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martedì 25 febbraio 2020

1) Cernunnos e gli altri "Buddha" occidentali. Rapporti e connessioni tra oriente e occidente.

Introduzione.
E' da tanto tempo che voglio scrivere un post su questo argomento, per andare a cercare i moltissimi collegamenti tra oriente ed occidente, gli opposti estremi delle culture indoeuropee e pre-indoeuropee, ma anche dei tanti miti e le tante credenze prive di fondamento che circolando da anni sono alla base di certe cose che diamo per scontate. Il termine "Buddha" del titolo è usato un po' ad effetto per dare l'idea di una certa figura archetipica che per noi è puramente orientale ma che altrimenti sarebbe impossibile da spiegare in una parola. 

Il Dio cornuto euroasiatico.
Iniziamo subito con l'immagine più imblematica: La raffigurazione classica di Cernunnos e quella di Pashupati, avatar di Shiva sul sigillo di Mohenjo-Daro. 


Queste due immagini appartengono a due civiltà molto distanti nel tempo e nello spazio: L'immagine di Pashupati (a destra) viene da Mohenjo-Daro città che sorgeva sulla riva destra dell'Indo nell'attuale Pakistan e che insieme ad Harappa è la città più importante della Civiltà della Valle dell'Indo  risalente all'età del bronzo. Il sigillo è databile al 2000 a.c. circa. L'immagine a sinistra invece si riferisce alla divinità conosciuta come Cernunnos (il cornuto) e si trova sul Calderone di Gundstrup, un manufatto rituale molto complesso e discusso per vari motivi di cui parlo qualche riga più in basso, ma che appartiene alla periodo celtico e che è databile ai secoli a cavallo dello nascita di cristo. Le similarità sono impressionanti ed è praticamente che si tratti di un caso: prima di tutto i due personaggi divini sono seduti nella posizione yoga detta del loto (Padmasana) e sono dotati di corna. Le corna (o dei copricapo a forma di corna) sono quelle di cervo per Cernunnos e di bufalo per Pashupati, probabilmente per la differenza di ambiente locale ma evidentemente sono simbolo divino e sacro. Altra cosa evidente ed importantissima è che le due figure sono contornati da molti animali selvatici che sembrano quasi in adorazione. Questo elemento ci dice che si tratta di due divinità della natura e degli animali e ci dice che si tratta di culture non ancora antropocentriche in cui l'uomo era ancora parte della natura che temeva e venerava. Ma andiamo nei particolari:


Come dicevamo sono molti gli elementi presenti in entrambe le figure, ed è impressionante notare che anche "l'impaginazione" delle due figure è uguale. 1) Le corna; 2) La posizione del loto; 3) L'animale cornuto corrispondente a fianco della divinità: Cervo per Cernunnos e Bufalo per Pashupati (notare la forma identica delle corna animale-dio); 4) L'animale predatore sull'altro fianco delle due divinità: una tigre o un grande felino da una parte e un lupo o forse un'orso dall'altra. Anche gli altri animali sono disposti allo stesso modo e le differenze di specie possono benissimo essere attribuite alla distanza geografica tra le due civiltà: la presenza dei grandi cervi nelle foreste europee e dei bufali nelle Indie ad esempio, tigri da una parte e orsi dall'altra. Altre differenze dovute probabilmente alla differenza temporale e all'evoluzione indipendente delle due figure sono per esempio la triplice faccia (trifronte, tricefalo) della divinità indiana che comunque ritroviamo in occidente ad esempio nel Mercurio gallo-romano (identificato come Lugh), nel Gerione etrusco, nella Dea Ecate in Grecia e poi in epoca cristiana in vari santi e in varie rappresentazioni del Diavolo. Ovviamente anche in Oriente si continua a trovare questa caratteristica in rappresentazioni più recenti di Shiva, di Vishnu ma poi anche nel buddismo nelle figure di Tara e di Avalokitesvara e molti altri. Un altro elemento è il fallo di Pashupati, che non è presente sul calderone di Gundstrup o in altre rappresentazioni recenti del dio Gallico. Esso potrebbe essere presente nella raffigurazione più antica di Cernunnos, ma, come si vede dal rilievo, è molto difficile esserne certi e le rappresentazioni del Dio Cervo moderne, legate alla Wicca, New Age e Fantasy, non hanno una base storica fondata e molte volte sono più legate al dio Pan. E' presente ad esempio nel gigante di Cerne Abbas, figura umana incisa sul terreno e dotata anche di clava (che richiama il fallo) ma che non può essere assolutamente datato: dall'età del bronzo, al periodo romano o addirittura al medioevo. Elementi fondamentali e particolari della rappresentazione gallica del Dio Cornuto sono il Torque, ovvero il collare di metallo ritorto che la divinità indossa al collo e tiene nella mano destra e che identificava nelle società europee antiche come quella celtica, ligure e manche sciite e precedenti i personaggi nobili e legati al culto e il Serpente tenuto nella mano sinistra.


Qui sopra vediamo la rappresentazione più antica di Cernunnos, quella della Val Camonica appunto in Lombardia in cui sono ben visibili gli elementi fndamentali: Il torque al braccio destro e il serpente tenuto alla sinistra (probabilmente con corna di Ariete): questo ci fa pensare ad una rappresentazione grafica o statuaria che oltre ad aver viaggiato dall'Asia all'Europa probabilmente accompagnava le popolazioni che si spostavano per l'Europa celtica. Qui sotto invece ci sono altre rappresentazioni dello stesso dio che provengono dalla Gallia transalpina:


La cosa interessate di questi tre rilievi è che provengono tutti dalla francia e appartengono al periodo romano, i primi tre secoli dopo Cristo.
1) Questo altare è conservato al museo di Reims, è databile al primo secolo dopo Cristo è in perfetto stile classico e infatti rappresenta Cernunnos tra Apollo e Mercurio (pienamente romani) e testimonia l'unione della religione romana con quella gallica dovuta all'effettiva somilianza tra le due, con buona pace di nazionalismi e campanilismi in epoca moderna. Da notare che la divinità continua a sedere in posizione "Yoga", indossa il torque ma invece del serpente sostiene una cornucopia. Particolare importantissimo e degno di osservazione i due animali cornuti ai suoi piedi: un toro e un cervo (entrambi cornuti che rimandano a Pashupati e Cernunnos, oriente e occidente) sotto alla sua seduta come nel caso del sigillo di Pashupati da Mohenjo-Daro.
2) Il Pilier des Nautes (Pilastro dei Nauti) esposto al museo medievale di Cluny a Parigi che in origine era una colonna eretta a Giove in epoca Romana dove ora sorge Notre Dame. Questo rilievo è molto importante perché è l'unico caso in cui compare il nome "(C)ernunnos" ed è quindi grazie a questa colonna che conosciamo il nome di questa divinità. Qui viene rappresentata solo la testa e i due torque sono tenuti sulle corna. Da notare che sul pilastro sono raffigurati e nominati molti dei, sia celti che romani: Ai lati della colonna ci sono scolpiti diversi Dei, sia galli sia romani: "Giove, Mercurio, Marte, Fortuna, Castore e Polluce, Vulcano ed Esus, Tarvos Trigaranos, Smertrios e Cernunnos".
3) La stele di Vandoeuvres al museo di Bourges. Anche in questo caso l'epoca è quella romana così come lo stile: la divinità è, come al solito seduta a gambe incrociate, indossa un mantello e un torque e con le man tiene un otre (o una cornucopia consumata?). Due personaggi giovani e nudi tengono con una mano le corna di cervo e sono in piedi su due serpenti (forse cornuti).


