domenica 13 novembre 2022

Buon AUTUNNO.

 Sembra che da un paio di settimane finalmente sia arrivato l'autunno sul serio.

Vi auguriamo quindi una buona stagione autunnale, tranquilla, pacifica, vegetariana e da esplorare in bicicletta con questa bella illustrazione di VIttorio Belli da libro "Autunno" di Claudio Corvino.

Questo è un periodo in cui bisogna riposarsi, godersi i bei colori della campagna, ricordiamocelo!



venerdì 11 novembre 2022

Un tributo al fiume Tanaro: I Tre Martelli e Giovanni Rapetti

 I nostri antenati consideravano ogni elemento della natura come animato: alberi, monti, fiumi e molto altro. Oggi è difficile immaginare come vedessero il mondo gli uomini prima dell'urbanizzazione, dell'industrializzazione e dell'arrivo del cristianesimo, ma se ci pensiamo bene forse non è impossibile. Magari non è così per tutti, ma quando ad esempio parliamo del Tanaro, del Po o di altri fiumi, proprio quando magari come nella scorsa estate, la sempre più grave mancanza di precipitazioni che li ha resi sempre più miseri o addirittura prosciugati, pensandoci bene possiamo vedere che i nostri sentimenti verso di "loro" possono essere di tipo "personale". Possiamo notare una certa empatia, come se i fiumi si fossero ammalati e stessero soffrendo. A me capita anche con i ghiacciai, non è solo il fatto di constatare che lo stato ecologico del nostro pianeta è pessimo e in peggioramento, ma si tratta proprio di un dispiacere e di una tristezza simile a quella che ho nei confronti di altre persone o esseri senzienti. Detto questo, i nostri avi spesso identificavano i corsi d'acqua come spiriti individuali oppure più recentemente come emanazioni di dei e divinità naturali. Al riguardo rimando al post sugli idronimi e sulle origini dei nomi dei fiumi in Piemonte: LINK

 

Alcuni anni fa i Tre Martelli, gruppo dedito alla ricerca, alla salvaguardia e alla reinterpretazione della musica e della cultura piemontese, ha registrato un fantastico disco con il poeta e scrittore Giovanni Rapetti (Villa del Foro 1922 - Alessandria 2014) detto anche "l'ultimo bardo alessandrino" il quale oltre ad avere scritto i testi fa anche da voce narrante di molti pezzi. Il lavoro si chiama "Cantè 'r paroli" (2012), tutto nel particolare dialetto di Villa del Foro che, come succede spesso da queste parti, differisce già leggermente da quello alessandrino che a sua volta costituisce una delle tantissime varianti di quello Piemontese. In ogni caso, nel disco in questione compaiono due tracce incredibili, per me commoventi, dedicate al fiume Tanaro, visto come prima come Divinità o Spirito naturale (Ra cornamusa an Tani) e poi come vero e proprio parente (U Testamèint D Barba Tani) purtroppo morente.

Testi (tradotti):

Ra cornamusa an Tani (La cornamusa nel Tanaro)

Tanaro è il tempo, divenuto acqua,
la deriva clessidra di gusci, sabbia,
tempo che veniva rotte le catene al gelo
canta vittoria
con le piante e i pesci,
gli uccelli, col sole in gloria.

Tanaro raccontava e racconta a stagli in ascolto
il pane mutino, saracco,
polenta fredda
borbottio divenuto memoria di quelli che tacciono
terre, sudori, carri, le vacche e l'asino.

Tanaro la piva dell'eco,
ripeteva
stagione del cespuglio,
dei richiami lungo la riva
raccontava i tempi,
dell'avvenire, all'aria pura
fagotto dei venti, respiro
della gioventù.

Cantava il vino, i canti
della nostra lotta
per vivere, per campare,
tempi tristi dell'idiota
la fame, il freddo, la paura
la prepotenza
liberare l'anima e i passi,
sorte, che vinca

Slegato il burchiello, giù il remo,
nell'acqua ondeggiante
lasciate alle spalle le case
che ballano la carioca
dalla confluenza del Belbo
in su non sanno più chi eri
là sabbie e piante
raccontano un mondo di misteri.

Storie di Tanaro morto;
di dove passava
al tempo dei tempi
della stella che chiamava le cornacchie bianche,
volpi, lupi, l'Eremita del nuovo
maschere ghigne di Carnevale,
tempo del rinnovo.

Racconta i fondoni del vortice dove tira l'acqua pulita e il pesce
a odorare la frescura
la palla di fuoco del sole,
occhi da morosa
storie dell'acqua santa
diventata bavosa.

L'airone, mangiare il pesce vivo,
vede solo la pesca il merlo dal becco giallo
fischiare la tresca 
taciuto l'usignolo c'è il cuculo sotto la luna
raccontare i ragazzi 
Ribelli dell'assassina.

Erano dei posti per i giovani sotto le piante?
Guardavamo in alto le stelle che sono tante
la terra gelata o molle,
semenze caine
con l'acqua a raccontare
solo piene e siccità.

Accesi due ramo, ossa di un'albera morta
scaldava le mani e l'anima,
divenuta contorta
interrogare il destino,
l'acqua che è indietro
passi nella sabbia i sogni,
dietro il giro di una sfera.

Quel tempo Tanaro una ruota da arrotino
forbici e coltelli che tagliano il filo della vita
ma c'è una cornamusa,
un cuore, cantiamo l'utero di Caterina
(la Morte) combattiamo

L'impronta dei piedi, della melma,
diavolo della zampa 
cantavamo insieme ai morti la nostra lotta
l'amore, l'onore, sudore dell'uomo,
sostanza cuore dell'armonia,
sogno della fratellanza.

domenica 30 ottobre 2022

Visita a Cartosio

Visita al bel borgo di Cartosio (AL) durante la fiera "Autunno Fruttuoso" dedicata alla frutticoltura, alle piante da orto e da giardino e ai doni che l’autunno elargisce. 

Il paese si trova a pochi chilometri oltre Acqui Terme salendo la valle Erro e la fiera si rova nella piazza principale. Si tratta di un mercatino piccolo ma bellissimo, i banchi sono tutti locali ed espongono piante, frutti e artigianato raffinato. Questa edizione prevedeva la consueta mostra pomologica con uve antiche piemontesi, frutti esotici coltivati in Sicilia, mele e cachi della Romagna, patate tradizionali coltivate in Valle d’Aosta, davvero molto bello. In oltre un gruppo di musicisti di strada si esibivano in vari punti della piazza con un bellissimo repertorio di musica occitana e piemontese.


