mercoledì 25 dicembre 2019

Sucellos, Nantosuelta, Silvano e San Rocco.

Di Guido

Sucellos era una divinità gallica legata alle foreste, al raccolto e al vino. Il suo sviluppo conosciuto è particolarmente legato al periodo Gallo-Romano e alla pantheon dei celti continentali quando venne identificato con il romano Silvano che aveva gli stessi attributi.

Alcune rappresentazioni della divinità conservate al museo gallo romano di Lione.
Sucellos era solitamente rappresentato come un uomo barbuto con un saio o un mantello, con un martello dal lungo manico o in alcuni casi un bastone e un cane. In alcuni casi il dio regge una cesta con uva o frutta, simboli che lo legano al vino e al raccolto. Oltre che per le evidenti somiglianze formali nelle numerose rappresentazioni che ci sono arrivate il collegamento tra Sucellus e Silvano è anche esplicitata da un'iscrizione scoperta nell'odierna Augst (Augusta Rauricorum) nell'odierna Svizzera che dice:

In honor(em) / 
d(omus) d(ivinae) deo Su/ cello Silv(ano) / 
Spart(us) l(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) 

Nel suo nome troviamo la radice gallica "Cellos" colpitore, attacante, derivante dal proto indoeuropeo "Keldos" da cui anche il latino "Cellere", ecc... che ci da una traduzione come "Il buon battitore" Un etimologia alternativa ci viene dallastudiosa Bianca Maria Pròsper, la quale fa derivare il nome della divinità da "Kel" - proteggere e quindi "su-kel-mó(n)" traducibile come "colui che protegge bene".


Le rappresentazioni di Sucellus vanno dalle più primitive e popolari in pietra a quelle molto più raffinate e classicheggianti in metallo. Quella qui sopra proviene dai Lari di una casa gallo romana della Francia del primo secolo A.C. e risulta molto simile al Silvano classico. Un altro attributo molto importante di Succello è la sua "compagna" Nantosuelta. Anche in questo caso lo sappiamo per un'iscrizioni in latino arrivata fino a noi sull'altare di Sarrebourg rinvenuto nel 1895 che dice:

Deo Svcello / 
Nantosvelte / 
Bellavsvs Mas / 
se filivs v(otum) s(olvit) 
l(ibens) m(erito) 

trad. "Al Dio Sucellos e a Nantosuelta, Bellausus, figlio di Massa che felicemente e meritatamente ha adempiuto al suo voto."

Bellausus e sua madre Massa hanno dei nomi celtici e probabilmente era pellegrini.

Nantosuelta da Speyer, l'altare di Sarrebourg, l'altare di Karlsruhe
Nantosuelta è generalmente rappresentata con una lanterna e con uno o più corvi, questo fa pensare ad una versione continentale di Morrigan. Morrigan nella mitologia Irlandese era la compagna di Dagda che ha sua volta a molti caratteri in comune con Sucellos/Silvano.

Sucellos/Silvano da Torino e da Nimes
Due constatazioni per finire. La prima riguarda il "Maometto" di Borgone di Susa, piccola edicola votiva che il folklore locale attribuisce ai Saraceni è chiaramente una rappresentazione di Silvano/Sucellus. La valle è notoriamente territorio gallico e mi chiedo come dopo anni in pochi si siano accorti della somiglianza evidente, ovvia direi in questo territorio. Egli ha una corta tunica e un mantello, in basso a sinistra è visibile il cane, mentre, nonostante le intemperie lo abbiano consumato molto, mi sembra abbastanza evidente che una delle braccia sorreggesse un bastone o un martello. In effetti è una delle situazioni emblematiche in cui versano molti siti archeologici in Italia, specialmente quando siamo così lontani da Roma.

Il "Maometto" di Borgone di Susa

La seconda riguarda la sopravvivenza dei culti antichi nella religiosità popolare, argomento che mi affascina sempre più. A volte andiamo a cercare le teorie più fantasiose su libri scritti negli Stati Uniti o cose del genere. Vicino a casa mia c'è una chiesa dedicata a San Rocco, santo molto amato da queste parti per cui devo ammettere ho sempre avuto una certa simpatia per via della sua rappresentazione: un personaggio barbuto con un saio trasandato, un cane e il suo bastone da viandante. San Rocco è famoso per essere un taumaturgo, per essere vissuto tra il sud della Francia e il Nord Italia tra il 1346/50 e il 1376/79, nacque a Montpellier e morì a Voghera. La rappresentazione di cui parlo non sembra antichissima ma sicuramente è li da parecchi decenni e riprende altre rappresentazioni popolari del Santo, che evidentemente è andato nei secoli a sostituire un culto rurale che non andava sparendo. In un epoca in cui internet non poteva nemmeno essere immaginato è impressionante come l'immagine di un dio gallico legato alla foresta si sia tramandata fino ai giorni nostri nell'immagine di un santo legato alla campagna e che sia ancora oggi aggetto di culto per migliaia di cattolici che a livello razionale ne sono probabilmente ignari, ma che a livello simbolico ne mantengono vivo il culto nella società cattolico-materialista contemporanea.

La chiesa di San Rocco di Alessandria, la rappresentazione del Santo sulla facciata e il rilievo si Sucellos da Nimes



Bibliografia:
Dizionario di mitologia celtica (Italiano) di Miranda Green

Links:
http://www.treccani.it/enciclopedia/nantosuelta_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
https://earthandstarryheaven.com/2018/11/28/sucellos/

venerdì 20 dicembre 2019

Il Palazzo di Cozio, re celtico delle Alpi occidentali.

Sempre triste che di scoperte del genere si parli solo in 2 articoletti nascosti, comunque
da: https://www.lastampa.it/torino/appuntamenti/2011/01/03/news/ritrovato-il-palazzo-br-dell-antico-re-delle-alpi-1.36981626
e da: https://www.lavalsusa.it/scavi-archeologici-segusium-pubblica-la-nuova-mappa/