Altre due rappresentazioni di Cernunnos: la prima viene da Etang sur Arroux e ancora una volta il Dio ha un torque la collo, uno appoggiato sulla pancia ed è seduto nella posizione del loto. Cosa interessante è che la statua possiede due piccole facce dietro alla testa e quindi è tricefalo. In braccio porta anche due teste di ariete che forse sono serpenti con corna di ariete, come in altre rappresentazioni. Le corna sono sparite, ma i buchi ai lati indicano i punti dove esse andavano inserite. La seconda figura viene da Lione e si tratta del famoso Gobelet di Rue Sala su cui sono raffigurati Cernunnos (acefalo purtroppo) con torque in mano, cornucopia e con un cervo vicino. Mercurio invece è raffigurato con un cinghiale.

Bisogna fare alcune precisazioni riguardanti Cernunnos: una è che di lui, ancora una volta, sappiamo ben poco. Molte delle caratteristiche date per sicure sulla sua figura vengono dall'associazione che è stata fatta con altre divinità: Pashupati appunto, Shiva, Dioniso e Pan. Il suo nome è fortunosamente giunto a noi tramite il Pilastro dei Nauti di Parigi e sappiamo che si trattava di un Dio proprio perchè su quel pilastro è nominato vicino ad altre divinità. Alcuni pensano che in origine si trattasse della figura di uno sciamano, visto che simili rappresentazioni di sciamani vestiti con pelli e corna di cervo giungono a noi da epoche ben più remote e che potrebbero essere la basa arcaica del suo culto. Un'altra punto è che la maggior parte delle raffigurazioni di Cernunnos ci vengono dalla Gallia ormai romana. Questo è abbastanza spiegabile per il fatto che i galli prima del contatto con le civiltà classiche non usavano la scrittura, usavano materiali deperibile quali il legno per la maggior parte dei loro manufatti e che abbiano iniziato a rappresentare i loro dei come antropomorfi in gran parte nel periodo gallo-romano. Bisogna sempre ricordare infatti che per i celti il Cielo o il Sole erano dei in quanto cielo e sole, non c'era il Dio antropomorfo del cielo o del sole. Cernunnos quindi era forse un Dio a parte, particolare. Un'altra cosa è che le rappresentazioni più antiche non ci arrivano dalle solite aree tradizionalmente considerate celtiche per eccellenza e questo dovrebbe portarci a fare alcune considerazioni sull'idea che abbiamo delle popolazioni galliche anche a livello accademico. La rappresentazione più antica è quella della Val Camonica (vedi su) risalente a un periodo compreso tra il 7° e il 5° secolo avanti cristo e anche se su molte mappe quell'area continua a non essere compresa tra le aree celtiche originarie, oggi sappiamo benissimo che i Camuni dell'età del ferro erano culturalmente celti e forse furono tra le popolazioni originarie. La rappresentazione più famosa è quella del Calderone di Gundstrup: il fatto è che questo incredibile manufatto è stato scoperto in Danimarca in una zona che non aveva niente a che fare con i celti e infatti fu probabilmente portato qui dai Cimbri che sconfitti dai Romani tornarono nella loro terra d'Origine con il calderone come bottino di guerra. Ma anche la lavorazione non era gallica mentre i soggetti si. Oggi si pensa sia stato fabbricato in Tracia nell'attuale Bulgaria luogo in cui era presente anche una tribù culturalmente celtica: gli Scordisci. Quello che complica ancora le cose è che oggi si pensa che l'epoca di fabbricazione sia più recente e risalga al II-III secolo dopo cristo e quindi che sia tutto da rivedere. Rappresentazioni di questa Divinità o sue inscrizioni non sono mai state trovate in Britannia o nelle altre aree celtiche insulari anche se gran parte dei libri che ne parlano dicono il contrario.


Ma torniamo un momento al calderone di Gundestrup: si parla sempre del dio cornuto che però è rappresentato soltanto su uno dei pannelli, ma la produzione artistica di questo manufatto è ricchissima di simboli e personaggi e anche se viene generalmente usato come vera e propria fonte di illustrazioni di miti celtici non si limita a quella cultura. Su un altro pannello infatti troviamo una dea contornata da vari animali mitici ed esotici tra i quali due elefanti. Questa è un'altra evidenza delle forti connessioni tra le culture indoeuropee e in questa rappresentazioni in molti vedono una rappresentazione della dea indiana Lakshmi. Guardando le rappresentazioni antiche (immagine sotto) e moderne della dea indiana è abbastanza naturale vedere delle forti relazioni, la dea viene tradizionalmente rappresentata in mezzo a due elefanti che la inquadrano. Questo è ancora più impressionante se ripensiamo al pannello con Cernunnos e i punti di contatto con Shiva-Pashupati. In oltre bisogna ricordarsi della dea Slava Laima che oltre che al nome condivide molte caratteristiche con la divinità indiana.





Ma risaliamo ancora indietro alle epoche precedenti, torneremo ai celti dopo. Una dei ritrovamenti più antichi a cui possiamo risalire in Europa per quanto riguarda la posizione del loto detta volgarmente "Yoga" è quello di Lepenski Vir (LINK) un insediamento mesolitico nell'attuale Serbia, vicino al confine con la Romania, abitato a partire dal 7000 a.c. e che raggiunse il massimo sviluppo tra il 5300 e il 4800 a.c. ma già frequentato a partire dal 9300 a.c. il che ne fa uno dei centri più antichi dell'Europa antica. Qui sono state trovate diverse sepolture, tra le quali una in particolare è diventata celebre. la numero 69, nella quale è stato trovato un corpo nella posizione del loto appunto.

Qui sopra: il sito megalitico di Willong in India.

A questo punto bisogna per forza nominare un libro fondamentale sull'argomento: "Shiva e Dioniso" di Alain Daniélou. Nel libro lo storico francese e uno dei più grandi seguaci dello shivaismo del XX secolo in occidente trova tantissimi collegamenti tra India, mediterraneo ed Europa antica. Dal culto del fallo, alle corna o alla posizione yoga appunto. Per parlare di questo bisgnerebbe aprire un'altro post molto lungo e quindi ci limitiamo ad esempio a quello che l'autore dice sui megaliti, in particolare i menhir: se ne trovano di assolutamente identici dall'estremo oriente all'estremo occidente del continente euroasiatico e simbolizzano il fallo di questa divinità primordiale. Lo Shiva Lingam, il fallo di Shiva, ancora oggi eretto e adorato in India, e via con simbologie che sono arrivate fino al 1700 in Italia, Francia e Germania, con dolci pasquali di forma fallica portati in processione (Il santo membro di Trani), e via dicendo. Cosa veramente interessante è che se in Europa si conservano i più famosi e antichi megaliti del mondo, essi si sono probabilmente sviluppati nel mediterraneo orientale e da li sarebbero arrivati fino alla Scozia seguendo prima la costa mediterranea e poi quella atlantica, sia l'India per raggiungere il Giappone. Il punto è che mentre se sui megaliti europei non sappiamo nulla se non tramite le ricostruzioni degli studiosi, su quelli indiani abbiamo addirittura dei testi che spiegano il rituale della loro sistemazione, dell'orientamento e così Danielou dice che ogni studio sui megaliti dovrebbe partire dagli antichi testi indiani.

Uno Shiva Lingam, oggi, Gangotri national park, India.

Danielou nota che queste divinità erano un tutt'uno con la natura. Questo carattere è stato tramandato in Gopala-Krishna, in Pan e Orfeo in Grecia, nel mondo celtico il protettore degli animali è un dio Cornuto, lo stesso Gesù, il buon pastore e molti santi. Nel Linga Purana si dice che tutte le divinità si chiamano Pasupata (fratelli degli animali) perché fanno parte del gregge di Pasupati: "tutti coloro che considerano il signore degli animali la loro divinità, sono fratelli degli animali".