Sulla piazza troviamo anche la torre medievale costruta nel XIII secolo probabilmente da maestranze provenienti da Casale Monferrato alla cui sommità però mancano i merli distrutte già nel 1296 dalle milizie astigiane. E' possibile salire in cima alla torre e godere di un grande panorama sul paese e sulla bellissima valle.



Roccaforte celto-ligure degli Statielli ?

Della storia di questo borgo, come di molti altri in zona, si sa poco di quello che sia accaduto dopo l'anno 1000. Tuttavia per anni si è pensato che qui potesse sorgere Carystum (o Caristo), il famoso Oppida capitale dei galli Statielli, in cui nel 173 a.C. si combattè la famosa battaglia omonima (LINK) tra i romani e i liguri. In effetti questo popolo abitava grosso modo l'attuale territorio occupato oggi dalla provincia di Alessandria al di sotto del Tanaro e si ipotizzò che questa località potesse trovarsi anche nella vicina regione Caristia verso Ponzone o addrittura ad Alessandria dove oggi sorge il quartiere Cristo appunto (vedi LINK). Oggi la maggior parte degli studiosi identifica Carystum con l'odierna Acqui Terme.

Sopra: una cartolina dei primi del '900 in cui si vede la piazza principale con la torre medievale e i resti del castello, oggi scomparsi.

LINKS:

https://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/03/toponimi-celtici-nel-territorio.html

https://leradicideglialberi.blogspot.com/2019/03/linvasione-romana-della-gallia.html

sabato 20 agosto 2022

Visita a Tubinga.

Altra bellissima città visitata durante il nostro peregrinare estivo in treno nel  Baden Württemberg è stata Tubinga. Il centro sorge alla confluenza dei fiumi Neckar e Ammer e il suo centro è veramente meraviglioso, uno dei pochi sopravvissuti ai bombardamenti della seconda guerra mondiale con un'atmosfera anche questa volta fiabesca dovuta alle stradine e ai palazzi medievali. 

La città è famosa per la sua vita universitaria: gli studenti costituiscono circa il 30% della popolazione cittadina, in oltre è considerata una dei luoghi con la più altra qualità della vita in Germania e in Europa. Come in altri centri tedeschi gran parte delle persone usa la bici per spostarsi, il traffico veicolare è bassissimo e questo si sente. Anche da queste parti poi, se si escludono alcune vie del centro storico il verde e gli alberi sono d'appertutto.

Notevoli monumenti della città sono la chiesa tardogotica di San Giorgio (Stiftskirche Sankt Georg) edificata a fine 1400 e ritoccata nel 1600, la piazza centrale (Markt) con il bellissimo municipio affrescato, La Torre Holderlin che fu parte delle mura oggi scomparse, il castello che domina la città, ma, parere personale, la cosa più bella è sempre perdersi per un po' tra le bellissime vie della città, uscendo magari un pochino da quelle più turistiche. 

IL MENHIR DI WEILHEIM

da segnalare ai lettori di questo blog, sicuramente interessati a questa cosa, che appena fuori città si trova un menhir dell'età del bronzo, notevole sia per le dimensioni (è alto circa 4 metri) che per il fatto di essere coperto di coppelle e canaletti. Questa caratteristica, personalmente (Guido) mi fa dubitare che sia sempre stato in posizione eretta. Sfortunatamente però non abbiamo potuto visitarlo (quest'anno non avevamo le bici e non ce la facevamo con i tempi) e quindi l'immagine non è nostra ma trovata online. Per la posizione basta cercarlo su google maps. Purtroppo tutte le informazioni al riguardo sono solo in tedesco.

TUBINGA CITTA' VEGANA

Come dicevamo, tubinga è una città verde, con tante biciclette e poche auto e in cui sono molte le iniziative che puntano ad un futuro più sostenibile. Tra queste una particolare attenzione al limitare il consumo di carne: spese collettive (100% vegetali), ogni anno a gennaio la città partecipa ufficialmente al Veganuary (mese in cui internazionalmente si prova a rinunciare ai prodotti di origine animale) e gran parte dei ristoranti hanno una parte vegan del loro menù. MANGIARE VEG(ETARI)ANO A TUBINGA: come dicevamo prima è più facile che altrove, ci sono molti ristoranti che offrono cibo mediorientale con gran parte del menù veg. alcuni sono completamente vegetariani (noi abbiamo mangiato da Vegi, molto buono) e uno Vegan: Kostlich Vegan. Esiste una pagina dedicata: https://www.tuebingen-vegan.de/ e se avete l'App Happy Cow come sempre sarà tutto ancora più facile.





 

Visita a Calw, città natale di Hermann Hesse.

Qualche settimana fa, sfruttando la meravigliosa offerta a 9 euro che in Germania permettevano di viaggiare su tutti i treni regionali e mezzi pubblici urbani, ma soprattutto il sistema di trasporto publlico tedesco che è veramente pazzesco (il confronto con quello italiano è imbarazzante) abbiamo visitato molti centri più o meno piccoli di una delle zone che preferiamo: il Baden Württemberg. Da notare che tutto il nostro viaggio da quando siamo partiti a quando siamo tornati si è svolto con mezzi pibblici su rotaia o a piedi. Viaggiare senza auto e aereo risparmiando risorse e inquinando infinitamente di meno si può ed è anche più interessante.

Il centro di Calw è un paese che sorge sul corso della Nagold in mezzo alla meravigliosa Foresta Nera. Ha una storia conosciuta di circa un millennio, se ne ha notizia scritta per la pirma volta nel 1037 e nel medioevo fu un importante centro tessile e per la lavorazione del cuoio. Ancora oggi il paese conserva un fiabesco aspetto medievale. Per arrivarci c'è una piccola ferrovia che parte da Pforzheim (a sua volta sulla ferrovia che collega Karlsruhe e SToccarda) e attraversa la Foresta Nera, fermata sorge in alto in cima ad un alto parcheggio che è la cosa più brutta del luogo ma ovviamente utile per chi usa l'automobile. La cittadina fa 23.000 abitanti circa ed è il capoluogo del circondario omonimo, ma la città vecchia è molto più piccola. Le case che sorgono sulle stradine sono in gran parte a "graticcio" e sono magnificamente conservate, tuttavia non abbiamo notato quella fastidiosa atmosfera da turismo massificato. Nonostante la caldissima estate del 2022 e la siccità che qui in zona sono state state terribili, la foresta nera sembra aver protetto il paese e si respira anche se il clima di agosto sembra quasi mediterraneo. 

