trovate in Britannia o nelle altre aree celtiche insulari anche se gran parte dei libri che ne parlano dicono il contrario.


Ma torniamo un momento al calderone di Gundestrup: si parla sempre del dio cornuto che però è rappresentato soltanto su uno dei pannelli, ma la produzione artistica di questo manufatto è ricchissima di simboli e personaggi e anche se viene generalmente usato come vera e propria fonte di illustrazioni di miti celtici non si limita a quella cultura. Su un altro pannello infatti troviamo una dea contornata da vari animali mitici ed esotici tra i quali due elefanti. Questa è un'altra evidenza delle forti connessioni tra le culture indoeuropee e in questa rappresentazioni in molti vedono una rappresentazione della dea indiana Lakshmi. Guardando le rappresentazioni antiche (immagine sotto) e moderne della dea indiana è abbastanza naturale vedere delle forti relazioni, la dea viene tradizionalmente rappresentata in mezzo a due elefanti che la inquadrano. Questo è ancora più impressionante se ripensiamo al pannello con Cernunnos e i punti di contatto con Shiva-Pashupati. In oltre bisogna ricordarsi della dea Slava Laima che oltre che al nome condivide molte caratteristiche con la divinità indiana.





Ma risaliamo ancora indietro alle epoche precedenti, torneremo ai celti dopo. Una dei ritrovamenti più antichi a cui possiamo risalire in Europa per quanto riguarda la posizione del loto detta volgarmente "Yoga" è quello di Lepenski Vir (LINK) un insediamento mesolitico nell'attuale Serbia, vicino al confine con la Romania, abitato a partire dal 7000 a.c. e che raggiunse il massimo sviluppo tra il 5300 e il 4800 a.c. ma già frequentato a partire dal 9300 a.c. il che ne fa uno dei centri più antichi dell'Europa antica. Qui sono state trovate diverse sepolture, tra le quali una in particolare è diventata celebre. la numero 69, nella quale è stato trovato un corpo nella posizione del loto appunto.

Qui sopra: il sito megalitico di Willong in India.

A questo punto bisogna per forza nominare un libro fondamentale sull'argomento: "Shiva e Dioniso" di Alain Daniélou. Nel libro lo storico francese e uno dei più grandi seguaci dello shivaismo del XX secolo in occidente trova tantissimi collegamenti tra India, mediterraneo ed Europa antica. Dal culto del fallo, alle corna o alla posizione yoga appunto. Per parlare di questo bisgnerebbe aprire un'altro post molto lungo e quindi ci limitiamo ad esempio a quello che l'autore dice sui megaliti, in particolare i menhir: se ne trovano di assolutamente identici dall'estremo oriente all'estremo occidente del continente euroasiatico e simbolizzano il fallo di questa divinità primordiale. Lo Shiva Lingam, il fallo di Shiva, ancora oggi eretto e adorato in India, e via con simbologie che sono arrivate fino al 1700 in Italia, Francia e Germania, con dolci pasquali di forma fallica portati in processione (Il santo membro di Trani), e via dicendo. Cosa veramente interessante è che se in Europa si conservano i più famosi e antichi megaliti del mondo, essi si sono probabilmente sviluppati nel mediterraneo orientale e da li sarebbero arrivati fino alla Scozia seguendo prima la costa mediterranea e poi quella atlantica, sia l'India per raggiungere il Giappone. Il punto è che mentre se sui megaliti europei non sappiamo nulla se non tramite le ricostruzioni degli studiosi, su quelli indiani abbiamo addirittura dei testi che spiegano il rituale della loro sistemazione, dell'orientamento e così Danielou dice che ogni studio sui megaliti dovrebbe partire dagli antichi testi indiani.

Uno Shiva Lingam, oggi, Gangotri national park, India.