Dopo duemila anni Susa scopre sotto il suo castello i resti del palazzo del Re più antico del Piemonte. No, non era un Savoia. Era Cozio, figlio di Donno. Dal 13 avanti Cristo, per più di una ventina d’anni, fu sovrano delle Alpi che ancora portano il suo nome.Governava quattordici tribù celtiche, controllava i passi alpini e ne riscuoteva il pedaggio. La sua epopea ritrova attualità grazie a cinque anni di scavi archeologici, appena conclusidallaSoprintendenza guidatadaEgleMicheletto. Con il sostegno di Stato, Provincia e Comune di Susa, l’archeologo Federico Barello dal 2005 ha indagato i sotterranei e le pertinenze del castello segusino. Ha scoperto che le sue cantine voltate sono antichi ambienti romani, fondati sulla roccia. Con robusti pilastri sostenevano stanze in cui sono emersi resti di pavimentia mosaico. «Facevano parte del Palazzo di Cozio» assicura Barello. «Era un complesso di almeno 3500 metri quadri, su più piani. Dominava la strada che conduce al Monginevro. Vi si accedeva dalla scalinatamonumentale rinvenuta negli anni Trenta del Novecento dall’archeologo Carlo Carducci. Al piano terra vi erano magazzini e servizi, a quello superiore gli appartamenti. L’impianto fu modificato nel quarto secolo dopo Cristo, per trasformarlo in fortezza». E’ una storia che verrà raccontata al grande pubblico la prossima primavera, con una mostra curata dal Comune. Parlerà della dimora di un personaggio che seppe mediare fra cultura celtica e quella romana. «Gli storici Strabone e Damiano Marcellino - spiega Barello - narrano che quando Cozio vide arrivare le legioni di Cesare Ottaviano Augusto non solo seppe farsi rispettare, madivenne in seguito sincero amico del futuro imperatore, tanto da dedicargli l’arco di trionfo che dall’anno 9 avanti Cristo tutt’ora lo celebra. Augusto lo ricambiò. Ne fece il suo prefetto. Lo associò persino alla propria famiglia, la «gens Giulia», con il nome di MarcoGiulio Cozio». Fu un’alleanza che trasformò il villaggio originario di Cozio. Daborgo di capanne divenne la sua capitale: Segusio. In vetta al colle che la sovrasta sorse la reggia. Nel foro, l’odierna piazza Savoia, fu eretto il tempio che celebrava la divinità dell’amico Augusto. Nella città furono profusi i bianchi marmi che Cozio estraeva dalle cave di Foresto e Chianocco. Susa divenne patria di una dinastia locale, ma molto intraprendente, che ebbe discendenza fino al tempo di Nerone. «I figli di Cozio, Donno II e Cozio minore - ricorda Barello - ebbero interessi anche a Torino. Furono loro a finanziare la costruzione del teatro romano della città. Al padre defunto, verso il 13 dopo Cristo, offrirono una tomba monumentale, rintracciata a Susa nel giardino di casa Ramella, in piazza Savoia. Qui nel 1904 venne alla luce l’urna funebre del Re, oggi custodita dal museo civico». Nei pressi gli archeologi trovarono anche una testa di bronzo, oggi proprietà del Metropolitan MuseumdiNewYork. Raffigura un uomo con collo taurino, mascella squadrata, naso dritto, sotto uno sguardo fiero. «All’atto del ritrovamento - ricorda Barello - si disse che rappresentava Marco Vipsanio Agrippa,genero dell’imperatore Augusto e fondatore del Pantheon di Roma.Fului che mediò l’alleanza fra Ottaviano e Cozio.Ma uno studioso tedesco, Dietricht Boschung, oggi nega che sia Agrippa». Chi sarebbe?«Unpersonaggio importante di Segusio ». Potrebbe essere Cozio? «Nonci è pervenuto alcun suo ritratto. Ma è certo che quella testa è comparsa accanto alla sua tomba».

mercoledì 6 novembre 2019

Quando in Liguria deviarono l'autostrada per salvare una pietra magica.

Titolo un po' ad effetto ma veritiero per parlare del povero menhir di Varazze. "Povero" perchè lo vedremo dopo. E' noto che in Islanda anni fa deviarono una strada per non rimuovere una pietra magica che ancora oggi si credeva abitata dagli elfi. La storia fu ingigantita e divenne, specialmente in Italia una specie di leggenda metropolitana romanzata. In quel bel periodo tra la fine degli anni '90 e inizio dei 2000 in cui sulla scia di Bjork e poi Sigur Ros la cultura islandese raggiunse il resto del mondo cose del genere colpivano la fantasia degli Italiani a cui piaceva pensare agli Islandesi come popolazioni selvagge che quotidianamente parlavano con gli gnomi. In realtà non si trattava di un'autostrada (in Islanda vivono meno di 400.000 persone e certe statali non sono nemmeno asfaltate)ma di una statale e alla fine, dopo varie vicissitudini la grande pietra venne spostata come si può vedere da questa immagine sotto (ne potete trovare diverse cercando su google). Gli Elfi non penso abbiano gradito, ma non sto scrivendo di questo.


Ci spostiamo in Liguria, nel comune di Varazze, dove qualcosa di simile ma in scala più grossa è successo diversi decenni or sono. Proprio qui, al di sopra dei Piani d'Invrea si trova una zona ancora oggi conosciuta come Cian da Munega che in ligure significa campo delle monache, famoso nei secoli scorsi per gli avvistamenti delle fate (e delle streghe) che nel folklore locale si ritrovavano vicino alle pietre di questi prati magici che davano sul golfo. Si trattava di menhir (di cui la liguria era e in parte è ancora piena) o pietre erette che dir si voglia che risalgono alla preistoria. Quello giunto a noi è particolare perchè in seguito ad alcuni scavi effettuati negli anni 30-40 del '900 vennero scoperti alcuni reperti databili all'età del bronzo e del ferro facendone risalire la datazione almeno a quel periodo e eliminando le ipotesi di origine naturale o falsi. Il Menhir fu ufficialmente segnalato da M. Garea (Garea 1941 pp. 167‑172; 1957 p. 4; 1° p. 6; 2° pp. 93‑98) ed è stato più volte misurato e pubblicato (Mennevée 1965; Bernardini 1981. pp. 165‑167; Priuli & Pucci 1994 p. 142).


La parte interessante è che a metà degli anni '60 durante il periodo del boom ma anche della cementificazione e della privatizzazione del trasporto in Italia e in Liguria si rese necessario costruire l'autostrada Genova-Ventimiglia che sarebbe dovuta passare esattamente in questo luogo e avrebbe reso necessario la distruzione totale del sito. Questo, per quanto riguarda siti preistorici, o comunque non romani, si è verificato più volte nel nostro paese e si verifica purtroppo ancora oggi, senza troppi problemi. Per fortuna in questo caso grazie all'interessamento del sig, Mario Fenoglio, ispettore alla Soprintendenza Archeologica della Liguria il progetto venne modificato e, addirittura, il tracciato dell'importantissima autostrada venne deviato. Purtroppo sembra che il sito interessasse altre pietre e che scavi seri per trovare altro e mappare eventuali gruppi megalitici non vennero mai fatti e non si potranno mai più fare. Per fortuna però il menhir di Cian da Munega è stato conservato nel suo posto originale e possiamo andarlo a vedere ancora oggi. Ma ora arriviamo alla parte veramente triste della cosa. Come è conservato oggi il monolite e la zona?