La casa natale di Hermann Hesse.

Proprio a Calw nel 1877 nacque il grande scrittore Hermann Hesse. La sua casa natale sorge sulla piazzetta principale e la si può identificare grazie ad una targa commemorativa sulla sinistra e niente più. Il museo a lui dedicato invece si trova a un centinaio di metri più in alto, sempre sulla piazza, ma purtroppo durante la nostra visita era chiuso per lavori. Qui visse dalla nascita fino al 1881 e poi di nuovo dal '86 a fasi alterne. Oltre alla casa natale e al museo oggi a ricordare il premio Nobel per la letteratura (1946) ci sono anche una statua sul ponte vecchio e una piazzetta a lui dedicato, oltre ovviamente ad alcuni dei luoghi descritti nei suoi libri.

La statua di Hermann Hesse sul ponte antico di Calw.

In ogni caso vale proprio la pena fare una gira a Calw, possibilmente in treno o in bicicletta per godersi meglio l'atmosfera della zona. Ci sono delle passeggiate consigliate attraverso al paese e si può salire attraverso lunghe e ripide scale fino ad alcuni punti panoramici. Come in gran parte dei posti in Germania, anche se ci si trova in un centro urbano il verde è presente: alberi e piante circondano strade e case e anche d'estate ci si può sedere all'ombra sulla piazza principale a bersi una birra fresca. 

MANGIARE VEG(ETARI)ANO A CALW

Alla fine di questi "specialini turistici" abbiamo deciso di aggiungere un brevissimo bonus per quanto riguarda la possibilità di mangiare veg nei luoghi visitati. 
Il paese come già detto è piccolo, nelle stradine principali ci sono alcuni ristoranti e localini in cui però si servono tipici piatti locali e dove abbiamo visto che le uniche possibilità senza carne erano i classici Käsespätzle (gnocchi tedeschi al formaggio) che non sono vegan. C'è però una buona panetteria all'ingresso del paese, il pane in germania è generalmente molto buono anche quello nero e poi c'è un grande supermercato sulla piazza a destra. Noi siamo sicuramente più attenti ad evitare i derivati che i supermercati e quindi abbiamo optato per farci dei buonissimi panini imbottiti con un po' di insalata e affettati vegan presi li. Nei supermercati tedeschi tra l'altro, va detto, oggi di vegan si trova veramente di tutto. Per chi stesse già per obbiettare la possibilità di portarsi il cibo da casa, giustissimo, ma quando sei in viaggio in treno e dormi in piccole stanze d'hotel, la possibilità sarebbe stata la stessa: panini imbottiti fatti veloci. In oltre bisogna dirlo, bisogna essere grati al fatto che oggi si possa trovare di tutto anche in un paese come Calw e mangiarselo nel bel parchetto sulla Nagold.

FOTO BONUS:



LINKS:

Sito della città (tedesco): https://www.calw.de/

Hermann Hesse su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Hermann_Hesse

giovedì 5 maggio 2022

MASCHE E MASCONI: 4) Frati, preti "masca" e preti maghi.

Leggi gli altri post su: MASCHE E MASCONI

INTRODUZIONE: Vicino alla figura della Masca, c'è un altro personaggio, generalmente maschile, che ricorre molto spesso nel folklore piemontese: il "Prete Masca" o Frate Stregone... o comunque quella di un ecclesiastico che allo stesso tempo, più o meno segretamente, pratica la magia. Ci sono anche alcuni casi di suore o monache dello stesso tipo, meno frequenti e a cui in futuro dedicherò un post a parte per non complicare troppo le cose. Dopo anni di ricerca su questo tipo di argomenti voglio comunque fare una precisazione prima di iniziare: come per le masche o per la stregoneria, si parla di storie che hanno un grande valore antropologico anche se molte volte vengono relegate nel folklore e snobbate, ma allo stesso tempo bisogna trattarli considerando il contesto e considerando tutte le possibili implicazioni. C'erano probabilmente dei veri e proprio mistici, c'erano guaritori di campagna o persone sante legate agli antichi culti rurali che in qualche modo sopravvivevano nelle campagne, che per semplicità, ignoranza o per onestà non avevano problemi a trattare sia all'interno della chiesa che in ambito "popolare". Però c'erano anche moltissimi furbi, gente che come viene fuori da certe storie non aveva problemi ad approfittarsi della "creduloneria" popolare per i propri interessi. C'erano poi quelli che veramente facevano "il male": siamo abituati a pensare che questi personaggi che si muovevano tra le classi più basse e oppresse fossero sempre i buoni, un po' perché, politicamente, per anni sono stati presi ad esempio della lotta contro il potere della chiesa, un po' per le influenze new age che sia nel bene che nel male fanno parte della nostra cultura contemporanea. E poi c'è sempre il contesto, più o meno rurale ma generalmente di grande miseria.


LA COMPLICATA SITUAZIONE PIEMONTESE: come già visto nel post precedente dedicato (leggi: La difficile cristianizzazione del piemonte) l'avvento del cristianesimo non fu un processo semplice, veloce e nemmeno netto. In Piemonte, in particolare, avvenne in diversi momenti e se nelle città sorte in epoca romana sorsero mano a mano importanti chiese durante il medioevo e la nuova religione si sovrappose in modo più o meno totale, nelle campagne il processo fu molto più complesso (valli alpine, Monferrato, Lange, ecc...) con momenti di grande contrasto e l'arrivo di missionari da ogni parte d'Europa che portarono al sorgere di santuari, ma anche con momenti di maggiore confusione e sincretismo in cui però i culti pagani celtici, romani, barbarici e cristiani convivevano più o meno apertamente. E' per questo che è ancora oggi difficile decifrare personaggi e santi alto-medievali della zona come San Baudolino (LINK) la cui figura si perde più nel folklore che nella storia mancante di zone che fino all'anno 1000 e oltre erano completamente selvagge e che anche se sono ricordati come santi, erano strettamente legati alla natura e ai caratteri soprannaturali della religiosità popolare. Ed è anche difficile comprendere anche per noi contemporanei l'arte presente nelle chiese di campagna come quella di San Secondo a Cortazzone (LINK) o il motivo per cui il "cristianizzato" culto di pietre e sorgenti (per dirne due) sia sopravvissuto fino al secolo scorso. 