"La concezione moderna dell'ecologia può apparire un tentativo di ritorno ad una vera morale, anche se il più delle volte resta antropocentrica. Si tratta non solo di preservare la natura al servizio dell'uomo ma di ritrovare il ruolo dell'uomo all'interno della natura, come cooperante all'opera degli dei. UNA RELIGIONE CHE NON RISPETTI LA NATURA NEL SUO INSIEME INDISSOLUBILE, CHE NON SIA FONDAMENTALMENTE ECOLOGICA NON E' CHE UN INGANNO, UNA SCUSA PER I SACCHEGGI UMANI, E NON PUO' IN ALCUN CASO PROCLAMARE LA SUA ORIGINE DIVINA. L'uomo non è che un elemento in un insieme ed è  l'insieme che è l'opera di Dio.

La parità con gli animali è un valore fondamentale, magico e sacro come la nudità. Shiva è nudo. Tra i Jainisti (che sono vegetariani strettissimi e rispettano anche le forme di vita più microscopiche) esigono che i propri fedeli siano nudi. Nel racconto mitologico irlandese "The destruction of  Da Derga's Hostel..." si legge: "Un uomo nudo, che in piena notte camminerà per le strade di Tara con una pietra e una fionda, ecco chi sarà Re". Anche dioniso è rappresentato nudo on i capelli lunghi quando non indossa la veste color zafferano.

 Il Jainismo si sviluppa in India dal pensiero di Jina o Mahavira contemporaneo di Buddha.

Come abbiamo visto la posizione Yoga (del loto) era usata sia nell'antica Europa che nell'antico oriente. Pashupati, Shiva, Jaina e Buddha sono rappresentati in quel modo. Tra il VII-VI secolo a.c. e la fine dell'età ellenistica nei territori d'influenza greca si sviluppo' l'orfismo. Conosciuto attraverso documenti frammentari e in gran parte dell’ultimo periodo, si basa su pratiche ascetiche e misteriche , su rituali di liberazione dell’anima dal corpo (inteso come carcere), anche attraverso un processo di reincarnazioni sino a un’immortalità che diventa parte della divinità. Sono in effetti incredibili le affinità con il Buddhismo che in quei secoli si sviluppò in India, tanto da far pensare a dei contatti, a delle influenze tra una corrente e l'altra o ad una comune radice che è andata persa. Essi infatti credevano nella trasmigrazione delle anime, nella visione del corpo come una gabbia, non mangiavano esseri senzienti (specificatamente, il divieto di mangiare carne degli orfici, ma anche di uova e fave*, è specificato dal racconto di Euripide in cui sprezzante definisce la dieta di Orfeo "apsychos" - senza anima e quindi non ha a che fare con una dieta ma con il divieto di ucccidere esseri senzienti) e nemmeno li sacrificavano. Sappiamo infatti che gli orfici praticavano "piacevoli giochi e sacrifici" senza lo spargimento di sangue: le libagioni erano a base di focacce e miele.


Erodoto ci dice che la dottrina della metensomatosi (la reincarnazione) fosse nata in Egitto per approdare in Grecia e questo ci farebbe pensare ad un influenza da ovest a est: furono i buddisti influenzati dagli Orfici? Non lo possiamo sapere, ma c'è un altro punto d'incontro con similitudini a dir poco notevoli: Gran parte di quello che conosciamo direttamente dei culti orfici ci viene da piccole lamine d'oro trovate nelle sepolture sparse nei vari territori del mediterraneo greco. I testi che si trovano incisi su di esse danno indicazione al morto sulla strada nell'oltretomba e come nel Libro Tibetano dei Morti, esse sono molto dettagliate. (laminette orfiche). In oltre nelle rappresentazioni di orfeo torniamo alla figura della divinità circondata dagli animali nella natura (generalmente orfeo suona la lira).


Dioniso era molto caro ai seguaci dell'orfismo che è la divinità mutevole per eccellenza e bisogna dirlo, non erano ben visti in città e vengono derisi in molti testi dell'epoca per le loro abitudini alimentari e le loro credenze. Tuttavia sappiamo che anche ai seguaci di Dioniso (o almeno a parte di essi) era vietato cibarsi di esseri viventi ma si cibavano di carne cruda durante il sacrificio di iniziazione. Questo ci rimanda ai Bramini dell'india tra le altre cose. Gli inni orfici alle divinità e alle forze della natura sono qualcosa di meraviglioso, di animistico e poetico. I Pitagorici furono poi influenzati dagli orfici, ovviamente, e a loro volta sembra che i Druidi studiassero assiduamente Pitagora. Ce lo dice Ippolito, nel Refutatio Omnium Hæresium:

"I druidi dei Celti hanno studiato assiduamente la filosofia pitagorica, a ciò spinti da Zalmoxis, lo schiavo di origine tracia appartenente a Pitagora, il quale Zalmoxis venne in quelle contrade dopo la morte di Pitagora e fornì loro l’occasione di studiarne il sistema filosofico". 

Anche Ammiano Marcellino ci dice che: "I Drisidi infine, superiori per ingegno ai precedenti, unitisi, secondo l’insegnamento di Pitagora, in fraterni sodalizi, si volsero alla speculazione di problemi occulti ed elevati e, con disprezzo delle cose terrene, proclamarono l’immortalità dell’anima.” Sappiamo da molte fonti che i Druidi dei Celti credevano nella trasmigrazione delle anime infatti, erano anche vegetariani? Sappiamo che presiedevano i sacrifici, anche cruenti, ma era una cosa che riguardava tutti i druidi? O come i bramini dell'india si astenevano dal mangiare carne ma praticavano i sacrifici? Certo è che i druidi moderni non praticano sacrifici e in molti non mangiano carne.


I "Buddha celtici".
A questo punto torniamo in Europa occidentale nell'antica Liguria e più precisamente al santuario di Roquepertuse un centro abitato dai liguri Salluvi che si trova a nord di Marsiglia. Qui all'inizio del secolo durante gli scavi effettuati da Henri de Gérin-Ricard vennero alla luce i resti di quello che doveva essere una zona sacra di grande importanza: un portale con evidenti rimandi al culto celtico della testa (LINK) ma soprattutto a due statue raffiguranti due figure nella posizione del loto. Le sculture, incomplete a causa dei danni del tempo sono incredibilmente simili alle statue dei Buddha dell'estremo oriente. Purtroppo dei culti di queste popolazioni, che potremmo considerare nostri avi, non sappiamo molto: la datazione di questo sito va dal VI secolo al periodo precedente all'occupazione romana a seconda delle differenti teorie.


Si possono fare comunque dei collegamenti con il culto delle teste celtico appunto, di cui ci raccontano gli autori classici, in oltre lo stile scultoreo rimanda al vicino oppida di Entremont. Mancano le teste e gran parte delle braccia ma il materiale ci ha permesso di scoprire moltissimo di popolazioni che altrimenti utilizzavano il legno per la stragrande maggioranza dei manufatti e delle costruzioni e di cui quindi abbiamo pochissimi esempi. Una considerazione da fare è anche quella della suddivisione tra celti e liguri dell'età del ferro, davvero inconsistente.

Un Buddha tailandese esposto al MAO di Torino.

Tra gli altri reperti sparsi per l'Europa e tragicamente sconosciuti ce n'è un altro che proviene dal santuario di La Beauve (Meaux) appartenente alla popolazione dei Meldes dove sono stati scoperti molti oggetti celtici risalenti al III secolo avanti cristo. La fattura minimalista è notevole e in questo caso la posizione "del loto" è ancora più particolare. Entrambe le mani sono appoggiate sulle ginocchia e la forma ha un'eleganza e un'armonia molto esotica e moderna.