Io ho visitato il luogo alcuni anni fa, un giorno di fine estate in cui mi trovavo ai Piani d'Invrea con alcuni amici. Salendo in mezzo a case e giardini privati non troppo belli, sono arrivato alla strada che collega l'autostrada a Varazze. Li ho incredibilmente trovato un cartello che indicava la posizione del menhir, purtroppo bisognava camminare lungo una statale molto pericolosa per un breve tratto e poi... poi si entra in una specie di parcheggio orrendo, in cui si trovano rimorchi in stato di abbandono rifiuti, preservativi usati e siringhe. Ero da solo e ho pensato di essermi sbagliato, invece facendomi forza ho provato a seguire delle scale in cemento armato coperte da erbe infestanti e li ho trovato il menhir. Che tristezza. Come spesso succede in Italia si fanno dei lavori per valorizzare qualcosa, ma l'unica cosa che si fa è usare del cemento, rovinare il luogo e forse comprometterne l'integrità archeologica e spendere soldi per alla fine abbruttire il posto. La cosa poi peggiore è che una volta fatti i lavori, si lascia andare tutto in rovina, tra incapacità delle amministrazioni, mancanza di fondi e menefreghismo della popolazione locale ormai completamente sradicata dalle sue radici. E dei reperti preistorici cosa ne è stato? Purtroppo tali reperti non sono mai stati pubblicati (Lamboglia 1947 p. 89) e giacciono inutilizzati presso il Comune di Varazze. Un esempio emblematico della mentalità e di come funzionano le cose in questo paese.


domenica 15 settembre 2019

Pietre e Druidi in Piemonte.

Nel post dedicato alle druidesse (LINK) avevamo già parlato di alcune storie e testimonianze riguardanti quelle piemontesi: La Druida di Malciaussia e quella di Mondovì, storia che risale addirittura al 1600, periodo storico bizzarro perchè in teoria i druidi erano ormai spariti da più di un millennio (ufficialmente) e perchè la rinascità inglese era ancora da venire. Ci sono comunque altre occasioni in cui la figura del druido ritorna nel folklore della regione, generalmente le storie sono legate a pietre e luoghi sacri, come quello della Pietra della Vita di Oropa (Biella) di cui abbiamo parlato tante volte (LINK), luogo sacro precristiano e preromano. I culti di origine celtica animistica riguardavano non solo le pietre, ma anche i corsi d'acqua e la fonte che qui ancora oggi si trova e se questo è oggi dato per certo, non ci sono prove che proprio qui si trovasse un gruppo di druide e druidesse come vuole la leggenda.


Un altro luogo sul quale abbiamo già speso diverse parole è Crea (Alessandria - LINK), con il suo santuario cristiano. Come abbiamo visto anche qui si trovava un luogo di culto precristiano, di cui ci sono arrivati echi e testimonianze di un celtico. Sia il nome (Crea) che la presenza di scritte incise dedicate a San Cornelio fanno pensare ad un luogo in dedicato a Cernunnos. Anche per quanto riguarda questo posto ci sono storie che parlano di confraternite di druidi che sopravvissero all'arrivo dei romani e che poi man mano si trasformarono in frati cristiani con i secoli.


Sangano (Torino) poi si trova la famosa Pera D'le Sacoce (tasche in piemontese), una pietra ricoperta di grandi coppelle particolari. Di esse infatti non si conosce l'esatta origine, differiscono per vari motivi dalle altre pietre coppellate, sono più grandi, non sono piane e alcuni pensano si tratti di strani fenomeni di erosione naturale. Quello che è certo è che i pastori le usavano per le loro offerte ancora il secolo scorso e che la pietra aveva una grande importanza per gli abitanti della zona. Essa fu una delle primissime pietre incise ad essere catalogata e descritta in Italia nel 1881. Parliamo di questo masso erratico perchè è uno dei famosi massi dei Druidi sparsi per il territorio, così chiamati perchè già all'epoca della sua scoperta da parte del Piolti, questo masso veniva considerato di "origine sicuramente druidica".



Un'altra pietra che ci interessa è quella che si trova a Moncalieri (Torino) detta Roc di Santa Brigida ma conosiuta anche come Pietra dei Druidi. Si tratta di un'altro masso erratico che si trova sulla collina di Torino, un tempo oggetto di culto litico poi cristianizzato e associato alla Santa. Un tempo vicino ad essa era stata costruita una cappella dedicata alla stessa santa ed è curioso notare che proprio Brigida era la cristianizzazione della dea celtica Brigid, Brig molto conosciuta nell'Irlanda precristiana ma anche sulle alpi (da cui ad esempio il nome di Brig / Briga). Questa pietra come le prime due è un'altra delle famose "Pietre Guaritrici" del Piemonte, essa infatti farebbe nascere i bambini sani e guarire le donne sterili appoggiandovi il ventre sopra.


mercoledì 3 luglio 2019

Cosa fare se trovi un rondone per terra. Recupero LIPU.

Ricordiamoci sempre che aiutare gli altri, specialmente chi non può nemmeno chiedere aiuto come gli animali, fa bene anche a noi stessi. Chi ha salvato un animale (o in generale ha dato una mano a qualcuno) sa benissimo quanto si stia bene dopo.

RICONOSCERE UN RONDONE E' SEMPLICE, NON PUO' STARE SULLE ZAMPE E HA UNA FORMA PARTICOLARE (vedi foto)

In questo periodo dell'anno, da giugno in poi, si verifica sempre più spesso una emergenza per quanto riguarda i rondoni e altri uccelli. Il problema dei rondoni è che anche se adulti non, non sono fatti per stare per terra. Essi volano possono volare per mesi e addirittura dormire in volo, hanno zampe piccole e adatte solo ad aggrapparsi. Se toccano il suolo non possono più volare ed è necessario metterli in salvo. Se sono adulti a volte basta portarli in un parco (non fatelo su un terreno duro come l'asfalto o il selciato) e provare a lanciarli, se riescono a prendere il volo è fatta. Di solito però non è così semplice, infatta si tratta di giovani, quasi adulti non ancora pronti per volare che sono caduti.


Dalla metà di giugno capita spesso di trovare dei piccoli di rondone caduti dal nido. I pulli dei rondoni, quando sono cresciuti abbastanza per muoversi liberamente, specie nelle giornate molto calde o quando hanno fame, si affacciano dai nidi e a volte si lanciano prima del tempo. Quando succede cadono a terra e non riescono più a volare. In questa situazione hanno bisogno di essere aiutati e certamente tutti possono fare qualcosa.