I PERSONAGGI: Se a livello locale all'inizio dell'era cristiana ricordiamo grandi martiri divenuti santi per la loro resistenza al paganesimo, durante l'alto medioevo appunto incontriamo ancora santi, molte volte con origini e vite che si perdono nella leggenda che come si è visto avevano una posizione non sempre chiarissima o altri santi e madonne che sembrano comparire appositamente per sostituire divinità e spiriti pagani locali legati a località o elementi naturali. Questo in realtà continuerà a lungo nelle campagne con le "Madonne della Neve" e le edicole varie. E' passato troppo tempo e la situazione nelle campagne era molte volte troppo primitiva per consegnarci le storie di personaggi più popolari come quelli di cui parleremo adesso, ma penso che questo lungo cappello introduttivo fosse d'obbligo per chi non ha ben chiaro quale fosse il contesto religioso popolare locale nel corso dei secoli.

IL PARROCO DI OGGEBBIO: Una delle storie più antiche ci giunge dal 1472 dal novarese ed è veramente emblematica della mentalità religiosa dei nostri avi di quel periodo finendo per smascherare la natura stregonesca del curato. Era un anno di terribile siccità e per propiziare la pioggia gli abitanti del villaggio sul Lago Maggiore decisero di organizzare una processione da Oggebbio alla cappella sul Monte Zeda. Per rendere più potente il "pellegrinaggio" tutti i paesani avrebbero dovuto partecipare camminando scalzi e a digiuno. Il parroco, che sembra non fosse molto ben visto dalla popolazione perché non abbastanza forte, arrivati alla cappella celebrò la messa, ma usò si dice, parole di stregoneria. Fatto sta che tornati al paese la pioggia arrivò davvero, ma con un temporale così forte che prese a grandinare rovinando quello che era rimasto del raccolto. Bisognava trovare il colpevole che ovviamente era il curato. Fu così che la popolazione si mise d'accordo per sacrificare la vittima: venne organizzato un gioco alla festa del paese: bisognava prendere con la bocca delle monete d'oro sul fondo di una botte piena d'acqua avendo le mani legate dietro la schiena. Quando fu il turno del prete venne spinto dentro e poi buttato con tutta la botte nel lago. Fatto sta che la vittima riuscì a liberarsi e ad attaccarsi ad una barca con le mani, ma il proprietario di quest'ultima colpì il prete con un remo mozzandogli le dita e facendolo annegare. La leggenda narra però che il Prete-stregone riuscì comunque a vendicarsi e tutti i discendenti del pescatore nacquero senza le falangi delle dita.

Una vista di Oggebbio oggi.

I PRETI "SCIAMANI" DELLA VALLE D'AOSTA: anche le storie che ci vengono dalla Valle su questo argomento sono particolarmente interessanti perché narrano storie straordinarie ma nello stesso tempo ordinarie per i valligiani dell'epoca di Preti maghi che però ricordano da vicino i poteri dei santi sciamani che ancora oggi si trovano nelle valli himalaiane e nelle zone rurali di alcuni paesi asiatici. La prima storia di cui non sono riuscito a trovare molti particolari è quella del prete fantasma di Pracharbon nelle vicinanze di Brusson, il quale riusciva a celebrare messa ai suoi paesani anche quando non era più dotato di un corpo! La storia seguente parla del prete di  Ayas il quale aveva un libro segreto, analogo al famoso libro del comando che molte masche possedevano ma che lui usava solo per opere sovrannaturali benefiche. Bisogna sottolineare come questo sia uno dei pochissimi casi in cui, come successe ad esempio con l'arrivo del buddismo nelle valli tibetane nei confronti dei demoni locali, il cristiano non distrugge le credenze demoniache precedenti ma le piega e converte alla sua volontà. La leggenda poi ci dice che una volta dimenticò per distrazione il libro incustodito in chiesa che venne trovato e aperto da alcuni ragazzi uno dei quali fece in tempo a leggere una delle formule per evocare alcuni spiriti che prontamente si materializzarono facendo un gran baccano. Fortunatamente il prete arrivò e riuscì a mettere a posto la situazione grazie alla sua conoscenza della magia e ad uno stratagemma particolare. Butto a terra dei semi di segale e dei semi frumento e chiese ai diavoli di dividerli secondo il tipo. Mentre gli spiritacci erano impegnati a fare questo lavoro il nostro "mago" trovò le parole giuste per convincerli ad andare a spaccare le montagne armati solo di uno spillo. I più agitati vennero mandati a Sarèza ed è per quello che ancora oggi ogni tando si sente un masso rotolare giù di li. Il terzo racconto è quello del prete mago di Pontey, il quale era noto per le sue capacità di "fare la fisica" qualità ben accettata dai suoi parrocchiani che però nel periodo di fienagione disertavano numerosi la messa. Fu così che decise di trasformarsi in un grosso e feroce lupo e corse tra i campi terrorizzando i contadini che facevano il fieno. Uno di essi però facendosi forza riuscì a colpirlo con forza mozzandogli quasi una zampa e mettendolo in fuga. Il prete comunque era molto ben visto anche dalle autorità e dopo alcuni giorni venne trasferito ad Aosta dove mentre diceva messa, nello sbigottimento generale, perse una mano. Di questa storia ne esiste una versione quasi identica ambientata però ad Oyace. Ci sarebbero tantissime cose da dire su questa storia, ad esempio che sia la capacità di "fare la fisica" che quella di trasformarsi in animali a piacimento erano caratteristiche tipiche delle masche. Un'altra e più notevole è quella che come ci dice Roberto Gremmo nel suo meraviglioso libro Streghe e Magia: "nell'immaginario valdostano la trasgressione magica non viene vista come colpa (e aggiungo io, nemmeno come una cosa negativa), ma come parte integrante, quasi necessaria ed indispensabile, dell'esperienza religiosa".