Il guerriero di "La Beauve" (Meaux)

I "Celti buddisti".
Ma esistevano anche dei Celti buddisti? Vediamo sempre le cose dal nostro punto di vista, quello occidentale, ma esisteva qualcosa dal punto di vista opposto? Sicuramente la cultura ellenistica influenzò pesantemente le valli dell'attuale Pakistan e dell'Afganista nel regno del Gandahara in cui il buddismo prosperava a quei tempi, questo incontro diede vita ad una cultura greco-buddista. Nel sito di Hadda





La Swastika.
A questo punto, senza allontanarci troppo, andiamo a vedere un altro simbolo che collega oriente e occidente. la Svastica. Sono due parole per dire che l'immagine negativa che noi abbiamo di questa croce deriva esclusivamente dall'uso che ne fecero i nazisti. Questo simbolo solare è sempre stato parte dell'occidente e non solo dell'oriente, il suono in sanscrito Swastika significa "ben essere" (Su = buon, Asti = essere) ed è sempre stato associato alla buona salute, alla fortuna. Non c' una direzione buona e una cattiva (卐 o 卍) e la troviamo ovunque, dal Giappone a Roma, dalle Americhe alla Siberia. Qui però a noi interessa quando è associata con certe figure: chiunque sia stato in Giappone sa che sulle mappe la svastica indica un tempio buddista, sono molti i Buddha che la portano addosso e compare sui Piedi del beato come segno di buon auspicio.


La pagina wikipedia in inglese è molto ben fatta e può essere utile per farsi un'idea più completa di questo simbolo: LINK Qui sopra ho messo alcune figure classiche del Buddha nella posizione del loto con la svastica sul petto e quindi bisogna andare ad alcune figure trovate sulle navi vichinghe tra cui la più famosa decorava un secchio sulla nave di Oseberg, risalente all'800 dopo cristo e quindi al medioevo. Lo stile rimanda alle figure celtiche di cui abbiamo parlato sopra, qualcuno ipotizza anche che la parte superiore del capo mancante potesse essere dotata di corna. Non si può però ignorare la somiglianza con le figure buddiste orientali e questo apre molti possibili collegamenti Tra l'Europa antica e medievale e l'estremo oriente.


I Buddha Vichinghi.
Potrebbe sembrare un collegamento troppo fantasioso e forzato quello tra vichinghi e buddismo, basato su simili posizioni e simboligie indoeuropee. Ma in effetti non è così: nel 2015 le poste svedesi pubblicarono un francobollo, parte di una serie per la commemorazione dell'era vichinga raffigurante un Buddha seduto nella posizione del loto. Si trattava di una statuetta di bronzo ritrovata nel 1954 durante gli scavi di Helgo, un piccolo non lontano da Stoccolma il cui nome tra l'altro, significa "isola sacra". Gli archeologi hanno stabilito che la rappresentazione alta circa 8 centimetri sia stata fusa nel V-VI secolo d.c. nella zona del Kashmir tra India e Pakistan. La figura presenta il terzo occhio simbolico sulla fronte, simbolo dell'illuminazione, i lobi delle orecchie allungati che rappresentano la discendenza reale ed è seduto su un doppio loto che ne testimonia la purezza. La statuetta inoltre è stata ritrovata con dei lacci di cuoio che indicano che fosse portata durante i viaggi forse come talismano. Gli storici ipotizzano quindi che questo Buddha di bronzo abbia viaggiato per qualche secolo attraverso le steppe, i fiumi e le foreste euroasiatiche dalle montagne dell'Himalaya alle terre scandinave, facendoci pensare quanto poi certi collegamenti tra est ed ovest siano poi molto più reali di quello che si possa immaginare.



E' doveroso tornare un attimo all'Europa neolitica di circa 7000 anni fa, nella zona tra Romania e Serbia in cui venne scoperta la sepoltura di Lepenski Vir di più sopra. Appartenenti alla cultura di Vinca, di poco successiva, sono state scoperte tantissime statuette, molte raffiguranti dee femminili (di cui si è occupata molto Marija Gimbutas) e altri particolari "personaggi", molti dei quali adornati con svastiche.


Bisogna dire che tutto quello che ho scritto qui sopra ha a che fare con i simboli e con la mitologia, non sto dicendo che ci fossero persone o missionari che facevano avanti e indietro come facciamo noi oggi con gli aerei. Alessandro il grande giunse in India e con lui la cultura greca venne a contatto con gli scivaiti e i primi buddisti, questa è storia. Da questo incontro nacque l'arte buddista del Gandhara (zona compresa ta Pakistan e Afganistan) in cui la storia del Buddha è rappresentata con uno stile greco: in Italia sono molte le collezioni pubbliche che conservano reperti di questo tipo tra le quali quelle del MAO di Torino e il Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma. Ci sono poi alcune testimonianze antiche che vedono l'arrivo di un'ambasciata indiana che venne inviata a Roma tra il 22 a.c. e il 13 d.c. di cui faceva parte un monaco buddista che si sarebbe dato fuoco ad Atene  per dimostrare la sua fede. L'evento venne raccontato da Nicola di Damasco che incontrò l'ambasciata ad Antiochia, la tomba di costui era ancora visibile ai tempi di Plutarco (LINK).


L'imperatore Ashoka, che si convertì al buddismo e promosse la dottrina nell'India antica, inviò dei missionari in Sri Lanka ma anche in Siria, Egitto e Grecia e c'è chi dice che questi insegnamenti ispirarono anche Gesù, ma siamo nella pura speculazione. I romani iniziarono a commerciare direttamente con l'India nel secondo secolo dopo cristo (continuando poi anche in Cina dove inviarono delle ambasciate) e non è un mistero questo. I ricchi romani amavano le merci che giungevano dall'estremo oriente la seta e per esempio a Pompei è stata trovata una statuetta in avorio raffigurante la dea Lakshmi, conservata sotto le ceneri dell'eruzione fino al 1900. Alcuni scavi abbastanza recenti sulle coste meridionali dell'india (Arikamedu e Muziris) hanno portato alla luce Anfore, vasellame (tra cui una coppa col marchio di una fabbrica di Arezzo), vetri dipinti, monete d’oro: tutto materiale di scavo di origine Romana, e testimoniano circa 200 anni di commerci. (*)  Il professor Raoul McLaughlin dell’Università di Belfast, studioso delle rotte commerciali tra Roma, l’India e la Cina, identifica un busto che si trova alla Galleria Borghese con un romano convertito al buddismo. Ha la corazza da generale ma porta i capelli alla moda dei buddisti del Gandhara, «forse proprio uno di quei Yavanas di cui tanto parlano gli antichi testi Tamil» e non è l'unico.

Statuetta della dea Lakshmi da Pompei.