Danielou nota che queste divinità erano un tutt'uno con la natura. Questo carattere è stato tramandato in Gopala-Krishna, in Pan e Orfeo in Grecia, nel mondo celtico il protettore degli animali è un dio Cornuto, lo stesso Gesù, il buon pastore e molti santi. Nel Linga Purana si dice che tutte le divinità si chiamano Pasupata (fratelli degli animali) perché fanno parte del gregge di Pasupati: "tutti coloro che considerano il signore degli animali la loro divinità, sono fratelli degli animali".


"La concezione moderna dell'ecologia può apparire un tentativo di ritorno ad una vera morale, anche se il più delle volte resta antropocentrica. Si tratta non solo di preservare la natura al servizio dell'uomo ma di ritrovare il ruolo dell'uomo all'interno della natura, come cooperante all'opera degli dei. UNA RELIGIONE CHE NON RISPETTI LA NATURA NEL SUO INSIEME INDISSOLUBILE, CHE NON SIA FONDAMENTALMENTE ECOLOGICA NON E' CHE UN INGANNO, UNA SCUSA PER I SACCHEGGI UMANI, E NON PUO' IN ALCUN CASO PROCLAMARE LA SUA ORIGINE DIVINA. L'uomo non è che un elemento in un insieme ed è  l'insieme che è l'opera di Dio.

La parità con gli animali è un valore fondamentale, magico e sacro come la nudità. Shiva è nudo. Tra i Jainisti (che sono vegetariani strettissimi e rispettano anche le forme di vita più microscopiche) esigono che i propri fedeli siano nudi. Nel racconto mitologico irlandese "The destruction of  Da Derga's Hostel..." si legge: "Un uomo nudo, che in piena notte camminerà per le strade di Tara con una pietra e una fionda, ecco chi sarà Re". Anche dioniso è rappresentato nudo on i capelli lunghi quando non indossa la veste color zafferano.

 Il Jainismo si sviluppa in India dal pensiero di Jina o Mahavira contemporaneo di Buddha.

Come abbiamo visto la posizione Yoga (del loto) era usata sia nell'antica Europa che nell'antico oriente. Pashupati, Shiva, Jaina e Buddha sono rappresentati in quel modo. Tra il VII-VI secolo a.c. e la fine dell'età ellenistica nei territori d'influenza greca si sviluppo' l'orfismo. Conosciuto attraverso documenti frammentari e in gran parte dell’ultimo periodo, si basa su pratiche ascetiche e misteriche , su rituali di liberazione dell’anima dal corpo (inteso come carcere), anche attraverso un processo di reincarnazioni sino a un’immortalità che diventa parte della divinità. Sono in effetti incredibili le affinità con il Buddhismo che in quei secoli si sviluppò in India, tanto da far pensare a dei contatti, a delle influenze tra una corrente e l'altra o ad una comune radice che è andata persa. Essi infatti credevano nella trasmigrazione delle anime, nella visione del corpo come una gabbia, non mangiavano esseri senzienti (specificatamente, il divieto di mangiare carne degli orfici, ma anche di uova e fave*, è specificato dal racconto di Euripide in cui sprezzante definisce la dieta di Orfeo "apsychos" - senza anima e quindi non ha a che fare con una dieta ma con il divieto di ucccidere esseri senzienti) e nemmeno li sacrificavano. Sappiamo infatti che gli orfici praticavano "piacevoli giochi e sacrifici" senza lo spargimento di sangue: le libagioni erano a base di focacce e miele.


Erodoto ci dice che la dottrina della metensomatosi (la reincarnazione) fosse nata in Egitto per approdare in Grecia e questo ci farebbe pensare ad un influenza da ovest a est: furono i buddisti influenzati dagli Orfici? Non lo possiamo sapere, ma c'è un altro punto d'incontro con similitudini a dir poco notevoli: Gran parte di quello che conosciamo direttamente dei culti orfici ci viene da piccole lamine d'oro trovate nelle sepolture sparse nei vari territori del mediterraneo greco. I testi che si trovano incisi su di esse danno indicazione al morto sulla strada nell'oltretomba e come nel Libro Tibetano dei Morti, esse sono molto dettagliate. (laminette orfiche). In oltre nelle rappresentazioni di orfeo torniamo alla figura della divinità circondata dagli animali nella natura (generalmente orfeo suona la lira).