IL PRETE STREGONE DI MUZZANO: era circa il 1621 quando l'inquisitore Don Velotti, durante le indagini che avevano come oggetto alcune masche di Graglia si imbatté in qualcosa di ancora di più incredibile: un sacerdote che non solo le voci popolari davano come collaboratore delle donne indagate ma che praticava normalmente fatture e diavolerie varie. Si trattava di Don Simone Rondoletto (o del Chioso) cappellano della confraternita del S.Rosario e S.Croce a Muzzano di anni 48. Don Giuseppe Ferraris che si occupò della sua storia in "Magia e superstizione nel biellese del seicento" (1937) lo descrive come un sempliciotto di campagna che praticava la magia popolare non per malvagità ma per via delle sue origini campagnole umili e per ignoranza del canone ecclesiastico. Questa osservazione secondo me da una immagine abbastanza chiara di cosa dovesse essere ancora la religiosità popolare rurale nel 1600! Tuttavia il Gremmo nota come questa descrizione sia troppo semplicistica e probabilmente in effetti bisogna tenere presente che venga da un altro prete che forse voleva minimizzare questo tipo di fenomeni non così inusuali nella chiesa di quei tempi. Comunque interrogato Don Rondoletto da l'idea di essere più vittima di accuse (anonime) dovute al suo essere diverso e legato a un mondo ormai passato. La testimonianza è davvero interessante: egli dice di avere imparato le sue pratiche e le sue formule da un misterioso "padre heremita" che aveva incontrato sul ponte della Dora durante un viaggio a Torino. La descrizione è molto dettagliata: l'eremita, identificato anche come druido nel folklore era un uomo di circa 50 anni, con una lunga barba bianca, i capelli castani che si stavano imbiancati, scalzo, vestito con una tunica di panno grigio con il cappuccio cinto con una corda.
La storia è molto complicata, con testimonianze dirette del prete, accuse del popolino anche anonime, una cosa molto interessante è che tra le sue capacità sovrannaturali c'erano le classiche delle masche, ma sempre dirette al bene, a guarire le malattie, fare medicamenti, fermare le tempeste, ma soprattutto la capacità di portare la pace tra i contendenti di un duello, di disarmare gli aggressori. Considerando la nomea di druido attribuita all'eremita la storia ha ancora più senso visto che ai druidi era attribuita da Cesare proprio la capacità di portare sempre la pace nei duelli e nei campi di battaglia. E' uno di quei casi in cui la testimonianza non manca di dettagli anzi sappiamo anche come il prete fosse in grado con la magia di fermare la febbre nei malati, che anch'egli avesse un libro del comando (in particolare la formula per fermare le tempeste era: "in principio erat verbum" scritto in cerchio), sappiamo anche le ricette di alcuni unguenti medicamentosi fatti di erbe e bava di lumaca, ad un certo punto come sempre iniziano le testimonianze classiche e banali, ma resta il fatto che la quasi totalità delle accuse riguardi sortilegi a fin di bene. Sembra anche che dietro al prete in realtà ci fosse un sarto di Graglia, molto meno onesto di nome Enrico Borrione che era il vero proprietario del libro del comando e che praticava sortilegi e rituali che oggi definiremmo di "magia nera". La storia si complica ulteriormente, si ricollega con altri processi a Masche del luogo ma se volete saperne di più vi consiglio di guardare la bibliografia a fondo pagina. Nelle cronache si vede che pochi anni dopo Don Rondoletto non era più in carica, ma non esistono testimonianze di come sia finito il processo. Probabilmente fu allontanato per non andare a scavare ulteriormente in quello che succedeva nel clero di posti ancora così lontani e vicini alla tradizione popolare. 

IL PRETE MASCA DI BUSANO: questa volta ci troviamo nel canavese del 1603 dove il prete Giuseppe di Busano era conosciuto anche come mascone perché, si diceva, praticava la stregoneria, la fisica e le arti negromantiche. In una lettera, il curato, scrisse al signorotto locale, tale conte Ludovici di Rivara, discolpandosi e lamentandosi di essere calunniato dai popolani e che non era stata sua la colpa della grandine che quell'anno aveva distrutto i raccolti, ma "dell'iniquità degli uomini" per cui erano stati castigati dal Cielo. 


IL PRETE MASCA DI MONDOVI' E LA SUA DRUIDA: di questo abbiamo già sbrigativamente parlato per quanto riguarda la "Druida" nel post sulle druidesse (LINK). Si tratta di una strana vicenda avvenuta nella prima metà del 1600 che aveva come protagonisti principali tre personaggi: il governatore di Mondovì Carlo Operti, la famosa Druida che viveva con lui e che lo serviva eliminando chiunque gli si mettesse contro usando le arti diaboliche più terrificanti e il prete masca Giovanni Gandolfo che viveva nel monastero di Vicoforte e con la Druida aveva uno strano rapporto. Anche in questo caso per quanto riguarda la donna detta la "Druida" si parla di veleni ottenuti dal sangue di giovani chiusi in sacchi pieni di vipere, bambole di cera per malefici, neonati e gatti neri squartati, tutte le classiche imputazioni usate per condannare le streghe e che se volete conoscere nei particolari troverete nel bellissimo libro del Gremmo (Streghe e magia). Quello che è veramente interessante di questa storia è che il termine druida venisse popolarmente usato nel Piemonte di inizio '600 e che quindi, probabilmente trasformata in qualcosa di simile ad una strega, la figura dei druidi e delle druidesse (interessante anche il fatto che in molti casi si tratti di figure femminili) fosse ancora vivo nell'immaginario popolare di quell'epoca anche da queste parti, prima del revival in terra britannica. Comunque, per tornare in tema, l'altra figura interessante di questa storia è il prete Giovanni Gandolfo. Sappiamo che non si faceva troppi problemi a praticare i suoi studi di astronomia e astrologia, la divinazione e, si dice, la stregoneria. In molti infatti lo consideravano un mascone ed è interessante vedere come figure di questo genere fossero abbastanza "normali" anche all'interno del clero. Il prete era così a suo agio che addirittura nel 1648 pubblicò un almanacco astrologico con le sue predizioni in cui incautamente vedeva unfuturo infausto Carlo Emanuele II e per la Madama Reale. Il '600 non era di certo il periodo giusto per una cosa del genere anche se il Piemonte era una zona particolarmente tollerante rispetto ad altre zone d'Italia e d'Europa, infatti tali predizioni vennero interpretate come una possibile congiura e poi, in seguito alla scoperta della sua amicizia con la Druida, anche come un attacco occulto dalla Duchessa e alla famiglia reale. Il prete tentò la fuga, ma venne preso e rinchiuso a Torino dove venne probabilmente strangolato prima di essere giustiziato in seguito ad un processo che resta avvolto nel mistero. 