Lo Zen viene da occidente?
Nella visione occidentale e banalizzata lo Zen rappresenta quasi l'oriente stesso. L'estremo oriente, il Giappone. Bisogna dire che generalmente quando si dice Zen si pensa ad uno stile minimalista, magari per il bagno o per un profumo, siamo in un epoca e in una società in cui tutto, per arrivare alle masse, diventa "Pop", semplificato e filtrato da tutto quello che non è pura immagine utilizzabile per vendere qualcosa, il cibo di un ristorante, un sapone, una compilation musicale. Con Zen si intende un'insieme di scuole buddiste giapponesi che derivano dal buddismo Chán cinese ed è, semplificando al massimo, una forma di buddismo che enfatizza la pratica della meditazione evitando le speculazioni intellettuali. Il buddismo Chán si sviluppò in Cina tra tra il VI e il VII secolo d.C. e da esso derivano appunto la tradizione Zen in Giappone, Quella Sòn o Seon coreana e la Thiền vietnamita e fanno tutte parti del più grande insieme delle scuole buddiste Mahayana. Il termine Chan (da cui deformati derivano i termini Zen, Sòn e Thiền) deriva a sua volta dal termine sanscrito Dhyāna che significa letteralmente "visione" e che viene usato per rendere il concetto di "meditazione". In cina per rendere il suono di questo dermine venne usato l'ideogramma  禅 che viene letto in cinese Chàn e in giapponese Zen. Il punto è che le origini leggendarie di queste scuole buddiste non sono facilissime da ricostruire ma vengono fatte risalire alla figura di Bodhidharma.

Bodhidharma in una stampa giapponese ottocentesca di Yoshitoshi

Bodhidharma fu un leggendario monaco buddista giunto in Cina per insegnare una forma di buddismo mahayana incentrata, appunto, sulla meditazione ma sulle cui origine, come per l'origine del buddismo Chàn, resta un alone di mistero, anche per le incongruenze dei vari testi. Il punto è che il maestro viene sempre raffigurato con tratti occidentali, capelli rossi e occhi azzurri, chiaro segno che in oriente è sempre stato visto in questo modo In oltre l'unica testimonianza contemporanea sulla sua figura si trova negli "Annali dei Monasteri di Loyang" in cui Bodhidharma viene descritto "un persiano dagli occhi blu sui 150 anni di età" che praticava la recitazione del nome del Buddha". Le altre fonti più tarde lo descrivono come originario ancora una volta della Persia (Iran) o dell'Impero Kusana (un'impero multiculturale che oltre all'India del Nord, andava dall'Afganistan alla Cina). In ogni caso viene generalmente descritto come un uomo di etnia caucasica europoide.

Rappresentazione di un monaco dai tratti occidentali che insegna ad un monaco orientale in un affresco delle Grotte dei mille Buddha di Bezeklik

Il Buddismo celtico moderno.

Epoca contemporanea: il buddismo si espande in occidente.


"Le cose esistono ma non sono reali" - Mu Soeng

Critiche all'espansione del buddismo in occidente: perchè in molti criticano il buddismo in occidente? Si tratta principalmente di posizioni con una basa identitaria e nazionalistica: si vede il Buddismo come una delle tante influenze culturali aliene e quindi viene criticato. La ragione è sempre la stessa, la paura di quello che viene da fuori, di quello che non si comprende e quella di perdere le proprie tradizioni a cui, per vivere, ci si attacca. Eppure il buddismo è quasi universalmente conosciuta come una religione pacifica con posizioni generalmente meno radicali di, per esempio, quelle delle religioni monoteistiche. I detrattori quindi reagiscono in vari modi: negli ultimi anni alcuni hanno cercato di screditare questo aspetto pacifico del buddismo, prendendo casi estremi o addirittura inventando "fake news", il governo cinese lo ha fatto per anni, ad esempio descrivendo alcuni rituali tantrici riservati a pochi iniziati come pure perversioni a chi non ne sapeva niente. In occidente la posizione contraria più comune credo sia quella di vedere il buddismo come una moda new age per hippies malati di orientalisimo o anche come una cosa lontanissima e incompatibile con la filosofia occidentale. E' anche per questo che ho scritto questo post.


>>> Da continuare <<<



Bibliografia:
- Alain Danielou, "Shiva e Dioniso".
- Miranda Green, "Symbol and Image in Celtic Religious Art".
- Miranda Green, "Dizionrio di Mitologia celtica"
- Miranda Green, "
- P . Wuilleumuier, "GOBELET EN ARGENT DE LYON", 1936
- Religion et Société en Gaule (Rhone)
- Geoff Bailey, Penny Spikins, "Mesolithic Europe", 2008
- "I primi Europei", Jaca Book


Articolo:
(*) - Nell'antica Roma c'erano anche i buddhisti? - alcuni scavi dimostrano gli scambi tra Roma e l'India -
di Emilio Laguardia - Il Messaggero 07/07/2008

giovedì 12 aprile 2018

Popolazioni del Piemonte preromano.

Questa lista è in continuo aggiornamento e vorremmo estenderla a tutta l'Italia del Nord (Gallia Cisalpina). Le popolazioni qui elencate riguardano principalmente l'età del ferro, in quanto è impossibile risalire al periodo precedente per mancanza di testimonianze scritte. Se i Romani furono gli artefici della distruzione di molti di questi popoli, essi furono anche gli unici, insieme a qualche documento greco, a tramandarci indizi importanti per una ricostruzione anche minima della situazione a loro antecedente. In oltre sappiamo pochissimo delle popolazioni galliche transalpine che vennero conquistate il secolo successivo ed è quindi ancora più difficile ricostruire la situazione cisalpina. Celti e Liguri (che è molto difficile distinguere e che forse non erano nemmeno due rami distinti visto che adoravano le stesse divinità principali e parlavano lingue dello stesso ceppo) scrivevano molto poco e se lo facevano utilizzavano gli alfabeti greci ed etruschi adattati prima e romani dopo, per lo più incidendo materiali deperibili come il legno. Anche per questo la situazione che conosciamo ci è riportata sempre dai loro nemici e non possiamo nemmeno sapere come queste popolazioni chiamassero o considerassero loro stessi.

NOTA: anzi, nota un pochino polemica. Sappiamo oggi, come sottolineato sopra, che gran parte delle popolazioni alpine dell'età del ferro parlavano lingue celtiche e adoravano divinità celtiche. La cultura di Golasecca stato uno dei centri della cultura gallica alla pari di Hallstatt e di La Tène e anzi probabilmente le precedette. Eppure è difficilissimo che sui libri e sui documenti in italiano se ne faccia menzione. Purtroppo oggi più che mai il fattore identitario gioca un ruolo troppo importante sulle questioni storiche.


Mappa esposta al museo di antichità di Torino con i nomi delle tribù celtiche e liguri preromane in Piemonte.

ANAMARI
Vedi MARICI.

BAGIENNI o VAGIENNI o ancora Vegenni
Come gli Statielli (vedi), i Bagienni appartenevano ad un ceppo ligure che abitava il sud del Piemonte comprendente le attuali province di Alessandria, Asti e Cuneo nel primo millennio a.c. Da questo insieme iniziarono ad emergere verso il V sec. a.c. occupando una grande zona della oggi provincia di Cuneo comprendenti le Langhe, l'alta Valle del Tanaro fino al Po e più in generale in tutto il Piemonte sud-occidentale. Il limite settentrionale del territorio dei Bagienni era costituito dai Caburriates (Forum Vibi Caburrum), dalle sorgenti del Po e dal Monviso ma probabilmente arrivarono come già detto i confini sia territoriali che culturali erano tutt'altro che definiti. Etimologicamente pare prendano il nome dal faggio. La loro capitale era nella zona della città che, ai tempi dei Romani, fu chiamata Julia Augusta Bagiennorum (ora Bene Vagienna) e con l'arrivo dei galli transalpini (probabilmente i Boi - vedi) si spinsero fino alla Val Trebbia dove probabilmente fondarono Bobbio (Pagus Bagennorum). Conosciamo i Bagienni per le notizie che ci ha tramandato Plinio il Vecchio nella sua opera Naturalis historia in cui in un passo corrotto sembrerebbe indicarli come derivati dai Caturigi e quindi Celti (ma come abbiamo visto è impossibile distinguere esattamente le popolazioni Liguri dell'età del ferro dai Celti). Al contrario degli Statielli sembra che i Bagienni si fossero alleati da subito con i Romani e quindi la loro romanizzazione sia stata molto mento traumatica.