Dioniso era molto caro ai seguaci dell'orfismo che è la divinità mutevole per eccellenza e bisogna dirlo, non erano ben visti in città e vengono derisi in molti testi dell'epoca per le loro abitudini alimentari e le loro credenze. Tuttavia sappiamo che anche ai seguaci di Dioniso (o almeno a parte di essi) era vietato cibarsi di esseri viventi ma si cibavano di carne cruda durante il sacrificio di iniziazione. Questo ci rimanda ai Bramini dell'india tra le altre cose. Gli inni orfici alle divinità e alle forze della natura sono qualcosa di meraviglioso, di animistico e poetico. I Pitagorici furono poi influenzati dagli orfici, ovviamente, e a loro volta sembra che i Druidi studiassero assiduamente Pitagora. Ce lo dice Ippolito, nel Refutatio Omnium Hæresium:

"I druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica, a ciò spinti da Zalmoxis, lo schiavo di origine tracia appartenente a Pitagora, il quale Zalmoxis venne in quelle contrade dopo la morte di Pitagora e fornì loro l’occasione di studiarne il sistema filosofico". 

Anche Ammiano Marcellino ci dice che: "I Drisidi infine, superiori per ingegno ai precedenti, unitisi, secondo l’insegnamento di Pitagora, in fraterni sodalizi, si volsero alla speculazione di problemi occulti ed elevati e, con disprezzo delle cose terrene, proclamarono l’immortalità dell’anima.” Sappiamo da molte fonti che i Druidi dei Celti credevano nella trasmigrazione delle anime infatti, erano anche vegetariani? Sappiamo che presiedevano i sacrifici, anche cruenti, ma era una cosa che riguardava tutti i druidi? O come i bramini dell'india si astenevano dal mangiare carne ma praticavano i sacrifici? Certo è che i druidi moderni non praticano sacrifici e in molti non mangiano carne.


I "Buddha celtici".
A questo punto torniamo in Europa occidentale nell'antica Liguria e più precisamente al santuario di Roquepertuse un centro abitato dai liguri Salluvi che si trova a nord di Marsiglia. Qui all'inizio del secolo durante gli scavi effettuati da Henri de Gérin-Ricard vennero alla luce i resti di quello che doveva essere una zona sacra di grande importanza: un portale con evidenti rimandi al culto celtico della testa (LINK) ma soprattutto a due statue raffiguranti due figure nella posizione del loto. Le sculture, incomplete a causa dei danni del tempo sono incredibilmente simili alle statue dei Buddha dell'estremo oriente. Purtroppo dei culti di queste popolazioni, che potremmo considerare nostri avi, non sappiamo molto: la datazione di questo sito va dal VI secolo al periodo precedente all'occupazione romana a seconda delle differenti teorie.


Si possono fare comunque dei collegamenti con il culto delle teste celtico appunto, di cui ci raccontano gli autori classici, in oltre lo stile scultoreo rimanda al vicino oppida di Entremont. Mancano le teste e gran parte delle braccia ma il materiale ci ha permesso di scoprire moltissimo di popolazioni che altrimenti utilizzavano il legno per la stragrande maggioranza dei manufatti e delle costruzioni e di cui quindi abbiamo pochissimi esempi. Una considerazione da fare è anche quella della suddivisione tra celti e liguri dell'età del ferro, davvero inconsistente.

Un Buddha tailandese esposto al MAO di Torino.

Tra gli altri reperti sparsi per l'Europa e tragicamente sconosciuti ce n'è un altro che proviene dal santuario di La Beauve (Meaux) appartenente alla popolazione dei Meldes dove sono stati scoperti molti oggetti celtici risalenti al III secolo avanti cristo. La fattura minimalista è notevole e in questo caso la posizione "del loto" è ancora più particolare. Entrambe le mani sono appoggiate sulle ginocchia e la forma ha un'eleganza e un'armonia molto esotica e moderna.