Bibliografia essenziale:

"Streghe e Magia" di Roberto Gremmo (edizioni ELF Biella)

"Sui sentieri della leggenda" di Massimo Centini (l'arciere)

Articolo di Roberto Gremmo in cui si parla anche del Prete di Muzzano: https://www.newsbiella.it/2017/08/06/leggi-notizia/argomenti/biellese-magico-e-misterioso/articolo/il-biellese-magico-e-misterioso-le-feste-paganeggianti-di-campra-le-streghe-di-muzzano-e-il-ro.html

martedì 19 aprile 2022

Il Castello di Graines, una meraviglia in Valle d'Aosta

 Uno dei castelli più affascinanti della Valle d'Aosta è quello di Graines. Si tratta più che altro delle rovine di questa fortezza, ma per varie ragioni è un luogo veramente unico ed è anche una delle cose da vedere assolutamente in Val d'Ayas se vi capita di essere da quelle parti. 

Per raggiungerlo in auto si esce a Verrés dall'autostrada e si sale per la Val d'Ayas e si trova sulla destra poco prima di entrare nel paese di Brusson. La sua storia si perde nei meandri del tempo restando tutt'ora sconosciuta. Ricognizioni di superficie fanno risalire l'uso di questo luogo addirittura alla tarda età del bronzo, intorno al 1000 a.c. mentre i più antichi documenti riguardanti la cappella di San Martino risalgono al 1100 d.c. oltre due millenni dopo. Oggi si pensa che la fortezza visibile oggi sia stata costruita proprio attorno all'anno 1000 d.c. datando proprio la cappella che presenta una pianta riferibile all'architettura del XI sec. Si tratta comunque di un tipico esempio di "castello primitivo valdostano" con un mastio centrale e le mura quadrangolari irregolari che si adattavano alla forma della roccia e che vennero più volte modificate nei secoli. Nel XIII il castello venne infeudato alla famiglia Challant. Dopo essere passato a diverse famiglie la costruzione venne venduta a fine XIX secolo al comune di Brusson.


 L'amore per questa struttura risale allo stesso periodo, quando l'associazione Gli amici del castello si adoperò per la ricostruzione del mastio, parzialmente crollato, e per il restauro delle mura. Dagli anni '90 del XX secolo in poi si sono succedute numerose opere di consolidamento di alcune aree pericolanti e varie indagini archeologiche.

Non è facile oggi ricostruire la planimetria con i fabbricati all'interno delle mura oltre alla torre e la parte adiacente in cui viveva il signore e la cappella. In ogni caso, in seguito alle indagini archeologiche si è riconosciuta una pianta vicino all'ingresso e si è riconosciuto un forno che insieme al ritrovamento di varie ceramiche fa pensare che qui si trovasse la cucina che doveva servire diverse milizie.


Altre foto:










 

domenica 17 aprile 2022

La maledizione del Ru Mort, animismo nelle leggende della valle d'Aosta.

(di Andrea)
Siamo generalmente abituati a vedere le credenze animiste come qualcosa di molto lontano nel tempo o nello spazio. Certe storie che ci giungono dall'estremo oriente ad esempio, ci sembrano spesso un qualcosa di veramente esotico. Nello scintoismo (o Shinto, la religione tradizionale giapponese) hanno una posizione i Kami, carattere che generalmente viene tradotto come "Dei": è in parte giusto ma non è così facile in quanto, anche se lo scintoismo è tutt'ora seguito da gran parte dei giapponesi è un tipo di credenza molto più simile all'antico paganesimo Europeo, non solo a quello classico ufficiale. Con Kami quindi si intendono sia gli dei più importanti, come la dea del Sole Amaterasu, sia gli spiriti più piccoli o lacali come quelli degli alberi o addirittura di un fiore. Come nelle antiche credenze celtiche precristiane esistono anche i Kami dei corsi d'acqua e di altri aspetti naturali e abbiamo visto in passato come questi aspetti siano sopravvissuti nelle leggende delle masche in Piemonte, si tratta della personificazione dell'animismo che sta alla base di molti aspetti del sacro popolare ancora visibile nel cattolicesimo con le varie Madonne della Neve, culti montani e via dicendo. Ma perchè sto parlando di shintoismo? Perchè c'è una leggenda valdostana che potrebbe benissimo trovarsi su un libro di leggende popolari giapponesi se non fosse che viene dalla Valle del Gran San Bernardo in Val d'Aosta:

La maledizione del Ru Mort, Roisan.


"Nei secoli passati i ruscelli per l’irrigazione agricola, i cosiddetti “Ru“, avevano una funzione fondamentale per la sussistenza delle comunità; data la loro importanza ogni ruscello, durante i periodi di piena, era sorvegliato da una guardia.
Un giorno, presso il Ru Mort a Roisan, poco sopra Gignod, una guardia assegnata a questo canale andò a fare il giro giornaliero di controllo.
Non era però un giorno qualunque, e la guardia se ne accorse: senza nemmeno voltarsi, con la coda dell’occhio, il guardiano scorse una vipera nera. Prese quindi un grosso bastone e, colpi su colpi, riuscì ad allontanare la serpe; fatto ciò, più tranquillizzato, proseguì nel suo giro di perlustrazione lungo il Ru.
Ma poco dopo la calma svanì: vide nuovamente la vipera e, spaventato, si affrettò di corsa accanto al ruscello. Una volta giunto più lontano si fermò per riprendere fiato, si guardò in giro sperando di aver finalmente seminato la serpe ma…abbassando lo sguardo se la ritrovò proprio ai suoi piedi.
Preso dall’ira e dalla paura il guardiano afferrò un legno e, con cieca violenza, colpì a morte la vipera.
La brutta storia sembrava finita, ma…da quel giorno il ruscello iniziò a perdere le sue fresche acque, poichè le pareti del ru si sgretolavano, proprio a causa dell’erosione dell’acqua.
Il guardiano si rese conto del danno che aveva fatto solo tempo dopo: egli, convinto di aver ucciso una vipera, aveva in realtà assassinato la Fata che proteggeva il Ru.
E così, da quell’infausto giorno, il ruscello prese il nome di “Ru Mort”, perchè attorno ad esso morì ogni vegetazione, ogni albero e con esso svanì anche la vita. Le acque non scorrevano più ed il ruscello andò perduto."