Il grande territorio occupato da Bagienni e Statielli, più sopra si vedono anche Magelli e Taurini.

COZI
Il regno dei Cozii comprendeva le valli di Susa, Chisone e Pellice, la Savoia, le Alte Alpi e il Delfinato, raggruppando diverse tribù. e fu uno dei regni celtici più longevi e particolari di tutta Europa, esso durò infatti fino alla morte di Cozio II nel 63 dopo Cristo! Il centro principale era Susa (Segusio), ma forse all'inizio i re vivevano nell'oppidum di Excingomagus (forse Exilles). Un altro centro importante era l'oppida di Ocelum (presso l'attuale Avigliana), punto di frontiera con i territori controllati direttamente dai Romani. Questa popolazione restò indipendente fino a tempi incredibilmente e recenti e per questo sono molti i documenti arrivati a noi. Poco prima dell'impresa della Spagna (61 a.C.), Cesare si accordò con il Re Ligure Donno, garantendosi il transito indisturbato delle proprie truppe. Si creò così un'alleanza che permise ai Cozii di continuare a prosperare. Alla morte di Cesare, l'alleanza con Cesare Augusto venne rinsaldata dal figlio di Donno, Cozio e per l'occasione venne realizzato, in onore di Augusto, un arco di trionfo a Segusio (9-8 a.C.), visibile ancora oggi, su cui son incisi i nomi delle tribù che componevano il regno: Segovii, Segusini, Belaci, Caturigi, Medulli, Tebavii, Adanates, Savincates, Ectini, Veamini, Venisani, Iemerii, Vesubiani e Quarati. In onore di Cozio, le Alpi della regione vennero chiamate Cozie. Alla morte di Cozio, succedette il figlio Donno II, a cui succedette il nipote Cozio II. Quest'ultimo, che regnerà a lungo, aumenterà il territorio amministrato dal nonno, grazie a doni territoriali concessi dall'Imperatore Claudio. Nel IV sec. d.C. la tomba di Cozio era ancora venerata mentre, addirittura nel medioevo, Donno era venerato come un santo.

Pietra con coppelle e canaletti, nei pressi delle Terme Graziane a Susa risalenti all'Età del Ferro sopravvissute fino a noi.

CARMENATI

Altra popolazione ligure di cui però si sa pochissimo e ricordati nel territorio alessandrini. Forse si trattava di una tribù sottotribù affine agli Statielli (vedi) addirittura il nome con cui gli Statielli si definivano appunto. Ipotesi supportata dal fatto che i centri degli Statielli avessero nomi che iniziavano per Car come Caristum (la loro capitale oggi Acqui Terme), Cartosio, il quartiere Cristo (Caristo) di Alessandria, Carrosio, ecc... Il nome potrebbe derivare dal termine indoeuropeo "Carn", Corno, Corna comune anche ad altre popolazioni celtiche come i Carnuti. Le corna infatti erano (non solo per i celti e per i liguri) elemento che identificafa eroi e dei come Cernunnos, il Dio Cornuto appunto da cui deriva anche Cervus, Cervo.

CAVATURINI
Popolazione ricordata dalla Tavola di Polcevera (vedi immagine) che probabilmente costituiva una sotto tribù degli Statielli. Il nome oggi è ricordato nel toponimo di Cavatore (AL). vedi: https://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/03/toponimi-celtici-nel-territorio.html

DERTONINI o DECTUNINI
Una delle popolazioni della provincia di Alessandria, vengono citati nella Tavola di Polcevera (vedi immagine, come una delle popolazioni liguri che avevano diritto diritto all'Ager Compascuus in alta val Polcevera e Scrivia e che vivevano nel territorio di Tortona (Derthona appunto) e dei colli tortonesi. Furono tra i primi ad allearsi con i Romani ed infatti I loro oppida principali divennere le principali città romane della zona, probabilmente integrandosi per avere diritto alla cittadinanza. L'oppida di Tortona si trovava dove oggi si trovano i resti del castello come dimostra il ritrovamento di diverse ceramiche di tipo Ligure (oggi conservate al Museo di Alessandria). Quello di Libarna si trasformò nella famosa città, in cui però si conservarono alcune usanze fino nei secoli seguenti la nascita di cristo, come dimostrano alcuni oggetti (cinturone, bottoni e fibule) trovati nella sepoltura di un Bambino del II secolo d.C. Altri oppida dectunini erano Cerdicia (identificato con l'attuale Carezzano) e Celli, frazione di Montale Celli, che si dovettero arrendere a Minucio Rufo nel 197 d.C. Vedi il post: https://leradicideglialberi.blogspot.com/2021/03/toponimi-celtici-nel-territorio.html


INGAUNI
Popolazione ligure che occupava l'alta Val Tanaro e il bacino dell'Arroscia fino ad Albenga. Molti solo i manufatti ritrovati che vanno dalle ceramiche alle armille e ai torques oggi conservati in alcuni piccoli musei locali.

INSUBRI
Forse il principale tra i popoli celtici cisalpini. Non si sa bene se appartenessero alla cultura di Golasecca e fossero quindi Celti cisalpini "autoctoni" sviluppati parallelamente alla cultura di Hallstatt o se fossero arrivati nell'area oggi grossomodo occupata dalla Lombardia con le prime migrazioni attorno al VII secolo avanti cristo come dice Tito Livio. Essi, come dimostrano gli scavi, non ebbero una "celtizzazione" improvvisa ma lenta e continua. Avevano caratteri molto simili a quelli delle popolazioni hallstattiane e ai Liguri e man mano incorporarono influenze sia da parte celtica transalpina che dall'Etruria Padana. Fatto sta che quando Belloveso, re della popolazione Biturigi scavalcò le alpi e sconfisse gli Etruschi presso il Ticino, incontrò la popolazione degli Insubri che secondo la leggenda lasciarono lui e il suo popolo stanziarsi nelle loro terre. In seguito Belloveso incontrò una scrofa di cinghiale "semilanuta" con una cresta pelosa sulla schiena, che interpretò come incarnazione della divinità Belisama e li quindi, nel territorio restituito agli Insubri decise di fondare Mediolanon attorno, questo lo stimano gli storici, al 600 a.c.
L'area occupata dagli insubri comprendeva probabilmente la parte più a Nord del Piemonte, della Svizzera italiana, l'attuale provincia di Milano e parte della Lombardia. Come gran parte dei popoli cisalpini si allearono con Annibale contro Roma, ma dopo una serie di battaglie e alleanze temporanee obbligate strinsero definitiva alleanza con i Romani nel 194 a.c. e ottennero la cittadinanza romana nel 49 a.c.

La Scrofa Semilanuta, simbolo della Milano celtica, visibile ancora oggi in Via Mercanti sul Palazzo della Ragione.

LEPONZI o LEPONTI
I Leponzi (anche Leponti o Lepontini) erano una antica popolazione stanziata nelle Alpi centro-occidentali ed erano uno dei popoli originati dalla cultura di Golasecca. Il loro territorio era compreso tra il Canton Ticino, la Lombardia occidentale, la Val d'Ossola e l'alto Vallese. I loro centri principali probabilmente erano Oscela (che i romani ribattezzeranno Oscela lepontorum, e oggi è la città di Domodossola) e Bilitio (l'attuale Bellinzona). Il territorio leponzio faceva parte della provincia romana della Rezia. Lo storico greco Strabone (58 a.C.-25 d.C. circa) descrive i Leponzi come una delle comunità in cui si dividevano i Reti e loda la qualità del loro vino. Essi sono famosi per essere stati forse i primi tra i popoli celtici ad usare un alfabeto proprio, conosciuto come alfabeto di Lugano, una delle cinque principali varietà di alfabeto italico settentrionale. Si trattava dell'alfabeto etrusco (la cui influenza all'epoca si estendeva fino alla pianura padana e a Milano) modificato e utlizzato per scrivere nella loro lingua. Solo successivamente, con l'ampliamento del territorio dell'Italia antica, il territorio venne a far parte della Gallia Transpadana. Vennero definitivamente sconfitti soltanto nel 16-15 a.c.