LA COSA MIGLIORE DA FARE E' CONTATTARE UN CENTRO DI RECUPERO (PER ESEMPIO LIPU) E PORTARLO A LORO. Non è facile adottare un piccolo rondone, in oltre è molto pericoloso se avete dei gatti in casa o nelle vicinanze. Oltre alla LIPU, potete cercare anche i C.R.A.S. (Centro Recupero Animali Selvatici) o contattare l'E.N.P.A. Ricoradatevi sempre che avete a che fare con dei volontari che usano il loro tempo per aiutare gli animali, siate gentili. Nel caso sia impossibile consegnarlo a qualcuno di preparato qui ci sono alcune informazioni utili. 

QUI SOTTO UN VIDEO UTILISSIMO:




Primo soccorso:
Questo è importante anche se pensate di consegnarlo ad un centro specializzato. Nell'attesa è bene infatti  fornire un primo soccorso al nidiaceo, dargli da bere e sfamarlo. Una scatola da scarpe, areata, è l’ideale come ricovero, basterà adagiarvi sul fondo uno straccio, della carta assorbente e riporla in un luogo poco rumoroso , così da imitare le condizioni ambientali del nido. Per reidratarlo sarà sufficiente dargli dell’acqua con una siringa senza ago o anche con il dito, facendo gocciolare l’acqua ai lati del becco. Per dare energia al povero volatile è utile anche aggiungere un pochino di zucchero nell'acqua.


Sistemazione del piccolo di rondone:
Si può usare una scatola per scarpe di dimensioni sufficienti affinché i piccoli non si rovinino le lunghe ali, rivestendo il fondo NON con carta, ma con stracci (privi di pericolosi filamenti) o meglio truciolato di legno, da tenere sempre molto molto pulito: le penne che si sporcano vengono danneggiate dagli urati compromettendone la funzionalità in volo. Per questo motivo non è mai possibile liberare un rondone con il piumaggio brutto o sporco! (ricordate che dalla pulizia del piumaggio dipende la sua sopravvivenza nei cieli). Tenere la scatola con il rondone in ambiente caldo (25°-30°C), tranquillo, lontano da rumori, fumo, umidità e copritela con un telo per garantire un po' di oscurità.

Alimentazione:
La cosa è un po' complicata, infatti questi uccelli sono insettivori, non dare assolutamente semi o pane. È assolutamente indispensabile fornire ai piccoli di rondone una alimentazione adeguata, per aumentare le possibilità di sopravvivenza. Il cibo ideale è rappresentato dai seguenti insetti:

grilli: sono probabilmente il cibo più indicato per allevare i piccoli di rondone, possono essere acquistati vivi o surgelati nei negozi di animali o su internet. Se i piccoli di rondone sono deboli o molto piccoli è meglio alimentarli ogni mezz’ora/ora con 1-2 grilli a volta, altrimenti anche solo 6 volte al giorno con 12-14 grilli per pasto.

Camole del miele: possono essere acquistate nei negozi di pesca, sono molto energetiche e l’ideale sarebbe alternarle ai grilli ma non superare una dose di 4/5 al giorno.

Camole della farina: anch’esse si acquistano nei negozi di pesca, ma non sono un cibo molto adatto in quanto contengono delle sostanze che alla lunga possono danneggiare i piccoli rondoni. Meglio quindi non superare le 2 al giorno.

Altri insetti: mosche, farfalline, piccoli ragni, possono essere catturati ad integrare l’alimentazione dei pulli. In casi di emergenza è possibile alimentare i rondoni con carne trita o con un omogenizzato di carne (da somministrargli con una siringa senza ago), ma massimo per un paio di giorni in attesa di nutrirli con una dieta a base di insetti. Se i piccoli non aprono la bocca da soli, sarà necessario alimentarli in modo forzato, aprendogli delicatamente il becco con un’unghia.

QUANDO L'UCCELLO E' ADULTO E PUO' ESSERE LBERATO?



I piccoli Rondoni dovranno essere messi in libertà solo quando il piumaggio sarà completo e le ali chiuse supereranno la coda di un paio di centimetri. Il momento della liberazione è evidenziato da alcuni segnali:

  • il rondone si agita molto, soprattutto di sera e fa molti esercizi con le ali; 
  • mangia sempre di meno (anche in natura rifiutano il cibo dei genitori, quando sono pronti per volare); 
  • alla base delle penne delle ali non vi sono più gli astucci bianchi di cheratina. Questo significa che la penna ha finito di crescere; 
  • il rondone pesa intorno ai 35-42 grammi. Le ali sono lunghe e i pettorali forti e tondi 
Esercitarli a battere le ali per formare i muscoli pettorali e abituarli al volo: basta prenderli dalle zampe (tra 2 dita con il dorso dalla mano verso l'alto) e abbassare la mano verso il suolo. Al momento della liberazione lanciarlo in alto da una posizione panoramica o in un prato abbastanza ampio, in una mattina soleggiata e priva di vento, preferibilmente dove volano altri rondoni. Potrebbe essere necessario eseguire più tentativi, ed a volte occorrono alcuni giorni di "allenamento". Ricordiamo ancora che non è mai possibile liberare un rondone con il piumaggio brutto o sporco!

Abbiamo preso gran parte delle informazioni da qui:
https://wwf.lecco.it/sos-rondone.html - tra i link della pagina trovate altre informazioni utili per altri animali da soccorrere.

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Centri di recupero:
LIPU - http://www.lipu.it/centri-recupero-animali (per esperienza quello di ASTI è eccezionale se siete nelle vicinanze).
ENPA - http://www.enpa.it/it/ricerca-sedi.aspx
CRAS - WWF - https://www.wwf.it/regioni/


lunedì 17 giugno 2019

LE CENERI DEGLI STATIELLI "La necropoli dell'età del ferro di Montabone"

Gli Statielli erano una delle popolazioni Celto-Liguri preromane che abitavano grosso modo il territorio occupato dalla provincia di Alessandria e di Asti a sud del Tanaro e abbiamo parlato della loro resistenza ai romani e del loro genocidio qui:
http://leradicideglialberi.blogspot.com/2019/03/linvasione-romana-della-gallia.html

Il I Giugno ha inaugurato l'interessantissima mostra "LE CENERI DEGLI STATIELLI" al museo archeologico di Acqui e resterà aperta fino al 23 febbraio 2020, sulla necropoli a tumuli di Montabone. La Necropoli fu scoperta nel 2008 in occasione della costruzione del metanodotto Snam Rete Gas Mortara-Cosseria. Le indagini archeologiche ( 2008-2010) hanno interessato l'intero sepolcreto, composto da 17 sepolture. La necropoli di Montabone, riferibile ad una comunità di Ligures Statielli, l'antico popolo preromano che nel I millennio a.C. abitava il territorio dell'Alessandrino, è molto importante per la conoscenza della seconda età del Ferro nel Piemonte meridionale, in quanto è stata ritrovata intatta ed è stata indagata con le metodologie di scavo e di documentazione più aggiornate. Lo studio dei corredi è stato accompagnato da una serie di analisi che forniscono molti dati non solo sui rituali funerari di questa comunità, ma anche circa l'ambiente in cui viveva ed il suo tenore di vita.