La differenza sta nel fatto che qui il termine usato è "fata" in altre storie magari è "masca" ma se lo sostituissimo con "kami" la storia non cambierebbe in nessun modo.

venerdì 1 aprile 2022

BIci da avventura parte prima: Il Rampichino: la prima mitica MTB italiana.

Cinelli Rampichino 1985

Un breve post dedicato alla prima mountain bike prodotta in Italia e forse in Europa. Il suo impatto sociale nel nostro paese fu tale che chi oggi ha più di quarant'anni si ricorderà che il nome Rampichino, popolarmente, non indicava soltanto questo modello prodotto da Cinelli ma tutte le bici da montagna. La mountain bike si è voluta tantissimo da allora e il boom che ebbe tra la fine degli anni '80 e i primissimi '90 fu incredibile. Ricordo bene che tutti avevamo la nostra mtb, generalmente i modelli più economici prodotti in Italia da tutte le marche che in un attimo si buttarono nel mercato seguendo Cinelli. Perché un post del genere? Per me il rampichino era un sogno, conservo ancora il numero di Airone che mio nonno mi comprò in edicola uscendo da scuola perchè in copertina c'era un dinosauro, per cui io andavo matto. Bisogna dire che Airone era davvero una rivista meravigliosa, che quel giorno scoprì insieme al Rampichino, non c'entrava niente con quella in cui si è trasformata poi negli ultimi anni, era piena di foto bellissime, viaggi, luoghi che, in un epoca in cui in pochi viaggiavano sul serio facevano sognare e  i bellissimi disegni di Franco Testa. In ogni caso, proprio su quel numero veniva presentata al pubblico italiano "la prima bici da montagna" prodotta da Cinelli in collaborazione con la rivista, in 1000 esemplari numerati e ordinabili soltanto per posta.

Airone 47, 1986

Le foto erano bellissime, il giro con le due bici nelle Alpi marittime era stato documentato con delle foto bellissime, sulla neve e tra i sentieri. Trattandosi del 1985 la bici è molto simile a quella che era la mtb iconica di quegli anni, la Stumpjumper di Specialized (bisogna sempre ricordare però che Mike Sinyard fondò Specialized dopo essere venuto in Europa ed avere importato attacchi e componentistica Cinelli negli USA), telaio robustissimo in acciaio, ruote da 26" con copertoni "artigliati" come dicevano ai tempi e cambio Shimano con tripla davanti e rapporti cortissimi. Il rampichino per i puristi italiani ed europei della bici da corsa era un mezzo pesante e goffo, ma da quel momento divenne appunto un mito di quegli anni. Gente come Keith Haring a New York o Gianna Nannini in Italia lo possedevano e tutte le altre marche iniziarono a copiarlo. In oltre essendo Cinelli dello stesso proprietario di Columbus, Antonio Colombo, aveva le migliori tubazioni in acciaio che si potessero trovare e quel qualcosa di più a livello di design e finiture che ha sempre contraddistinto le sue produzioni. Il nome "Rampichino" tra l'altro veniva da un piccolo uccello insettivoro europeo che si arrampica con facilità sugli alberi.


Ci sono poi due cose importanti da dire sul Rampichino e la sua prima apparizione di cui qui vedete alcune foto. La prima è sicuramente il fatto che questa bicicletta non sia stata presentata come un mezzo sportivo per fare performance. Non si vedono muscoli o vestiti iper performanti, addirittura il colore verde militare era particolarmente sobrio. Con una visione in anticipo di decenni, Cinelli e Airone presentarono anche questa prima mtb come una bici da avventura, per scoprire territori naturali e fare lunghi viaggi selvaggi. Questo era sicuramente un aspetto presente già nella testa dei primi "mountain bikers" californiani, ma in modo molto minore. E certo anche che la bici da viaggio esisteva da tempo, anche se in Italia non aveva un grande seguito, specialmente in paesi come Francia e Germania dove produttori come Peugeot avevano sempre prodotto modelli dedicati a quello scopo. Qui però, guardare l'articolo, ci trovavamo davanti a qualcosa di nuovo.


Si può benissimo notare anche l'abbigliamento, non è quello tipico da ciclismo competitivo, i due protagonisti hanno anche uno zaino. Le bici sono dotate di attacchi per portapacchi e parafanghi, da li a pochi mesi verrà anche prodotta una serie di borse apposta, marchiate rampichino. 

Cinelli/Airone Rampichino con borse dedicate da viaggio.

Cinelli poi proseguì con la produzione di mountain bike per diversi anni ma soprattutto nel '89 fece uscire anche il mitico Passatore, praticamente una "Gravel" in anticipo di più di 30 anni, ma di questo parleremo nella parte seconda di questi speciali sulle bici da avventura. Ultima cosa notevole che fa piacere notare a distanza di tanti anni è che i due ciclisti erano un uomo e una donna. Moltissime volte, specialmente negli ultimi anni, si leggono critiche al ciclismo, ai ciclisti e all'industria ciclistica per un certo maschilismo, o quantomeno una mancanza di attenzione alle donne, il Rampichino veniva presentato come una bici adatto esattamente allo stesso modo ad entrambi i sessi. Devo dire che questa è una cosa che ricordo con piacere ma anche con un po' di nostalgia: la bicicletta vissuta in modo assolutamente non competitivo e non "machista", lo si vede anche nell'altro post che avevamo dedicato ad un altro articolo dedicato al cicloturismo su Airone del 1986 (qui il LINK) e che dimostra anche che in quegli anni anche il nostro paese fosse molto meno provinciale di come generalmente ce lo ricordiamo e di come poi, in molti casi, sia diventato poi.



giovedì 10 marzo 2022

Il calderone di Gundestrup, da est a ovest, da su a nord.

Questo post è un appendice al post "Cernunnos e gli altri "Buddha" occidentali. Rapporti e connessioni tra oriente e occidente", in cui sono andato a cercare diversi punti di contatto tra oriente e occidente in simboli e figure dell'antichità. Questa volta approfondisco alcuni punti veloci in quel testo, vedendo i collegamenti che ci sono tra le diverse aree interne all'Europa antica.