Il guerriero di "La Beauve" (Meaux)

I "Celti buddisti".
Ma esistevano anche dei Celti buddisti? Vediamo sempre le cose dal nostro punto di vista, quello occidentale, ma esisteva qualcosa dal punto di vista opposto? Sicuramente la cultura ellenistica influenzò pesantemente le valli dell'attuale Pakistan e dell'Afganista nel regno del Gandahara in cui il buddismo prosperava a quei tempi, questo incontro diede vita ad una cultura greco-buddista. Nel sito di Hadda





La Swastika.
A questo punto, senza allontanarci troppo, andiamo a vedere un altro simbolo che collega oriente e occidente. la Svastica. Sono due parole per dire che l'immagine negativa che noi abbiamo di questa croce deriva esclusivamente dall'uso che ne fecero i nazisti. Questo simbolo solare è sempre stato parte dell'occidente e non solo dell'oriente, il suono in sanscrito Swastika significa "ben essere" (Su = buon, Asti = essere) ed è sempre stato associato alla buona salute, alla fortuna. Non c' una direzione buona e una cattiva (卐 o 卍) e la troviamo ovunque, dal Giappone a Roma, dalle Americhe alla Siberia. Qui però a noi interessa quando è associata con certe figure: chiunque sia stato in Giappone sa che sulle mappe la svastica indica un tempio buddista, sono molti i Buddha che la portano addosso e compare sui Piedi del beato come segno di buon auspicio.


La pagina wikipedia in inglese è molto ben fatta e può essere utile per farsi un'idea più completa di questo simbolo: LINK Qui sopra ho messo alcune figure classiche del Buddha nella posizione del loto con la svastica sul petto e quindi bisogna andare ad alcune figure trovate sulle navi vichinghe tra cui la più famosa decorava un secchio sulla nave di Oseberg, risalente all'800 dopo cristo e quindi al medioevo. Lo stile rimanda alle figure celtiche di cui abbiamo parlato sopra, qualcuno ipotizza anche che la parte superiore del capo mancante potesse essere dotata di corna. Non si può però ignorare la somiglianza con le figure buddiste orientali e questo apre molti possibili collegamenti Tra l'Europa antica e medievale e l'estremo oriente.


I Buddha Vichinghi.
Potrebbe sembrare un collegamento troppo fantasioso e forzato quello tra vichinghi e buddismo, basato su simili posizioni e simboligie indoeuropee. Ma in effetti non è così: nel 2015 le poste svedesi pubblicarono un francobollo, parte di una serie per la commemorazione dell'era vichinga raffigurante un Buddha seduto nella posizione del loto. Si trattava di una statuetta di bronzo ritrovata nel 1954 durante gli scavi di Helgo, un piccolo non lontano da Stoccolma il cui nome tra l'altro, significa "isola sacra". Gli archeologi hanno stabilito che la rappresentazione alta circa 8 centimetri sia stata fusa nel V-VI secolo d.c. nella zona del Kashmir tra India e Pakistan. La figura presenta il terzo occhio simbolico sulla fronte, simbolo dell'illuminazione, i lobi delle orecchie allungati che rappresentano la discendenza reale ed è seduto su un doppio loto che ne testimonia la purezza. La statuetta inoltre è stata ritrovata con dei lacci di cuoio che indicano che fosse portata durante i viaggi forse come talismano. Gli storici ipotizzano quindi che questo Buddha di bronzo abbia viaggiato per qualche secolo attraverso le steppe, i fiumi e le foreste euroasiatiche dalle montagne dell'Himalaya alle terre scandinave, facendoci pensare quanto poi certi collegamenti tra est ed ovest siano poi molto più reali di quello che si possa immaginare.