Interessante il fatto che alcune di queste tombe risalgano al I secolo a.c. e quindi dimostrano che nonostante il genocidio, le deportazioni e la fondazione di Aquae Statiellae (oggi Acqui Terme) nella seconda metà del II sec. a.c. sulla loro capitale Carystum, la romanizzazione fu tarda e incompleta. Al di fuori delle mura urbane le popolazioni locali continuavano a vivere secondo i loro usi e costumi.

Visto che al momento non è disponibile un catalogo abbiamo pensato fosse utile pubblicare le foto della mostra e di tutti i cartelli esplicativi, veramente interessanti. Aprire e salvare le immagini in alta risoluzione per leggere i testi.





















Un'intervista con la grande archeologa Marica Venturino al riguardo della mostra (da La Stampa 17 Febbraio 2020):

La sua esperienza e soprattutto il valore dei reperti di questo sito archeologico sono raccontati nel libro «Le ceneri degli Statielli. La necropoli della seconda età del Ferro di Montabone», che è stato presentato a Palazzo Levi, ad Acqui Terme. La città ha dedicato ai reperti appartenuti ai Liguri Statielli l’omonima mostra visitabile nel Civico Museo Archeologico fino al 23 febbraio.

«La necropoli – spiega Venturino – si trovava a una profondità di due metri e non sarebbe mai emersa se non grazie allo scavo del gasdotto costruito dalla Snam. Venne notato uno strato di terra annerita e sbancando l’area emersero diciassette urne cinerarie, vasi in ceramica usati per le ceneri dei defunti. Si è poi scoperto che l’area veniva sacralizzata dagli Statielli diffondendo sul terreno le ceneri dei roghi usati per la cremazione, venivano poi creati dei circoli fatti con le pietre intorno ai pozzi scavati nel terreno, dove venivano poi posate le urne». L’inverno 2008-2009 fu particolarmente rigido e gli scavi per forza di cose rallentarono. Due anni dopo però il restauro iniziò insieme alle analisi dei reperti: vasi, anfore, punte di lancia, fibbie, spille e spade, tessuti e piccole perle di vetro.

«Fu eccezionale – racconta ancora l’ex funzionaria della Soprintendenza - scoprire su queste perle, grandi pochi millimetri, una piccolissima incisione in alfabeto celtico. Era un sito praticamente intatto, l’unico scoperto nel territorio piemontese riferito a questo popolo. Grazie a un gruppo di lavoro esteso, al quale hanno preso parte anche il Museo delle Civiltà di Roma, le Università di Roma Sapienza e di Padova e la città di Acqui Terme, siamo riusciti a ricavare molti dati sui Liguri Statielli, sui quali le fonti storiche ci dicono pochissimo». Per questo, dice ancora Marica Venturino, «l’archeologia è importante poiché, come nel caso di questo popolo e in particolare della comunità di Montabone, nulla sapevamo». Si è invece riusciti a comprendere come venivano sepolti i defunti e riti che venivano celebrati sulla necropoli.

Il volume, come ricordano dal Comune di Acqui Terme, nasce dalla collaborazione tra la Soprintendenza Archeologia per le province di Alessandria, Asti e Cuneo e la città di Acqui Terme ed è stato realizzato con il contributo del Comune di Montabone, de Lo Studio srl e di Snam Rete Gas, che nel 2008 aveva contribuito economicamente anche agli scavi archeologici. Il volume, edito da DE Ferrari, è uno dei punti del progetto di valorizzazione dei reperti di Montabone insieme alla mostra.

«La storia si ricostruisce – dice l’assessore comunale alla Cultura, Alessandra Terzolo – leggendo le fonti oppure studiando i frammenti del passato, come è avvenuto a Montabone. Questo volume ci permette di riportare alla luce le testimonianze di antiche civiltà e sono molto orgogliosa che il Comune di Acqui Terme sia stato tra i promotori di questo determinante progetto di valorizzazione che ha permesso di ricostruire la storia di una comunità di Liguri Statielli. Ho potuto conoscere l’impegno e la passione della dottoressa Marica Venturino, che voglio ringraziare insieme alla Soprintendenza e al Civico museo archeologico di Acqui».

mercoledì 5 giugno 2019

3) L'albero Sacro: Meditazione e offerte.

La terza e ultima parte di questo speciale dedicato all'Albero Sacro è dedicata al nostro rapporto pratico spirituale con gli alberi.

Offerte ad un albero sacro in Val Curone.
La terza e ultima parte di questo speciale dedicato all'Albero Sacro è dedicata al nostro rapporto pratico spirituale con gli alberi. Come abbiamo già detto c'è qualcosa che collega il culto degli alberi, delle fonti, ma anche delle pietre per esempio. Sono elementi naturali che caratterizzano anche un luogo. Sono spiriti essi stessi, ma posso essere abitati da spiriti e divinità oppure essere un punto dove essi stessi si incontrano con più frequenza, oppure ancora elementi che indicano o che crescono in un particolare luogo. Di solito sono tutto questo insieme. Credenze del genere sopravvivono in molte aree primitive, fanno parte dei culti animisti. Ma un esempio più concreto e adatto a noi è quello che succede in Giappone. In una società evoluta e tecnologica, lo scintoismo (che praticamente è il loro paganesimo e conserva una impressionante similitudine con quello che erano i culti precristiani in Europa e che avevamo visto troppo velocemente qui: https://leradicideglialberi.blogspot.com/2010/07/shintoismo-e-paganesimo_8908.html) venera i Kami che possono essere alberi o fonti o qualsiasi altra cosa o che vivono in essi. Eppure, senza che noi ce ne rendiamo conto, in alcuni casi questo tipo di credenze sopravvivono anche qui. Nascoste tra il cristianesimo popolare o nel folklore.

Una sorgente sacra con offerte tra i rami nell'Irlanda dei primi anni '70.
Uno dei metodi più classici di portare offerte agli alberi è quello di annodare una fettuccia di stoffa ai suoi rami. Quando si chiude il nodo si esprime un desiderio, o più semplicemente si fa una dedica o un ringraziamento a quell'albero o agli spiriti che lo abitano. Un altro tipo di offerta, che di solito però riguarda gli alberi morti, è quello di attaccare un piccolo altare, una casetta per gli spiriti affinché trovino rifugio ora che la loro dimora materiale è morta e così non abbandonino quel luogo.