In  molti conoscono il dio celtico cornuto Cernunnos dalla sua rappresentazione cphe si trova sul Calderone argenteo di Gundestrup, è meno noto il fatto che questo calderone sia stato trovato in un'area ben lontana dall'area abitata dalle popolazioni celtiche ovvero la Danimarca. In effetti probabilmente si trattava di un bottino di guerra che veniva da altrove... la storia di questo oggetto è piuttosto complicata e apre diverse constatazioni che vado ad esaminare qui di seguito.

Ritrovamento: Il calderone venne scoperto nel 1891 nella torbiera di Rævemose in Danimarca ben nascosto sotto alcuni strati di suolo e diviso in vari pezzi. 7 pannelli esterni, 5 interni e uno a forma di disco dalla base. Le misurazioni dei pannelli però hanno evidenziato che un ottavo pannello esterno sia andato perso. L'ordine dei pannelli venne ricostruito da Sophus Müller (anche se non tutti gli studiosi sono d'accordo) e si pensa che quello mancante rappresentasse una divinità femminile. Il calderone era composto in massima parte d'argento, ma ci sono anche tracce d'oro, stagno (per la saldatura) e di vetro per gli occhi. La lavorazione però non sarebbe tutta della stessa epoca ma certi particolari sarebbero stati aggiunti durante i secoli, sempre in antichità. Si tratterebbe del più grande manufatto argenteo dell'età del ferro gallica.


Produzione e origini: Per anni la produzione del reperto venne datata intorno al III secolo a.C. ma recentemente le ipotesi più accreditate sono state aggiornate tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. o addirittura fino al III secolo. Sicuramente non si tratta di una produzione locale. Si pensa fosse infatti parte di un bottino guerra portato al nord da popolazioni germaniche. I soggetti rappresentati richiamano subito la mitologia celtica, ma non solo e la lavorazione dell'argento è compatibile con le manifatture trace ovvero dell'area dell'attuale Bulgaria. L'ipotesi più probabile è quella che il calderone sia stato prodotto in Tracia, alcuni pensano da una manifattura tracia per un'elite gallica oppure proprio in una situazione multiculturale. In effetti nella zona del basso Danubio coesistevano sia tribù locali come i Triballoi che di origine celtica, gli Scordisci. I primi erano originari proprio dell'area che oggi si trova tra Serbia e Bulgaria, i secondi invece erano una popolazione mista di genti native delle foci del fiume Sava e altre di origine gallica che avevano ripiegato qui dopo le spedizioni nei balcani del III e IV secolo a.C.. Questa tesi avrebbe senso anche perché proprio gli Scordisci si scontrarono con la tribù germanica dei Cimbri che, provenienti dallo Jutland invasero queste terre. Questi ultimi poi si scontrarono ancora con i romani, ma anche se vittoriosi subirono gravi perdite e in parte tornarono a Nord. In breve, si pensa che il calderone sia stato prodotto in Tracia in un contesto celtico ma multiculturale, venne poi preso come bottino dalle tribù cimbre che ripiegando a nord lo portarono con loro in Danimarca. Una datazione più recente complicherebbe tutta questa situazione e sarebbe difficile pensare ad un oggetto di questa portata con riferimenti culturali di questo tipo in un'epoca in cui l'area era ormai romanizzata.


I pannelli: oltre al pannello 1, su cui è rappresentato Cernunnos e di cui abbiamo già parlato nel testo principale, c'è molto altro di cui parlare e di cui generalmente non si presta la dovuta attenzione. Ad esempio potremmo partire dal pannello dei guerrieri (immagine sopra). Su di esso sono rappresentati dei guerrieri, appunto, disposti su due file: quelli sotto, a piedi, hanno degli scudi lunghi, elmi, tuniche a pantalone e gli ultimi in fondo suonano il famoso "carnix" una tromba zoomorfa, tutti attributi celtici e si tratterebbe quindi della fanteria. La fila superiore invece è chiaramente la cavalleria. A lato un personaggio più misterioso e grande tiene con le mani uno dei fanti e sembra metterlo in un recipiente. 
La teoria più accreditata è che si tratti di una rappresentazione del processo di metempsicosi in cui credevano i celti e di cui ci da testimonianza Cesare nel De Bello Gallico: i fanti che muoiono in battaglia passerebbero al cospetto della divinità (la grandezza maggiore del personaggio a lato, come nelle altre rappresentazioni del calderone) che li farebbe passare attraverso un varco e rinascere cavalieri. Una visione molto pratica della reincarnazione, ma ce lo fa notare anche Cesare appunto. Altri vedono della scena un sacrificio umano e nel grande personaggio la rappresentazione di una divinità, probabilmente Teutates, al quale, come ci dicono alcuni autori classici venivano offerti sacrifici umani annegando le vittime. 


L'altro pannello incredibilmente interessante è la placca interna della Dea con gli elefanti. Anche di questo ho già parlato nell'articolo principale. In alcuni testi si fa fatica addirittura ad ammettere che i due animali a lato della dea siano elefanti: grandi, con la proboscide e le zanne, cosa potrebbero essere? Del resto il calderone è pieno di animali esotici come leopardi o come quello sotto al centro difficile da riconoscere e da due grifoni. In ogni caso questo pannello è molto interessante perché come quello con il dio cornuto si ricollega direttamente alla tradizione induista: La dea Lakshmi infatti viene generalmente rappresentata assisa in mezzo a due elefanti che la proteggono. Se il paragone sembra azzardato vi rimando per l'ennesima volta al testo principale qui: LINK, a tutti i punti di contatto tra Cernunnos e Shiva Pashupati del pannello I e al fatto che Alessandro Magno e il suo esercito fossero stati in India verso il 326 a.C.


Altro pannello importante è quello in cui è rappresentata... (Da finire)













***Quando si sente parlare per la prima volta della Reincarnazione, naturalmente si suppone si tratti di una dottrina esclusivamente indiana, poichè è risaputo che Induismo e Buddhismo la hanno come fondamento, tuttavia le sue origini non vanno ricercate esclusivamente in questi ambiti, ma ne possiamo trovare tracce fra gli aborigeni della lontana Australia, come pure sappiamo che veniva insegnata dai Druidi dell’antica Gallia di Giulio Cesare.  Anche i filosofi greci, non ultimo Platone con la metempsicosi delle anime, parlavano di Reincarnazione, come pure il Cristianesimo e, nella tradizione ebraica, il Talmud cita diversi casi di Reincarnazione.