E' doveroso tornare un attimo all'Europa neolitica di circa 7000 anni fa, nella zona tra Romania e Serbia in cui venne scoperta la sepoltura di Lepenski Vir di più sopra. Appartenenti alla cultura di Vinca, di poco successiva, sono state scoperte tantissime statuette, molte raffiguranti dee femminili (di cui si è occupata molto Marija Gimbutas) e altri particolari "personaggi", molti dei quali adornati con svastiche.


Bisogna dire che tutto quello che ho scritto qui sopra ha a che fare con i simboli e con la mitologia, non sto dicendo che ci fossero persone o missionari che facevano avanti e indietro come facciamo noi oggi con gli aerei. Alessandro il grande giunse in India e con lui la cultura greca venne a contatto con gli scivaiti e i primi buddisti, questa è storia. Da questo incontro nacque l'arte buddista del Gandhara (zona compresa ta Pakistan e Afganistan) in cui la storia del Buddha è rappresentata con uno stile greco: in Italia sono molte le collezioni pubbliche che conservano reperti di questo tipo tra le quali quelle del MAO di Torino e il Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma. Ci sono poi alcune testimonianze antiche che vedono l'arrivo di un'ambasciata indiana che venne inviata a Roma tra il 22 a.c. e il 13 d.c. di cui faceva parte un monaco buddista che si sarebbe dato fuoco ad Atene  per dimostrare la sua fede. L'evento venne raccontato da Nicola di Damasco che incontrò l'ambasciata ad Antiochia, la tomba di costui era ancora visibile ai tempi di Plutarco (LINK).


L'imperatore Ashoka, che si convertì al buddismo e promosse la dottrina nell'India antica, inviò dei missionari in Sri Lanka ma anche in Siria, Egitto e Grecia e c'è chi dice che questi insegnamenti ispirarono anche Gesù, ma siamo nella pura speculazione. I romani iniziarono a commerciare direttamente con l'India nel secondo secolo dopo cristo (continuando poi anche in Cina dove inviarono delle ambasciate) e non è un mistero questo. I ricchi romani amavano le merci che giungevano dall'estremo oriente la seta e per esempio a Pompei è stata trovata una statuetta in avorio raffigurante la dea Lakshmi, conservata sotto le ceneri dell'eruzione fino al 1900. Alcuni scavi abbastanza recenti sulle coste meridionali dell'india (Arikamedu e Muziris) hanno portato alla luce Anfore, vasellame (tra cui una coppa col marchio di una fabbrica di Arezzo), vetri dipinti, monete d’oro: tutto materiale di scavo di origine Romana, e testimoniano circa 200 anni di commerci. (*)  Il professor Raoul McLaughlin dell’Università di Belfast, studioso delle rotte commerciali tra Roma, l’India e la Cina, identifica un busto che si trova alla Galleria Borghese con un romano convertito al buddismo. Ha la corazza da generale ma porta i capelli alla moda dei buddisti del Gandhara, «forse proprio uno di quei Yavanas di cui tanto parlano gli antichi testi Tamil» e non è l'unico.

Statuetta della dea Lakshmi da Pompei.

Lo Zen viene da occidente?
Nella visione occidentale e banalizzata lo Zen rappresenta quasi l'oriente stesso. L'estremo oriente, il Giappone. Bisogna dire che generalmente quando si dice Zen si pensa ad uno stile minimalista, magari per il bagno o per un profumo, siamo in un epoca e in una società in cui tutto, per arrivare alle masse, diventa "Pop", semplificato e filtrato da tutto quello che non è pura immagine utilizzabile per vendere qualcosa, il cibo di un ristorante, un sapone, una compilation musicale. Con Zen si intende un'insieme di scuole buddiste giapponesi che derivano dal buddismo Chán cinese ed è, semplificando al massimo, una forma di buddismo che enfatizza la pratica della meditazione evitando le speculazioni intellettuali. Il buddismo Chán si sviluppò in Cina tra tra il VI e il VII secolo d.C. e da esso derivano appunto la tradizione Zen in Giappone, Quella Sòn o Seon coreana e la Thiền vietnamita e fanno tutte parti del più grande insieme delle scuole buddiste Mahayana. Il termine Chan (da cui deformati derivano i termini Zen, Sòn e Thiền) deriva a sua volta dal termine sanscrito Dhyāna che significa letteralmente "visione" e che viene usato per rendere il concetto di "meditazione". In cina per rendere il suono di questo dermine venne usato l'ideogramma  禅 che viene letto in cinese Chàn e in giapponese Zen. Il punto è che le origini leggendarie di queste scuole buddiste non sono facilissime da ricostruire ma vengono fatte risalire alla figura di Bodhidharma.