Stele bilingue Latino-Celtico (alfabeto leponzio) - Museo di Antichità di Torino.


LEVI o LAEVI
I Levi sono conosciuti per essere considerati insieme ai Marici (vedi) i fondatori originari di Pavia. Anche qui la solita confusione tra le testimonianze storiche tra celti e liguri. Polibio li elenca tra i popoli celtici mentre Plinio e Livio li considerano Liguri sempre associati a Marici. Ora noi sappiamo che questa distinzione non è importante La loro posizione attorno a Pavia potrebbe essere la loro ultima roccaforta in seguito alle successive migrazioni di popoli transalpini. Infatti alcuni toponimi come Levo nei pressi di Stresa o il nome stesso dell'alta val Ticino "Val Laventina" (forse dei Leponti?) ne testimonierebbe la presenza lungo tutto il corso del Ticino.

LIBUI o LIBICI 
I Libici sono tra i più antichi abitanti del Piemonte documentati. Nelle fonti storiche sono nominati in una lettera scritta da Bruto a Cicerone, databile al 43 a.C. (Ad Fam. XI-19,2). Bruto è incaricato di reclutare truppe in Cisalpina e, nel suo viaggio, fa tappa a Tortona, Vercelli ed Ivrea. "Ivrea era stata fondata come colonia dai Romani pochi decenni prima (100 a. C.), ma Vercelli esisteva già da molto tempo come città-stato e centro protourbano fondato da popolazioni liguri poco prima che l'etnia celtica, giunta dalla Gallia nel IV secolo, vi si stanziasse sovrapponendosi e mescolandosi alla precedente. "Vercellae Libicorum ex Salluis horte", (NH, III, 24): "Vercelli città dei Libui fondata dai Salluvii", come riporta il noto passo di Plinio. Essi vengono quindi associati ai Salluvii popolazione celto-ligure della Gallia Transalpina che avevano come capitale l'attuale Entremont. Nel 196 a.c. i Boi stanziati in Boemia e fondatori di Bologna) compirono un'incursione nel Territorio occupato dai Libui e dei Levi (vedi) che forse erano addirittura lo stesso popolo.

NOTA: Cosa ancora una volta bizzarra è che mentre i Salluvii fossero considerati Liguri, i Libui venivano considerati celti, anche se di origini cisalpine. In oltre per quanto riguarda i Salluvii che non nominiamo in questa lista in quanto transalpini, occupavano da tempi molto antichi il territorio attorno a Marsiglia (Massalia). Ci viene in mente che il termine greco Keltoi, da cui proviene il termine Celti (sinonimo di Galli usato dai romani) venne per la prima volta utilizzato per indicare le popolazioni che i greci incontrarono nel territorio di Marsiglia e ci fa pensare che quindi Celti e Liguri fossero effettivamente parte dello stesso gruppo culturale.

http://www.archeovercelli.it/didattica.html

Fibula celtica golasecchiana a forma di drago. Da Castelnuovo Scrivia - 460 a.c.  

MARICI, MARICHI o ANAMARI
Popolo affine ai Levi (vedi) assieme ai quali sono noti per essere nominati da Plinio come i fondatori Pavia e occupavano le attuali province di Pavia, di Alessandria e forse di Piacenza. di Nessun'altra fonte storica nomina questo popolo e questo ha fatto pensare agli storici che si tratti dello stesso popolo conosciuto come Anamari. Polibio nomina questi ultimi come i primi abitanti dell'appenino a sud del Po (oltrepo pavese) e della zona dell'oppida di Casteggio appunto. In effetti Polibio non nomina i Marici e Plinio non nomina gli Anamari e questo ci fa pensare appunto che si trattasse dello stesso popolo. Di nuovi ci troviamo davanti al solito problema di attribuzione in quanto Polibio li considera Celti e Livio Liguri. Molti sono però i toponimi legati a questa popolazione: Castrum Mariciorum presso Sannazzaro de Burgondi, Petra Maricorum (oggi Pietra Marazzi) Presso Alessandria, Vicomaricus (oggi Vicomarito) presso Varzi, Lucus Maricorum (oggi Bosco Marengo) di nuovo vicino ad Alessandria. In oltre entrambe le città di Pavia e Alessandria avevano una Porta Marica nelle antiche mura difensive, documentate in varie mappe e incisioni (vedi la rappresentazione di Alessandria qui sotto) e nel caso di Pavia ricordata dalla via di Porta Marica. Interessante il fatto che le due porte fossero diretta una verso l'altra. Questo ci fa pensare che il territorio dei Marici si estendesse grosso modo tra Pavia, Alessandria e Varzi.

Vista di Alessandria in cui tra le varie cose è indicata la Porta Marica con il n.17 ultima a destra.

SALASSI
I Salassi occupavano la regione subalpina della Dora Riparia, il Canavese ed arrivavano fino nel Biellese come testimoniano alcuni toponimi (Salussola ad esempio). I confini dei territori occupati da queste popolazioni comunque non erano mai ben definiti, cambiarono nel tempo e non dobbiamo immaginarci queste zone come degli stati moderni. Forse fondarono il villaggio originario di Ivrea (Eporedia) Plinio il Vecchio afferma che questa città venne fondata dal popolo romano per ordine dei Libri Sibillini, ma aggiunge che il suo nome deriva dalla voce gallica eporedii (domatori di cavalli), questo dato ci permette di supporre che la sua origine sia in realtà preromana. Ipotesi che viene avvalorata da Vallejo, il quale sostiene che il primo centro fortificato sia stato edificato dai Bagienni, appartenenti alla confederazione transpadana dominata dagli Insubri (Plinio, Naturalis Historia, III, 123). Famose furono le miniere d'oro dei Salassi, ancora visitabili, conquistate poi dai romani.

STATIELLI
Gli Statielli appartenevano ad un ceppo ligure che abitava in sud del Piemonte comprendente le attuali province di Alessandria, Asti e Cuneo nel primo millennio a.c. ed erano uno dei principali popoli del Piemonte preromano. E' solo dal IV sec. a.c. che si può riconoscere l'Ethnos di questo popolo che occupava gran parte dell'attuale provincia di Alessandria e Asti a Sud del Tanaro, mentre ad Ovest nell'attuale provincia di Cuneo si svilupparono i Bagienni (vedi). Gli Statielli sono oggi abbastanza documentati, considerando la scarsità di evidenze che abbiamo per quanto riguarda le popolazioni pre-romane dell'Italia settentrionale, per alcuni ritrovamenti nella zona della loro capitale Carystum (oggi Acqui terme) e da altri siti archeologici. Sono anche conosciuti perchè opposero grande resistenza all'invasore romano e per questo subirono uno dei più gravi genocidi e successiva deportazione di gran parte della popolazione in schiavitù da parte del console romano Marco Popilio Renate (LINK). Di una loro esistenza come gruppo etnico non romanizzato abbiamo prova fino a metà del I sec. a.c. Il loro nome deriva dalla radice indoeuropea "stat" Stare, che quindi  venissero identificati come "gli indigeni" già all'epoca. Probabilmente appartenenti alla stessa popolazione erano gli abitanti di Tortona che chiamiamo Dertonini (vedi). Non sappiamo invece molto dei Carmenati (vedi) che abitavano le stesse terre, forse una "sotto-tribù" forse il nome con cui gli Statielli chiamavano loro stessi visti toponimi dei loro centri: Carystum (Acqui), Cartosio, probabilmente il quartiere Cristo (Caristo) di Alessandria, Carrosio, ecc... Nome che forse li collegava alla radice indoeurope "car", corna, elemento che identificava eroi e dei.