Casette per gli spiriti e offerte su un pino morto in Val Curone.
Una cosa importante è quella di condannare inequivocabilmente ogni tipo di sacrificio cruento. E' certo che i nostri avi praticassero sacrifici umani e animali, ma per fortuna ci siamo evoluti e pratiche del genere sono da considerare stupide oltre che orribili ed incivili (e illegali anche). Di questo parleremo un giorno più approfonditamente, ma baste pensare in quale modo un Dio dovrebbe apprezzare il sangue di una creatura che lui stesso ha creato e che molte volte è più sacra di chi effettua il sacrificio? In quale modo uccidere e fare violenza su qualcun'altro dovrebbe portare benefici a chi effettua il sacrificio? Si possono portare tantissime offerte, frutta, biscotti, oggetti, l'importante è che questi siano biodegradabili e non danneggino quel luogo naturale. Il druidismo è prima di tutto una forma spirituale ecologica, non dimentichiamolo mai! In oltre portando frutti o cibo come offerte possiamo simbolicamente fare offerta all'albero e praticamente fare un offerta agli spiriti che fisicamente popolano quei luoghi come uccelli, roditori e altri animali o anche per le creature del piccolo popolo forse. Ma proseguiamo.

MEDITAZIONE: La forma di meditazione più diretta e praticata è quella del tree-hugging, ossia l'abbracciare gli alberi o  per chi è timido di appoggiare le mani su di essi e ascoltarli. Per chi è ben disposto è possibile entrare in contatto con essi e scambiare le energie. C'è addirittura chi pratica il Reiki con essi, quello che è sicuro, che se ci crediamo i risultati sono tangibili e a volte impressionanti sullo nostro benessere psicologico. La forma di contatto forse più estrema è quella di chi pratica dei "quasi-rapporti" sessuali con essi. Non c'è però da stupirsi, sappiamo che queste pratiche erano normali in epoca precristiana anche con le "pietre della vita" in Piemonte e ne abbiamo memoria in epoca medioevale e rinascimentale come pratiche delle streghe in tutta Europa.

Non solo hippies occidentali: "tree huggers" (abbracciatori di alberi) in Bhutan.
Ci sono molti tipi di meditazione basati sul rapporto con gli alberi. Quello che andiamo a presentare qui è strettamente legato al druidismo e in particolare a quello cisalpino. Ne abbiamo infatti testimonianza attraverso il testo che abbiamo usato per questa serie di post, una dispensa distribuita ad un incontro avvenuto nel 1982 a Vignale. Anche se erano già gli anni '80 sembra ancora forte l'influenza del periodo hippy del decennio passato con legami all'oriente, eppure si parla di un testo di un vecchio druido vissuto da queste parti nella prima metà del XX scorso (druido o mascone? o forse entrambi?). In ogni caso è molto simile ad altre meditazioni che si trovano su libri anglosassoni sull'argomento e noi lo usiamo da anni. Per iniziare  meglio trovare un posto tranquillo in cui ci sia un albero che ci sembra "amico". Con amico si intende con una certa energia, una bella corona di alberi, un fusto abbastanza grande. Non è essenziale, ma all'inizio aiuta molto. Ci avviciniamo e cerchiamo di capire se l'albero è d'accordo, se ci sentiamo quindi benvenuti.

Un albero durante una nevicata fuoristagione. Una pianta del genere può essere adatto.
Se la stagione lo permette possiamo toglierci le scarpe per semplificare il contatto con la terra. Questi esercizi sono più facili per chi ha dimestichezza con la meditazione e le tecniche di rilassamento in genere, ma con un po' di pazienza ed esercizio tutti possono farcela. Posizioniamo bene i piedi, in modo che siano ben stabili. A quel punto possiamo chiudere gli occhi e, stando ben dritti sulla schiena iniziamo ad immaginarci parte della terra che stiamo calpestando. Dai nostri piedi e dalle nostre dita partono delle radici che affondano del suolo. Bisogna proprio sentire l'energia che scorre dai nostri piedi alla terra e viceversa, come se fossimo un albero, siamo dritti e solidi. Capiamo che, esattamente come gli alberi, stiamo diventando un tramite tra la terra e il cielo.

Un disegno semplificato di come dobbiamo sentirci.
Respiriamo lentamente e profondamente, ma senza sforzare, sentiamo che ci stiamo distaccando da questa realtà, con gli occhi chiusi, sentiamo l'ambiente esterno, percepiamo la luce del sole, o della luna, ma allo stesso tempo ci stiamo allontanando dalla realtà di tutti i giorni. Quando siamo pronti alziamo le braccia al cielo, con la schiena solida e dritta come il tronco di un vecchio faggio: le nostre braccia si alzano e le mani si aprono. Dalle nostre dita partono dei rami e sentiamo l'aria che passa tra di essi. Sono rami fatti di energia, sono una protesi dei nostri arti superiori. Sentiamo l'aria che fluisce dentro di noi donandoci forza e ogni volta che espiriamo doniamo energia a tutto l'universo e a tutti gli esseri senzienti che lo popolano. Ad ogni inspirazione diventiamo più forti e puri, ad ogni espirazione emaniamo energia ed aiutiamo l'universo e tutti i suoi abitanti.

Dalle nostre mani spuntano rami.
 Con le braccia aperte verso il cielo, le mani e le dita anch'esse aperte, i nostri rami che partono verso il cielo e gli occhi chiusi guardiamo con la nostra mente la luce cosmica che può arrivare dal sole, dalla luna, dalle stelle, oppure dal nostro sole interiore. Questa luce ci riscalda, prima coprendoci con i suoi raggi dorati, poi ci pervade e ci troviamo completamente immersi in questa tepore luminoso. In pace con l'universo siamo diventati noi stessi un albero. E ci rendiamo conto che stiamo benissimo. Possiamo stare così tutto il tempo che vogliamo: 2 minuti o 10, 20, come ci sentiamo. Poi quando siamo a posto apriamo gli occhi, rilassiamo le braccia e con calma torniamo "reali". Possiamo fare questo esercizio veramente quando e dove vogliamo, anche se inizialmente è più semplice farlo al cospetto di un albero vero. Con il tempo potremo farlo anche in casa. Importante sapere che per avere successo quando si fanno esercizi del genere, bisogna essere fiduciosi, sapere che se vogliamo, questa meditazione riuscirà davvero a farci stare meglio. Non ci sono regole ferree: ognuno con il tempo si crea le sue immagini, trova il suo posto e i suoi tempi. Si può fare di giorno o di notte, magari al tramonto. Alcuni preferiscono praticare da seduti e a quel punto le radici partiranno da tutta la parte bassa del corpo, oppure no, come uno si sente. Se il nostro viaggio funziona davvero è probabile che tutto avvenga automaticamente, noi dobbiamo solo guardare. Addirittura a volte è possibile trovare il nostro maestro psichico e non dobbiamo fare altro che sentire cosa ci dice.