Bodhidharma in una stampa giapponese ottocentesca di Yoshitoshi

Bodhidharma fu un leggendario monaco buddista giunto in Cina per insegnare una forma di buddismo mahayana incentrata, appunto, sulla meditazione ma sulle cui origine, come per l'origine del buddismo Chàn, resta un alone di mistero, anche per le incongruenze dei vari testi. Il punto è che il maestro viene sempre raffigurato con tratti occidentali, capelli rossi e occhi azzurri, chiaro segno che in oriente è sempre stato visto in questo modo In oltre l'unica testimonianza contemporanea sulla sua figura si trova negli "Annali dei Monasteri di Loyang" in cui Bodhidharma viene descritto "un persiano dagli occhi blu sui 150 anni di età" che praticava la recitazione del nome del Buddha". Le altre fonti più tarde lo descrivono come originario ancora una volta della Persia (Iran) o dell'Impero Kusana (un'impero multiculturale che oltre all'India del Nord, andava dall'Afganistan alla Cina). In ogni caso viene generalmente descritto come un uomo di etnia caucasica europoide.

Rappresentazione di un monaco dai tratti occidentali che insegna ad un monaco orientale in un affresco delle Grotte dei mille Buddha di Bezeklik

Il Buddismo celtico moderno.

Epoca contemporanea: il buddismo si espande in occidente.


"Le cose esistono ma non sono reali" - Mu Soeng

Critiche all'espansione del buddismo in occidente: perchè in molti criticano il buddismo in occidente? Si tratta principalmente di posizioni con una basa identitaria e nazionalistica: si vede il Buddismo come una delle tante influenze culturali aliene e quindi viene criticato. La ragione è sempre la stessa, la paura di quello che viene da fuori, di quello che non si comprende e quella di perdere le proprie tradizioni a cui, per vivere, ci si attacca. Eppure il buddismo è quasi universalmente conosciuta come una religione pacifica con posizioni generalmente meno radicali di, per esempio, quelle delle religioni monoteistiche. I detrattori quindi reagiscono in vari modi: negli ultimi anni alcuni hanno cercato di screditare questo aspetto pacifico del buddismo, prendendo casi estremi o addirittura inventando "fake news", il governo cinese lo ha fatto per anni, ad esempio descrivendo alcuni rituali tantrici riservati a pochi iniziati come pure perversioni a chi non ne sapeva niente. In occidente la posizione contraria più comune credo sia quella di vedere il buddismo come una moda new age per hippies malati di orientalisimo o anche come una cosa lontanissima e incompatibile con la filosofia occidentale. E' anche per questo che ho scritto questo post.


>>> Da continuare <<<



Bibliografia:
- Alain Danielou, "Shiva e Dioniso".
- Miranda Green, "Symbol and Image in Celtic Religious Art".
- Miranda Green, "Dizionrio di Mitologia celtica"
- Miranda Green, "
- P . Wuilleumuier, "GOBELET EN ARGENT DE LYON", 1936
- Religion et Société en Gaule (Rhone)
- Geoff Bailey, Penny Spikins, "Mesolithic Europe", 2008
- "I primi Europei", Jaca Book


Articolo:
(*) - Nell'antica Roma c'erano anche i buddhisti? - alcuni scavi dimostrano gli scambi tra Roma e l'India -
di Emilio Laguardia - Il Messaggero 07/07/2008