Vedi anche:
http://leradicideglialberi.blogspot.com/2019/03/linvasione-romana-della-gallia.html
https://leradicideglialberi.blogspot.com/2019/06/le-ceneri-degli-statielli-la-necropoli.html

TAURINI
La Treccani li descrive molto bene: "popolo che abitava per vasto tratto la regione subalpina a nord e a sud della Dora Riparia. Appare ramo dei Taurisci (vedi), gente diffusa in varie regioni alpine. Il nome, nell'una o nell'altra forma, sembra derivi dalla divinità proto celtica Taranis o derivato da radice preromana che significava appunto "monte" (di questo manca la fonte). Polibio narra che i Taurisci l'anno 225 a. C. furono disfatti, insieme con altre genti galliche, dai Romani a Talamone (v. taurisci). La forma Taurini appare primamente nel passo in cui Polibio stesso narra dell'espugnazione della loro capitale Taurasia (Torino) per opera di Annibale appena disceso dalle Alpi, ed è la sola che ritroviamo in seguito costantemente per questi subalpini occidentali. I quali erano, secondo Plinio e Strabone, di antica stirpe ligure. Solitamente tuttavia nelle fonti stesse i Taurisci erano detti Galli. Si trattava con ogni verosimiglianza di popolazioni fruenti dappertutto, più o meno, di uguale cultura e vita e per certo alquanto mescolate". Per fortuna qui è la Treccani a sottolineare il fatto che Liguri e Celti fossero popolazioni quasi identiche. A differenza di gran parte delle altre popolazioni cisalpine si allearono con Roma durante la seconda guerra punica e la loro capitale Taurasia venne rasa al suolo da Annibale nel 2019 a.c. Difficile esserne certi ma probabilmente essa sorgeva dove i Romani fontarono Augusta Taurinorum, Torino. Per quanto riguarda il nome, come già detto, è probabile che, come per i Taurisci, derivasse dalla divinità Taranis (legata ai fulmini, alle montagne e alle precipitazioni e assimilabile ad altre divinità indoeuropee quali Zeus, Giove, Thor, Indra, ecc...) il cui animale sacro era il Toro appunto. Da qui la connessione tra il Toro e Torino.


TAURISCI
I Taurisci comprendevano il complesso di razze galliche diffuse in varie regioni alpine che nel II sec a.c. formavano il nucleo delle genti bellicose popolanti il Norico. E' tuttavia difficile stabilire quale potesse essere il territorio occupato da essi. Polibio afferma che ai suoi tempi (210-128 a.c.) i Taurisci abitavano i due versanti delle Alpi occidentali ed il Norico identificandoli con i Taurini (vedi), che fondarono Taurasia (Torino). Probabilmente si trattava di un ramo della stessa popolazione distaccato nei secoli precendent durante le migrazioni. Essi vennero sconfitti dai Romani nel 225 a.c., nel 129 a.c. e debellati nel 115 a.c.  di queste genti erano i Taurini (vedi). Il loro nome probabilmente derivava per la divinità Taranis.

VERTAMOCORI
I Vertamocori erano una popolo celtico stanziato nella Gallia cisalpina attorno a Novara, nel Piemonte orientale. Sono ricordati da Plinio il Vecchio nel III libro della Naturalis Historia, dove sono indicati come i fondatori della città di Novara. Plinio ci dice anche che appartenessero alla stessa stirpe dei Voconzi, popolazione stabilita nella Gallia Narbonense fra il Rodano e i bassi corsi dei fiumi Isère e Durance.

venerdì 25 dicembre 2015

Melusina e Naga Kanya e Sheela Na Gig oriente ed occidente.

Ancora una volta vorrei tornare sulle similitudini e i legami tra oriente ed occidente, alle comuni radici delle culture indoeuropee, delle quali in questo periodo di "radici cristiane" ci stiamo dimenticando. Melusina è una figura leggendaria del Medioevo. Si trattava di una donna con la coda di un serpente o a volte di un pesce, simile per questo ad una Sirena. Bisogna ricordarsi però che le sirene della religione greca erano metà umane e metà uccelli. Comunque come molti altri miti medioevali, quello di melusina affonda le sue radici nelle leggende popolari precristiane, specialmente celtiche e greche.

 sopra: melusina in Piemonte: Chiesa di San Secondo a Cortazzone e Sacra di San Michele.

Nel medioevo questa figura venne ovviamente influenzata dal cristianesimo, il suo mito compare in vari libri tra i quali "Melusina" di Turing von Ringoltingen. Secondo la leggenda le melusine dovrebbero sposare un cavaliere a condizione di un tabù particolare: non essere viste nella loro vera forma, quella di una fata dell'acqua, con la coda di pesce o di serpente, al posto delle gambe. La rottura del tabù della melusina, fonte dell'autorità e della ricchezza cavalleresca, può condurre il cavaliere alla rovina e condannare la fata a rimanere una sirena per sempre.

La figura di Melusina è visibile in molte chiese medioevali, specialmente quelle romaniche. In questi luoghi di solito Melusina occupa i capitelli e in molti casi possiede due code, carica di significat sessuali e ricollegandosi in alcuni casi alla figura di Sheela na Gig dell'eredità celtica britannica.

nell'immagine sopra: una classica rappresentazione celtica irlandese di Sheela Na Gig, una rappresentazione più moderna della stessa figura a Sainte Radegonde, Poitiers in Francia dove è molto meno frequente. Nell'ultima foto una tipica rappresentazione di Melusina, come sirena su di un capitello.

Ora vorrei parlare della similitudine della stessa Melusina con Naga Kanya, figura leggendaria della mitologia indiana, metà donna e metà serpente. Essa appartiene ai Naga, divinità che popolano il sottosuolo, raffigurate di solito come serpenti e legati al culto della Madre Terra. E' interessante notare come queste figure risalgano al periodo della civiltà della valle dell'Indo, come ad esempio la figura di Pasupathi, ancestrale rappresentazione di Shiva e incredibilmente simile al dio celtico Cernunnos (LINK). Molte rappresentazioni di Melusina sono anch'esse incredibilmente simili alla rappresentazione di Naga kanya (foto sotto), che poi in molti casi è metà serpente, non solo pesce.


Naga Kanya considerata anche figlia dei Naga, è protettrice dei serpenti, ma come Melusina è anche legata al cultu dell'acqua, dei fiumi e della pioggia ed ha un posto d'onore nella religione Indù e Buddista non solo in India. Per chiudere il cerchio vorrei ora proporre alcune immagini di Sheela Na Gig e della divinità indiana della fertilità Lajja Gauri. Ancora una volta le sue origini risalgono al periodo pre-induista della civiltà della valle dell'Indo ed è sopravvissuta fino ad oggi.

Nelle foto sopra una rappresentazione di Sheela Na Gig che si trova nella chiesa di Notre-Dame de Bruyères-et-Montbérault e due sculture di Lajja Gauri in India. 

Vedi anche:
Chiesa di San secondo a Cortazzone
Sacra di San Mchele

Melusina web:
Libro: MELUSINA - TURING VON RINGOLTINGEN - stampa alternativa 1991.