Un'immagine simbolica di una meditazione seduta sull'albero con i 7 chakra. 
IMPORTANTE: per questo testo abbiamo usato dei termini che a qualcuno potrebbero dare fastidio o mettere in imbarazzo. "Energia", "Corpo fisico", "Viaggio" ci rimandano subito a certe esperienze New Age poco serie, racconti strampalati. Il fatto è che certi termini ci aiutano a spiegare un tipo di pratica e di sensazioni che altrimenti sarebbe difficile comunicare. E' importante riuscire a rompere quel tipo di pregiudizi per riuscire veramente ad entrare in questo stato meditativo ed avere dei risultati.

Esercizio tratto dalla dispensa "Druidismo Cisalpino Antico e Moderno" Vignale 1982, rivisitato e aggiornato. 

La versione video di questo esercizio:

lunedì 15 aprile 2019

2) L'albero Sacro: La mitologia degli alberi.

Gli alberi e la mitologia. Tutti i popoli antichi consideravano gli alberi sacri, basti pensare all'Albero della Vita nelle varie tradizioni. Tra gli indiani d'America gli alberi erano quasi intoccabili, certe tribù usavano come legna da ardere e per costruire attrezzi, solo quella dei rami spezzati o di alberi abbattuti dalle forze naturali. Ovviamente l'albero e soprattutto la quercia, era un essere talmente sacro per le popolazioni celtiche, che il nome del Druido deriva proprio dall'unione delle parole Dru (Quercia) e la radice Vir o Wid (Saggio) che come in molte altre lingue indoeuropee è collegata alla conoscenza e al Vedere appunto. I Greci trovavano nei boschi i loro dei e gli alberi avevano le proprie Driadi, il cui nome appunto rimanda a quello dei Druidi. I Germani eseguivano sacrifici umani alle foreste (purtroppo) basti pensare alla foresta di Uppsala.

Sacrifici umani nella foresta di Uppsala.
Anche per i romani albero e foreste erano sacri, come per i loro cugini Celti e per i Greci. Ad un certo punto però, a causa della loro razionalità si trovarono a vederli principalemnte come materiale da costruzione e come un ostacolo all'agricoltura e al pascolo e fu così che iniziarono a deforestare l'Europa. Prima l'Appennino centrale, poi Balcani, Spagna e l'enorme foresta che copriva l'Italia del Nord. Le immense foreste di Querce della Germania alla fine stupirono talmente i Romani da indurre Plinio il Vecchio a scrivere nella sua Naturalis historia: “Le querce per la loro smisurata invadenza nel crescere occupano addirittura il litorale e, a causa delle onde che scavano la terra sotto di esse o del vento che le sospinge, si staccano portando con sé grandi isole costituite dall’intreccio delle loro radici: restano così dritte, in equilibrio, e si spostano galleggiando. La struttura dei grossi rami, simile a un armamentario velico, ha spesso creato lo scompiglio nelle nostre flotte quando le onde sospingevano questi isolotti, quasi di proposito, contro la prua delle navi alla fonda di notte; ed esse, non riuscendo a trarsi d’impaccio, ingaggiavano uno scontro navale contro delle piante. Sempre nelle regioni settentrionali la selva Ercinia con le sue querce di enormi dimensioni – lasciate intatte dallo scorrere del tempo e originate insieme con il mondo – è di gran lunga, per questa condizione quasi immortale, il fenomeno più stupefacente. Per non stare a menzionare altri fatti che non suonerebbero credibili , risulta effettivamente che le radici, arrivando a fare forza l’una contro l’altra e spingendosi indietro, sollevano delle colline; oppure, se il terreno non le segue spostandosi, s’incurvano fino all’altezza dei rami e formano degli archi a contrasto come portali spalancati, tanto da lasciare il passaggio a squadroni di cavalleria.”

Foresta antica.
Il momento peggiore però arrivò con la cristianizzazione forzata dell'Europa. I pagani continuavano ad essere la maggioranza della popolazione fuori dalle città, non era facile contrastare credenze e divinità che avevano persistito per millenni. Pagano, per l'appunto, deriva da “pagus” villaggio. Sembra che già ai tempi della Roma che noi chiamiamo pagana, i romani chiamassero “pagani” gli abitanti delle campagne che seguivano culti naturalistici e animistici che erano difficilmente comprensibili anche da loro. Non adoravano Giove (Zeus) o Apollo, o almeno, non soltanto, ma miriadi di divinità, spiriti ed elementi naturali come gli alberi, le montagne e i corsi d'acqua. Papi e vescovi quindi, in epoca cristiana, si scagliarono contro l'adorazione degli alberi e delle pietre con editti e bolle che finirono per scatenare una vera e propria furia distruttrice nei confronti di essi. Con le pietre bisogna dirlo, fu un po' più difficile e alcune di esse sono giunte fino a noi, magari cristianizzate con il culto dei santi locali. L'ultimo grande albero sacro fu abbattuto molto tardi: ancora durante il XII secolo nei paesi baltici, molti popoli erano ufficialmente pagani. Per questo ci furono le famose crociate del Nord. L'ultimo grande santuario, quello di Romuva, era costituito da un antichissimo ed enorme albero circondato da mura al centro dell'omonima città. Esso venne purtroppo abbattutto tra il XIII e il XIV secolo dai crociati. C'è da pensare a cosa ci siamo persi!

L'Albero prima della Cattedrale nell'Europa Medievale. Il Santuario di Romuva in Lituania.
Bisogna riportare però anche una bella ed interessante eccezione legata ad un santo di cui abbiamo già parlato (qui: https://leradicideglialberi.blogspot.com/2018/05/san-colombano-meroveo-e-la-persistenza.html). San Colombano un Santo Cristiano Irlandese vissuto tra il VI e il VII secolo, che oltre ad essere stato uno dei cristianizzatori dell'Irlanda fu lo stesso per le nostre zone dove infatti è conosciuto come San Colombano di Bobbio. Egli è un incredibile punto di contatto tra l'Irlanda e il nostro nord ovest, tra il druidismo irlandese e il nostro. Molto amato, si formò a Bangor in cui i monaci si coprivano con una veste bianca con cappuccio fatto che li rendeva simile ai monaci orientali ma anche ai druidi e rendeva più facile la loro opera di evangelizzazione nelle campagne. In ogni caso durante la pulizia di un antico bosco sacro ai pagani nel Derry costruì il suo primo monastero con la navata diretta a Ovest invece che a Est come facevano i cristiani, ma soprattutto si rifiutò di abbattere anche sola singola quercia sacra del santuario scrivendo queste parole:

Io amo la mia bellissima Derry,
La mia Derry,
I miei meravigliosi alberi di quercia,
La mia cara piccola cella e dimora;
O Dio nel paradiso superiore
Lascia chi la profana sia maledetto.

Ci sono così tanti riferimenti alle pratiche druidiche e ai rituali nelle storie popolari che lo riguardano che è impossibile non vedere in lui un maestro e un leader impregnato dalle antiche tradizioni. (1) 
Ed egli fu colui che realmente cristianizzò (non ancora definitivamente) le nostre campagne.

...Tratto dalla dispensa "Druidismo Cisalpino Antico e Moderno" Vignale 1982.
(1) Tratto da "Celtic Miysteries" by John Sharkey - Thames and Hudson 1975

sabato 13 aprile 2019

1) L'Albero Sacro: Come trovarlo.

Come trovare un albero sacro. Prima di tutto bisogna dire che nessun albero è più sacro di un altro. Ogni albero, ogni pianta, ogni filo d'erba è sacro. Tuttavia un albero antico, un albero particolarmente grande, con caratteristiche particolari oppure un albero che emana un'energia particolare o che sentiamo essere in sintonia con noi per vari motivi può diventare “l'albero sacro”. In pratica, noi decidiamo di eleggere un certo albero simbolicamente perché non possiamo omaggiarli tutti, sarebbe impossibile. Ce ne possono essere diversi: uno vicino a casa, uno dove passiamo il nostro tempo libero, uno in montagna... e così via.

Un bellissimo cedro a Vignale Monferrato (AL)

Ma come troviamo quindi il nostro albero sacro? Quando ci dedichiamo a questo tipo di attività, mettiamo da parte le nostre conoscenze scientifiche, non perché questa attività vada contro alla scienza ma perché non ha nulla a che fare con essa e con la razionalità. Quindi dobbiamo essere razionali nel senso che non dobbiamo fare niente che possa danneggiare l'albero e l'ambiente in cui ci troviamo, ma questo tipo di cose appartengono evidentemente al campo della spiritualità. E molte volte riguardano solo noi stessi, da soli. Sarebbe difficile spiegare veramente certi pensieri e certe sensazioni a chi non ne vuole sapere e quindi restano soltanto nostre. Anche un ingegnere si può occupare di una cosa del genere semplicemente perché sono due mondi separati. Ma arriviamo al punto: molte volte non dobbiamo cercare il nostro albero sacro, lo troviamo e basta. Quando ci troviamo nella foresta, o in un campagna, oppure in un parco urbano vediamo un albero e capiamo che quell'albero è speciale. Probabilmente alcuni l'albero sacro lo conoscono già. Lo vedono da quando erano bambini o da quando hanno cambiato casa o sono passati nelle sue vicinanze, quindi sarà proprio quello, magari ve ce ne siamo dimenticati, ma lo conosciamo già. Questo è successo molte volte, prima dei tempi in cui certi “cristiani” iniziassero una vera crociata contro la natura, ogni bosco, ogni foresta aveva il suo albero sacro. In realtà succede ancora oggi molte volte, ma in modo non ufficiale. E gli alberi santi, sono considerati veri e propri dei viventi in paesi extraeuropei come il Giappone, l'India e non solo. Lo Shintoismo conserva caratteri antichissimi e considera sacro ogni aspetto della natura, dalle Montagne alle Stagioni stesse. In effetti a volte sarebbe più saggio rifarsi a culture del genere che a pseudo movimenti pagani moderni che magari sono stati inventati negli stati uniti senza alcun collegamento reale agli "antichi".

Un albero sacro a Kyoto, Giappone 2018.
Quindi: trovare un albero sacro è un processo molto simile a quello di trovare una fonte sacra, una pietra o altro con alcune peculiarità. Sicuramente, se siete arrivati fino a questo punto, vi sarà capitato di vedere visto un albero particolare e di aver pensato che fosse speciale. Magari lo avete incontrato durante un viaggio, ma in questo momento o sarebbe meglio trovarne uno più vicino, in un posto che potete raggiungere facilmente, magari a piedi o in bicicletta, sarebbe la cosa migliore poterci arrivare senza rinchiudersi nell'abitacolo di una macchina. Potrebbe essere anche nel parchetto sotto casa vostra, ma un consiglio è quello di trovarne uno in una posizione tranquilla in cui ci si possa fermarsi, sedersi, in cui quindi se non amate essere osservati, possiate anche trovare qualche momento di solitudine, almeno in certi orari. Se non avete già in mente un albero adatto, potete uscire a cercarlo. Ancora una volta, non dev'essere una ricerca impegnativa, l'albero sacro si presenterà da solo, basta avere pazienza.

La sfera "aura" di un albero
Una volta trovato un albero adatto, bisogna avvicinarsi e sentire se a questo punto lui vi accetterà. Ribadisco che non stiamo parlando di processi scientifici, ma magici, di pure sensazioni. Lasciate perdere i vostri pensieri razionali, come quando guardate un concerto, un film o un evento sportivo. Ci troviamo nella sfera dell'irrazionalità. Sentire se siete accettati dall'albero che avete trovato è molto semplice. Fermatevi ad una certa distanza, una distanza che sentite voi, come quando parlate con una persona che non conoscete, ma che se non riuscite a quantificare potrebbe essere riferibile alla sfera ideale formata da rami e foglie e che idealmente continua fino alle radici. Con calma e tranquillità assoluti, non bisogna farsi nessun problema, non bisogna avere fretta, aspettiamo di sentire che l'albero ci lasci entrare. Potrebbe succedere che quel giorno non succeda niente e allora torniamo un'altra volta, oppure se lo sentiamo, cerchiamo un altro albero. Una volta entrati nel suo spazio magico, possiamo toccare la corteccia, magari abbracciarlo e a quel punto sentire se è l'albero adatto a voi e se voi siete adatti ad esso. Da quel momento, quello sarà l'ALBERO SACRO. La pianura padana e gran parte dell'Europa erano completamente coperte da boschi e foreste senza fine. Si dice che ancora prima dell'anno 1000, uno scoiattolo potesse andare da Roma a Parigi senza mai scendere a terra. Oggi purtroppo non è più così, ma si ci pensate un albero non troppo lontano da casa vostra esiste ed è bellissimo.

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Tratto dalla dispensa "Druidismo Cisalpino Antico e Moderno" Vignale 1982.